Sinistri con più veicoli

Nelle ipotesi in cui un incidente stradale abbia coinvolto più veicoli non può trovare applicazione la procedura di risarcimento diretto.
L’ipotesi più frequente  è rappresentata dal c.d. tamponamento a catena nel quale più veicoli incolonnati vanno a collidere l’uno contro l’altro a seguito della forza d’urto impressa dall’ultimo mezzo della colonna.
Non potendo applicarsi la procedura di risarcimento diretto il danneggiato è tenuto a richiedere il risarcimento al conducente del mezzo responsabile del sinistro (il conducente dell’ultimo mezzo della colonna) e alla Compagnia assicuratrice del mezzo in questione.

Il danneggiato deve richiedere il risarcimento dei danni subiti (fisici, patrimoniali e non patrimoniali) inviando una lettera raccomandata:

  • alla Compagnia che assicura il mezzo responsabile del sinistro
  • facoltativamente al proprietario e al conducente del mezzo responsabile del sinistro.

La richiesta di risarcimento danni deve indicare

  • il nominativo del soggetto che ha diritto al risarcimento;
  • il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate sono disponibili (per non meno di cinque giorni non festivi) per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno;
  • le circostanze nelle quali è avvenuto il sinistro;
  • la dinamica dell’incidente;
  • il codice fiscale del danneggiato (o dei soggetti che hanno diritto al risarcimento);
  • l’età, l’attività e il reddito del danneggiato;
  • l’entità delle lesioni subite;
  • l’attestazione medica che dimostri l’avvenuta guarigione;
  • una dichiarazione attestante che il danneggiato non ha diritto ad alcuna prestazione da parte di istituti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie (come ad esempio l’INAIL) oppure una dichiarazione che specifici di quali prestazioni il danneggiato può beneficiare;
  • lo stato di famiglia della vittima in caso di incidente mortale.

E’ sempre opportuno specificare:

  • se sono intervenute delle autorità di pubblica sicurezza e se hanno redatto un verbale (eventualmente sanzionando uno dei conducenti);
  • se sono intervenuti dei medici o dei sanitari, indicando a quale struttura sanitaria appartenevano.                                                         Come detto  non opera in questo caso il sistema dell’indennizzo diretto ma la procedura di risarcimento è quella disciplinata dall’art. 148 del Codice delle Assicurazioni Private.

Infatti, una volta ricevuta la richiesta di risarcimento la Compagnia apre il sinistro e ne da comunicazione al danneggiato inviandogli una comunicazione che contiene i riferimenti della pratica (numero di sinistro, ufficio che provvede alla trattazione, recapiti telefonici e orari nei quali è possibile contattare il liquidatore).
Entro 90 giorni dal ricevimento della documentazione la Compagnia assicuratrice è obbligata a

  • formulare al danneggiato un’offerta di risarcimento;
  • comunicare al danneggiato i motivi per i quali ritiene di non formulare nessuna offerta (si pensi al caso in cui la Compagnia ritiene che il sinistro non sia mai avvenuto).                                                                                                             Il termine è ridotto a 60 giorni nel caso in cui il danneggiato abbia subito solo danni a cose.

L’offerta viene generalmente preceduta da una richiesta di visita medico legale presso un professionista di fiducia della Compagnia per la valutazione dei danni fisici piuttosto che da una richiesta di perizia. In questo caso il danneggiato non può rifiutarsi di acconsentire agli accertamenti. Se si rifiuta il termine di 90 giorni per effettuare l’offerta resta sospeso. Ciò significa che finché il richiedente non si mette a disposizione per la visita non potrà pretendere di essere tutelato davanti al giudice.
Se la documentazione è incompleta la Compagnia deve segnalarlo al richiedente entro 30 giorni e il termine per effettuare l’offerta rimane sospeso finché la documentazione non viene integrata.
Questa è ovviamente la situazione più comune dal momento che non sempre il danneggiato è in possesso immediatamente di tutta la documentazione utile a dimostrare l’entità dei danni subiti. Il danno alla persona, infatti, può essere correttamente valutato solo dopo che la vittima ha terminato le cure e la riabilitazione. Solo in questo momento può essere correttamente quantificata la percentuale di invalidità (c.d. invalidità permanente) che l’incidente lascia al danneggiato.

Quando viene formulata l’offerta può accadere che:

  • il danneggiato dichiari di accettare l’offerta: la Compagnia deve procedere al pagamento entro 15 giorni dal momento in cui riceve l’accettazione;
  • il danneggiato dichiari di non accettare l’offerta: la Compagnia deve procedere al pagamento dell’importo previsto nell’offerta medesima entro 15 giorni. La somma viene considerata quindi un anticipo rispetto al risarcimento complessivo;
  • il danneggiato non si pronunci entro 30 giorni dal momento in cui riceve l’offerta: la Compagnia deve procedere al pagamento dell’importo previsto nell’offerta medesima entro 15 giorni. La somma viene considerata quindi un anticipo rispetto al risarcimento complessivo.

In ogni caso il danneggiato può ricorrere al Giudice (sia esso il Giudice di Pace o il Tribunale a seconda dell’importo del danno) solo se il termine per effettuare l’offerta (di 60 o 90 giorni a seconda delle situazioni) è scaduto senza che la Compagnia abbia comunicato le sue intenzioni.

Tuttavia questa regola va oggi coordinata con l’obbligo, introdotto dal D.L n. 132/2014, di tentare, prima di ricorrere al Giudice, di trovare una soluzione amichevole con la Compagnia assicuratrice mediante il procedimento di negoziazione assistita con l’assistenza di un avvocato.
Questo nuovo procedimento prevede che la parte che ha subito un danno debba invitare la controparte a tentare la conciliazione sottoscrivendo una convenzione con la quale le parti stesse concordano nel cooperare in buona fede e lealtà per risolvere la controversia facendosi assistere ciascuna da degli avvocati. La parte che riceve l’invito ha tempo 30 giorni per dare una risposta. Se in questo termine non fornisce un riscontro oppure offre una risposta negativa è possibile ricorrere al Giudice. Se invece le parti sottoscrivono la convenzione la procedura deve chiudersi (positivamente o meno) in un termine determinato dalla legge.

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Cosa fare in caso di sinistro

In primo luogo quando si è coinvolti in un incidente (anche quando si ritiene totalmente responsabile o non ha subito danni) si è sempre obbligati a presentare denuncia al proprio assicuratore R.C. Auto e potrà utilizzare il modulo C.A.I. (Constatazione Amichevole di Incidente – Modulo Blu), che se non è disponibile al momento del sinistro, può essere compilato e sottoscritto successivamente.

La denuncia di sinistro deve essere effettuata dal conducente del veicolo coinvolto o, se persona diversa, dal proprietario entro tre giorni da quello in cui l’incidente si è verificato.

E’ opportuno l’utilizzo del modulo C.A.I. e la sottoscrizione dello stesso da parte di entrambi i conducenti affinché si riducano i termini per l’offerta di risarcimento dei danni a cose (da 60 a 30 giorni) e perché vi sia presunzione che il sinistro si sia verificato secondo le modalità descritte.

Qualora l’assicurato-danneggiato si ritenga non responsabile (in tutto o in parte), deve presentare, oltre alla denuncia del sinistro, anche una richiesta di risarcimento dei danni. Il diritto al risarcimento dei danni si prescrive in 2 anni dall’evento. La richiesta va quindi presentata entro questo termine. Dalla presentazione della richiesta inizia a decorrere un nuovo termine di 2 anni.

La richiesta di risarcimento va inoltrata al proprio assicuratore R.C. Auto (secondo la procedura di “risarcimento diretto” – art. 149 del D.lg. 209/05) nel caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti. La richiesta può riguardare:

  • i danni al veicolo;
  • i danni alle cose trasportate di proprietà dell’assicurato o del conducente;
  • i danni alla persona subiti dal conducente non responsabile nel limite delle lesioni di lieve entità (ossia con una percentuale di invalidità non superiore al 9%).

Al di fuori di questi casi (ad esempio quando la vittima abbia subito lesioni considerate gravi, cioè con una percentuale di invalidità superiore al 9%), la richiesta di risarcimento del danno dovrà essere presentata alla compagnia del responsabile del sinistro.

La procedura di risarcimento diretto, inoltre, non si applica ai sinistri che coinvolgono veicoli immatricolati all’estero ed al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato come disciplinato dall’articolo 141; né alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica ai sensi degli articoli 23 e 24 del D.lg. 209/05, salvo che le medesime abbiano aderito al sistema di risarcimento diretto.

La richiesta di risarcimento deve essere fatta mediante:

  • raccomandata con avviso di ricevimento
  • consegna a mano
  • telefax
  • telegramma
  • in via telematica

Deve contenere i seguenti elementi:

  • i nomi degli assicurati;
  • le targhe dei due veicoli coinvolti;
  • la denominazione delle rispettive Imprese di assicurazione;
  • la descrizione delle circostanze e delle modalità del sinistro;
  • il codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento;
  • le generalità di eventuali testimoni;
  • l’indicazione dell’eventuale intervento degli Organi di polizia;
  • in caso di danni al veicolo o alle cose trasportate del proprietario e del conducente si deve indicare altresì il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate siano disponibili per la perizia diretta ad accertare l’entità del danno.

In caso di lesioni personali del conducente, dovranno essere forniti anche i seguenti elementi:

  • data di nascita ed attività lavorativa;
  • reddito del danneggiato comprovato da idonea documentazione fiscale;
  • documentazione medica attestante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti;
  • l’eventuale consulenza medico-legale di parte corredata dall’indicazione del compenso spettante al professionista;
  • dichiarazione, ai sensi dell’art. 142 del D.lg. 209/05, di aver o di non avere diritto a prestazioni da parte di Enti che gestiscono assicurazioni sociali obbligatorie.

È opportuno che la richiesta di risarcimento del danno venga inviata, per conoscenza ed a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, anche all’Impresa di assicurazione del responsabile del sinistro.

Ciò al fine di abbreviare i termini per un’eventuale successiva azione contro la stessa qualora per la liquidazione del sinistro non sia applicabile la presente procedura del risarcimento diretto ma la procedura ordinaria.

In caso di richiesta incompleta, l’Impresa di assicurazione può invitare l’assicurato-danneggiato, entro il termine di 30 giorni dalla ricezione, a fornire le integrazioni e i chiarimenti necessari per la regolarizzazione della richiesta stessa; in questo caso i termini per la formulazione dell’offerta di risarcimento o per la comunicazione dei motivi di mancata offerta rimangono sospesi fino alla data di ricezione delle integrazioni richieste.

Ricevuta la richiesta di risarcimento, l’Impresa di assicurazione deve formulare una congrua offerta di risarcimento (o comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare un’offerta) entro i seguenti termini:

  • 30 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni a cose e in presenza di una denuncia di sinistro sottoscritta da entrambi i conducenti coinvolti;
  • 60 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni a cose e in presenza di una denuncia di sinistro sottoscritta dal solo danneggiato;
  • 90 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni alla persona. Tale termine viene sospeso nel caso in cui il danneggiato rifiuti gli accertamenti strettamente necessari alla valutazione del danno alla persona.

Nel caso in cui la richiesta di risarcimento sia incompleta, i termini sopra indicati rimangono sospesi fino alla data di ricezione delle integrazioni richieste dall’Impresa di assicurazione.

Se l’Impresa di assicurazione non formula una congrua offerta nei termini, il danneggiato potrà:

– promuovere l’azione diretta in giudizio nei confronti dell’Assicurazione. L’impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l’altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell’ambito del sistema di risarcimento diretto.

– proporre reclamo all’ISVAP, segnalando l’inadempienza dell’Assicurazione che non abbia rispettato in termini. L’ISVAP potrà comminare le sanzioni nei confronti dell’Assicurazione negligente.

Il danneggiato, ricevuta l’offerta, potrà:

– accettare l’offerta
Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l’Impresa di assicurazione provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione;

– rifiutare l’offerta o non rispondere
Se il danneggiato non accetta l’offerta o non dà alcuna risposta, l’impresa di assicurazione, entro quindici giorni, dovrà comunque corrispondere al danneggiato la somma offerta. La somma in tale modo corrisposta è imputata all’eventuale liquidazione definitiva del danno.

Il danneggiato potrà agire in giudizio nei soli confronti della propria Impresa di assicurazione quando:

  1. l’Impresa di assicurazione abbia respinto la richiesta;
  2. l’Impresa di assicurazione non abbia comunicato l’offerta o il diniego nei termini previsti;
  3. non si sia giunti ad un accordo sull’offerta stessa.

L’azione giudiziale è esperibile soltanto se:

  • siano trascorsi 60 giorni (in caso di danni solo ai veicoli)
  • siano trascorsi 90 giorni (in caso di lesioni di lieve entità)

decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria Impresa di assicurazione il risarcimento del danno a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all’Impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto.

L’Impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l’altra Impresa di assicurazione, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato.

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Accettazione eredità con beneficio d’inventario

L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario consente di distinguere il patrimonio del defunto da quello dell’erede: in questo modo l’erede risponderà di eventuali debiti del defunto soltanto con il patrimonio ereditato.

A volte l’accettazione beneficiata non è facoltativa, ma obbligatoria; in particolare devono accettare con beneficio d’inventario:

  1. i minori o gli interdetti (art. 471 c.c.);
  2. i minori emancipati o gli inabilitati (art. 472 c.c.)
  3. le persone giuridiche, le associazioni, fondazioni e gli enti non riconosciuti, escluse, però, le società commerciali (art. 473 c.c.).

La necessità della accettazione beneficiata non significa che questa sia automatica, perché è pur sempre necessario che vi sia un atto di accettazione compiuto (per quanto riguarda i minori e gli interdetti) dal tutore o dal genitore con l’autorizzazione del giudice tutelare e, per il minore emancipato e l’inabilitato, con il consenso del curatore e l’autorizzazione del Giudice tutelare.

Può essere richiesta dagli eredi e, nel caso di minori, interdetti, inabilitati e persone giuridiche, da chi li rappresenta.

Per la dichiarazione di accettazione d’eredità con beneficio d’inventario ci si deve rivolgere alla cancelleria del Tribunale civile del luogo dell’ultimo domicilio del deceduto.

Ci si può rivolgere anche ad un notaio che trasmetterà poi l’atto al Tribunale, che ne curerà la trascrizione all’Ufficio del Territorio.

documentazione:

certificato di morte in carta semplice (il coniuge, gli ascendenti e i discendenti possono anche avvalersi della dichiarazione sostitutiva di certificazione)

certificato ultima residenza del defunto

copia del codice fiscale dell’accettante e del defunto

copia del documento d’identità dell’accettante e del defunto

autorizzazione del Giudice Tutelare (per gli eredi minorenni, interdetti e inabilitati).

 

Il giorno di stesura del verbale di accettazione con beneficio d’inventario:

presentare una marca da bollo da € 16,00 da applicare all’originale dell’atto

effettuare il versamento bancario di € 262,00 attraverso il modello F23 da ritirare allo sportello della cancelleria

la ricevuta del versamento dovrà essere consegnata in cancelleria subito dopo il pagamento che dovrà inderogabilmente avvenire il giorno dell’atto.

Prima o dopo aver reso la dichiarazione al cancelliere, l’interessato dovrà presentare anche istanza per la redazione dell’inventario. L’inventario è necessario per accertare la consistenza dell’eredità.

Per la redazione dell’inventario occorre presentare:

nota di iscrizione a ruolo

marca da bollo da € 27,00

contributo unificato € 98,00 (per i minori tale marca non occorre)

istanza per richiedere la nomina del cancelliere per la redazione dell’inventario.

Se l’erede è in possesso dei beni ereditari (tutti o alcuni) e intende accettare l’eredità con beneficio d’inventario (cioè la separazione dei beni derivanti dal testatore da quelli già di proprietà dell’erede) lo deve fare entro 3 mesi dalla morte del testatore, altrimenti il chiamato è considerato erede puro e semplice.

L’accettazione deve invece avvenire entro i 40 giorni successivi al compimento dell’inventario.

Se il chiamato all’eredità che non è nel possesso dei beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettazione nel termine di prescrizione del diritto di accettare (10 anni); fatta la dichiarazione, l’inventario va fatto entro tre mesi (salvo proroga) altrimenti il chiamato viene considerato erede puro e semplice. Se, invece, viene fatto prima l’inventario, la dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario va fatta entro 40 giorni dal compimento dell’inventario: in mancanza il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.

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La trascrizione

Si attua attraverso degli appositi registri dove sono riportate le notizie essenziali del bene che interessa; per le automobili, ad esempio, è stato costituito il P.R.A. mentre per gli immobili presso i registri tenuti dalle conservatorie immobiliari ( ora, però, la competenza è passata all’Agenzia del territorio ex l. 29\10\1991 e successive modifiche).

Occupiamoci proprio della trascrizione dei beni immobili, ma prima di vederne ( in sintesi)  la disciplina, fissiamo alcuni punti fermi dell’istituto:

  1. la trascrizione dell’atto di acquisto di un bene immobile non ne condiziona la validità ( come avviene nel sistema tavolare austriaco) ma solo l’opponibilità ai terzi nel senso già chiarito in precedenza;

  2. di conseguenza si conferma che nel nostro ordinamento vige il principio consensualistico, anche se la gravità delle conseguenze  relative alla mancata o ritardata trascrizione può far dubitare della semplice efficacia dichiarativa della stessa;

  3. le trascrizioni per avere effetto devono essere ” continue”, cioè trovarsi di seguito e collegate con i precedenti atti di acquisto (art. 2650 c.c.).

Ciò stabilito vediamo la disciplina della trascrizione.

Cominciamo con gli atti che devono essere trascritti,

L’art. 2643 c.c. stabilisce quali sono gli atti che devono essere trascritti;
ricordiamo, tra i tanti, i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili, o diritti reali di godimento sulla proprietà, o, ancora la comunione costituita per tali diritti.
Ricordiamo, ancora,  i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni.
Secondo l’art. 2645 c.c. devono poi essere trascritti tutti gli atti che producono gli effetti dei contratti previsti dall’art. 2643 c.c. come, ad esempio, la sentenza che costituisce una servitù coattiva ex art. 1032 c.c.

Gli effetti della trascrizione relativamente a tali atti sono disciplinati dall’art. 2644 c.c.  secondo cui:

Gli atti enunciati nell’articolo precedente (2643) non hanno effetto riguardo ai terzi che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione degli atti medesimi.
Seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione o iscrizione di diritti acquistati verso il suo autore, quantunque l’acquisto risalga a data anteriore.

In altre parole si sancisce l’opponibilità dell’atto nei confronti di altri che l’hanno trascritto  successivamente.

Non sono solo gli atti dell’art. 2643 a dover essere trascritti, ma il codice civile ne elenca numerosi altri.

Ricordiamo la trascrizione di contratti preliminari ex art. 2645 bis, dove è previsto che la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari oppure della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale su analoghi atti effettuati successivamente da altri.

Ancora devono essere trascritte le divisioni ( art. 2646 c.c.); la trascrizione dell’eredità e del legato se ha ad oggetto beni immobili ( art. 2648 c.c.); le sentenze e (art. 2651 c.c.) e le domande giudiziali ( art. 2652 c.c.) sempre relative a detti beni anche quando si dichiari la invalidità o inefficacia degli atti relativi a beni immobili( art. 2655 c.c. in tal caso v’è annotazione), e da ultimo, la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ( art. 2645 ter c.c.), trascrizione che secondo alcuni avrebbe introdotto in Italia l’istituto del trust.

Come già accennato è essenziale, per l’opponibilità ai terzi, che vi sia la continuità della trascrizioni.
Secondo l’art. 2650 c.c. se un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell’acquirente non producono effetto, se non è stato trascritto l’atto anteriore di acquisto.

Sulla procedura per la trascrizione è necessario, secondo l’art. 2657 c.c. possedere una sentenza o una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente, oppure un atto pubblico.

Possedendo uno di questi titoli ci si può recare dal conservatore che si trova presso l’ufficio dei registri immobiliari dove si trova l’immobile,  e presentate una copia autenticata degli stessi e una nota di trascrizione, con il contenuto richiesto dall’art. 2659 c.c., e il pubblico ufficiale provvederà alla trascrizione procedendo ad una numerazione progressiva degli atti relativi al bene in questione.
Il conservatore è personalmente responsabile per i ritardi e gli errori della trascrizione, come anche il notaio o altro pubblico ufficiale che ha ricevuto o autenticato l’atto, che devono curare che la trascrizione sia eseguita nel più breve tempo possibile (art. 2671 c.c.).

La trascrizione, infine, può essere cancellata  quando è consentita dalle parti interessate oppure è ordinata giudizialmente con sentenza passata in giudicato.

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LA COSTITUZIONE DELLE PARTI NEL PROCESSO DI INGIUNZIONE

  1. I termini di costituzione delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato nella prospettiva tradizionale

L’art. 645, 2° comma, c.p.c., stabilisce che “in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti alla metà”.

Senza séguito ([1]) è rimasta per lungo tempo la tesi (assolutamente coerente con la lettera della legge) di un autorevole Studioso, secondo cui, attesa la riduzione dei termini di comparizione disposta dall’art. 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c. ed atteso il richiamo delle norme del procedimento ordinario fatto dall’art. 645, 2° comma, prima parte, c.p.c., trova “applicazione il principio enunciato dagli art. 165 e 166, con riferimento all’ipotesi contemplata dall’art. 163 bis, 2° comma: e cioè, che alla riduzione fino alla metà del termine di comparizione deve accompagnarsi” sempre la riduzione dei termini di costituzione; di guisa che “il termine per la costituzione dell’opponente è di soli cinque giorni” exart. 165, 1° comma, c.p.c. ([2]).

Dominante per decenni (in dottrina ed in giurisprudenza) è stata, invece, la tesi secondo cui la norma predetta, “in quanto sprovvista di sanzione, si limiterebbe a conferire all’opponente una semplice facoltà, di cui egli sarebbe libero di avvalersi o meno” ([3]); di tal che “nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, i termini di costituzione sono quelli ordinari, secondo quanto stabiliscono gli art. 165 e 166 c.p.c. rispettivamente per l’attore e per il convenuto, quando l’opponente assegni alla controparte il termine ordinario di comparizione o un termine maggiore; qualora, invece, si avvalga della facoltà, in base all’ultimo comma, dell’art. 645 c. p. c., di dimezzare il termine di comparizione, assegnando al convenuto in opposizione un termine a comparire inferiore a quello ordinario, è ridotto alla metà il termine a lui stesso assegnato per la costituzione dall’art. 165 c. p. c.” ([4]).

Con la sentenza 9 settembre 2010, n. 19246, tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno bruscamente cambiato rotta, recependo l’impostazione di quell’isolata dottrina testé ricordata e scrivendo: “Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso i termini a comparire siano ridotti a metà”.

Questa pronuncia ha suscitato immediatamente un vivace ed articolato dibattito, che ha riguardato soprattutto le ricadute del nuovo principio di diritto sui giudizi di opposizione già pendenti ([5]).

In questa sede non intendiamo partecipare a questo dibattito e dimostrare, in particolare, l’assoluta inconsistenza giuridica di tutti (o quasi) i segmenti argomentativi della ricordata pronuncia delle Sezioni Unite.

A nostro avviso, invero, è assolutamente erronea la premessa ispirante tanto il vecchio quanto il nuovo orientamento giurisprudenziale, la quale (premessa) consiste nell’assegnare all’opponente la qualità (di convenuto sostanziale, ma) di attore in senso formale ed all’opposto quella di (attore sostanziale, ma) di convenuto in senso formale ([6]): di guisa che, conseguentemente, il termine per la costituzione del primo (l’opponente-attore in senso formale) sarebbe quello previsto dall’art. 165 c.p.c. (costituzione dell’attore) ed il termine per la costituzione del secondo (l’opposto-convenuto in senso formale) sarebbe quello fissato dall’art. 166 c.p.c. (costituzione del convenuto).

Per noi, invece, il problema dell’individuazione dei termini di costituzione delle parti in subiecta materia va impostato su premesse del tutto diverse, le quali a loro volta portano a soluzioni assolutamente distoniche rispetto a quelle usualmente prospettate.

Tali premesse, più esattamente, devono essere individuate attraverso una rigorosa ricostruzione: a) dei rapporti strutturali intercorrenti tra il procedimento monitorio stricto sensu ed il giudizio di opposizione; b) della funzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo; c) della ratiodell’art. 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c., che prevede il dimezzamento degli ordinari termini di comparizione previsti dall’art. 163 bisp.c.

  1. Prima premessa della nostra ricostruzione: la continuità procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione

Com’è noto, il processo disciplinato dagli artt. 633-656 c.p.c. [convenzionalmente qualificabile d’ingiunzione in senso lato ([7])] si estrinseca: A) nel procedimento monitorio (od’ingiunzione in senso stretto), costituito dal “complesso degli atti processuali compresi fra il ricorso per ingiunzione (art. 638) e la notificazione del ricorso stesso e del decreto d’ingiunzione (art. 643), ovvero fra il ricorso ed il decreto di rigetto della domanda di ingiunzione (art. 640)” ([8]); B) nel giudizio di opposizione, iniziato dall’atto ex 645 c.p.c. [o 650: opposizione tardiva ([9])] e concluso dalla sentenza che decide l’opposizione con il suo rigetto oppure con il suo accoglimento (totale o parziale: art. 653).

Può ormai considerarsi “diritto vivente” quell’orientamento giurisprudenziale che, nell’escludere l’autonomia del giudizio di opposizione rispetto al precedente procedimento svoltosi inaudita altera parte, riconosce apertis verbis l’unitarietà tra la fase monitoria e quella di opposizione, nel senso che le stesse fanno parte di un unico processo, nel quale “la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione e l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta assumendone il contenuto e la funzione ([10]).

In altra sede abbiamo cercato di dimostrare come codesta ricostruzione abbia una ben precisa validità teorico-concettuale ([11]), che la rende preferibile alle altre ricostruzioni proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza a proposito dei rapporti strutturali intercorrenti tra le due fasi in discorso e, in particolare, a quelle divisanti l’autonomia delle medesime ([12]).

E’ ben vero che ancor recentemente ([13]) si riconosce talvolta al giudizio oppositivo la natura di procedimento di impugnazione del decreto ingiuntivo, ma oggi tale riconoscimento viene operato in giurisprudenza solamente (ed apoditticamente) per affermare il carattere funzionale ed inderogabile della competenza del giudice dell’opposizione ([14]) oppure per postulare l’inammissibilità di un’opposizione proposta soltanto per denunciare vizi della fase monitoria, senza contestazioni sulla pretesa creditoria fatta valere col ricorso ([15]).

A proposito di simili concezioni impugnatorie osserviamo quanto segue: Nel nostro ordinamento giuridico “il termine di impugnazione è la qualificazione generica dei molteplici rimedi che sono dati contro gli atti giuridici” ([16]).  Alla stregua di questa lata nozione si può sicuramente (e genericamente) affermare che l’opposizione a decreto ingiuntivo si risolve in uno strumento impugnatorio rispetto alla precedente ingiunzione: così come, del resto e per esempio, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. rappresenta un’impugnazione del titolo esecutivo ([17]), il reclamo al collegio ex art. 178, 2° comma, c.p.c. costituisce un’impugnazione dell’ordinanza dichiarativa dell’estinzione del processo ([18]) e le azioni di nullità o di annullamento ex artt. 1421 e 1441 c.c. integrano rimedi impugnatori contro le invalidità del contratto ([19]).  Se, invece, in subiecta materia si vuole (come si deve!) parlare di impugnazione per postulare l’assimilabilità dell’opposizione de qua ai mezzi di impugnazione in senso tecnico ex artt. 323 ss. c.p.c., l’equazione opposizione-impugnazione non risulta più corretta ([20]).

Rinviando alle osservazioni critiche da noi formulate in altra occasione nei confronti delle diverse tesi postulanti la natura impugnatoria dell’opposizione ([21]), qui ci limitiamo ad aggiungere un’ulteriore obiezione ([22]).

L’assegnazione all’opposizione della natura e della funzione di impugnazione del decreto ingiuntivo dovrebbe coerentemente e logicamente implicare la formazione di un giudicato interno o di un giudicato implicito in ordine a quei capi autonomi dell’ingiunzione ([23]), che non siano stati specificamente “impugnati” con l’opposizione stessa ([24]).

Il che, invece, nessuno ha mai ipotizzato ([25]). Per esempio:  a) chi ha mai pensato che il giudice dell’opposizione non può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione per essersi formato sulla questione un giudicato implicito, qualora il giudice della fase monitoria, accogliendo la domanda d’ingiunzione e pronunciandosi così sul merito della domanda stessa, abbia implicitamente riconosciuto la propria giurisdizione e tale statuizione non sia stata contestata dall’opponente? ([26])  b) e chi ha mai sostenuto che il giudice dell’opposizione non può rilevare d’ufficio la propria incompetenza per materia, per valore o per territorio nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c. (non oltre, ovviamente, la prima udienza di trattazione ex 38, 1° comma, c.p.c.), qualora il giudice dell’ingiunzione, accogliendo la domanda monitoria, abbia espressamente e preliminarmente “ritenuto la propria competenza” (come spesso si legge nei decreti ingiuntivi) ([27]) e tale pronuncia non sia stata espressamente censurata con l’opposizione? ([28])  c) e chi, infine, ha mai ipotizzato che il giudice dell’opposizione non può modificare la statuizione sulle spese processuali contenuta nell’opposto decreto, pur in difetto di uno specifico motivo di opposizione? ([29])

  1. Conseguenze applicative della divisata unitarietà del processo d’ingiunzione in senso lato

Alla stregua delle precedenti considerazioni a noi pare di poter conclusivamente affermare che il procedimento monitorio ed il giudizio di opposizione costituiscono due sub-procedimenti di un unico processo (ingiuntivo in senso lato), alla cui base v’è un’unica azione(quella ordinaria di condanna) e nell’ambito del quale i provvedimenti conclusivi dei due sub-procedimenti (decreto ingiuntivo e sentenza sull’opposizione) sono legati da un nesso ricollegabile a quello intercorrente tra provvedimento anticipatorio e decisione anticipata ([30]). Più esattamente, trattasi di un processo di condanna speciale (rispetto al processo ordinario di cognizione di primo grado) perché diverse dall’ordinario sono in particolare:

– le modalità di proposizione della domanda dell’attore (che avviene con il ricorso ex art. 638 c.p.c. e non con l’atto di citazione ex art. 163 c.p.c.);

– le modalità di proposizione della “risposta” del convenuto (che avviene con l’atto di opposizione ex art. 645 c.p.c. e non con la comparsa ex art. 167 c.p.c.);

– le modalità di definizione del processo [che avviene con la sentenza avente il contenuto e gli effetti enucleabili dall’art. 653 c.p.c. (rigetto dell’opposizione con produzione dell’esecutività del decreto; accoglimento totale dell’opposizione con revoca del decreto stesso; accoglimento parziale dell’opposizione con revoca dell’ingiunzione e contestuale condanna nei limiti della somma o quantità risultata dovuta) e non con la sentenza avente sic et simpliciter il contenuto della condanna o del rigetto della domanda] ([31]).

Da questa ricostruzione discendono (per quanto paradossali possano sembrarne alcune) le seguenti conseguenze: A) depositato il ricorso per ingiunzione e/o, comunque, perfezionatasi la notificazione del ricorso stesso e del decreto ingiuntivo ex 643, 2° comma, c.p.c. ([32]), il creditore-ricorrente ed il debitore-intimato sono, rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal punto di vista sostanziale[come si è soliti dire ([33])], ma anche da quello formale ([34]); B) la notificazione del ricorso produce bensì la litispendenza ex 643, ultimo comma, c.p.c., ma gli effetti della litispendenza stessa decorronoex tunc dal momento del deposito del ricorso ([35]);  C) “costituitosi l’opponente, non si iscrive una nuova causa nel registro generale, né si forma un nuovo fascicolo, ma si inseriscono, in quello già esistente, gli atti dell’opposizione” ([36]); D) non è mai configurabile una contumacia del creditore-opposto([37]), la cui costituzione è già avvenuta con il deposito del ricorso ex 638 c.p.c. ([38]);  E) l’onere della prova incombe sul creditore-ricorrente-opposto([39]) in quanto parte che “vuol far valere un diritto in giudizio” (art. 2697, 1° comma, c.c.); F) i requisiti di ammissibilitàex 633 c.p.c. condizionano soltanto la pronuncia dell’ingiunzione, emessa la quale essi hanno esaurito la loro funzione; G) pertanto (e non essendo l’opposizione un’impugnazione dell’atto-decreto ingiuntivo), la loro mancanza è irrilevante nel giudizio oppositivo, all’esito del quale il giudice è tenuto a confermare comunque l’ingiunzione, nel caso che la “sottostante” pretesa creditoria risulti fondata ([40]); H) in questo stesso caso, la mancanza delle condizioniex 633 c.p.c. può avere un’efficienza limitata alla statuizione sulle spese processuali, potendo il giudice avvalersi del potere ex art. 92, 1° comma, c.p.c. ed escludere dalla ripetizione (perché sostanzialmente superflue) le spese sostenute dal creditore nella fase monitoria ([41]); I) qualora l’opponente si limitasse ad eccepire l’insussistenza di una di codeste condizioni, la sua opposizione dovrebbe essere senz’altro[non dichiarata inammissibile, come fa certa giurisprudenza postulante la natura impugnatoria dell’opposizione ([42]), ma] rigettata nel merito, dovendosi al suo comportamento processuale assegnare il significato di ammissione o di non contestazione ([43]) dei fatti costitutivi allegati dal creditore; L) dichiarata l’incompetenza del giudice dell’ingiunzione(e conseguentemente dell’opposizione: art. 645, 1° comma, c.p.c.), il decreto ingiuntivo non deve essere revocato([44]) (potendosi tutt’al più sospendere o – meglio – revocare la sua eventuale provvisoria esecutorietà) perché la riassunzione della causa ex 50 c.p.c. determinerebbe la prosecuzione dello stesso processo ingiuntivo (in senso lato) svoltosi innanzi al giudice incompetente, con la conservazione di tutti gli atti compiuti nel processo originariamente instaurato ([45]); M) esclusa la qualificazione dell’opposizione come impugnazione del decreto ingiuntivo (e, quindi, la natura funzionale della competenza stabilita dall’art. 645, 1° comma, c.p.c.), non vi è alcun ostacolo per ammettere la possibilità che il giudizio di opposizione trasmigri ad altro giudice in applicazione degli artt. 34 ss. c.p.c.([46]).

  1. Segue: l’assegnazione all’opponente della qualità di convenuto in senso (non solo sostanziale, ma pure) formale

Ai fini del nostro discorso occorre indugiare nella dimostrazione della correttezza della prima conseguenza suindicata.

Quando si attribuisce all’opponente la qualità di attore in senso formale, solitamente si scrive: “Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la domanda introduttiva, formulata con il ricorso per decreto, conferisce al creditore la veste di attore in senso sostanziale (con la conseguente distribuzione dell’onere della prova) anche nel successivo giudizio di opposizione. Tuttavia, parte attrice, in senso formale, è pur sempre l’opponente, che propone le sue domande nella forma dell’atto di citazione (art. 645 c.p.c.)” ([47]).

Queste e simili affermazioni (vero capolavoro di … contraddizione) non possono essere condivise da noi, che in anni ormai lontani avevamo appreso da ottimi Maestri quanto segue:

– “la domanda giudiziale, come atto costitutivo del processo, determina anche le parti: quella che chiede al giudice di provvedere su un determinato oggetto e quella contro cui il provvedimento è chiesto” ([48]);

– “dal principio della domanda deriva poi la conseguenza che vi è sempre una parte attiva, quella appunto che propone la domanda e prende con ciò la iniziativa del processo; la controparte può essere designata come parte passiva, perché acquista la qualità di parte in virtù di un atto altrui … nel processo di cognizione la parte attiva si chiama attore e la parte passiva convenuto” ([49]).

Alla stregua di ciò nessuno dovrebbe più dubitare che il creditore-ricorrente-opposto (quale soggetto proponente la domanda introduttiva del processo d’ingiunzione in senso lato: di quell’unico processo, cioè, comprensivo della fase monitoria e della fase oppositiva, che consegue alla prima in via bensì eventuale, ma in ogni caso come sua “prosecuzione orizzontale”) è l’attore in senso pure formale; e che viceversa il debitore-intimato-opponente (quale “controparte passiva” rispetto alla superiore domanda) è il convenuto in senso pure formale.

A chi, infine, dovesse ostinarsi a dubitare ancora, non ci resta che riproporre la lezione impartita da Giuseppe Chiovenda: “Una domanda nel processo suppone due parti: chi la fa, e colui a cui si fa. Si ha così la posizione dell’attore e del convenuto. Caratteristica dell’attore non è solo di fare una domanda, perché anche il convenuto può domandare il rigetto: ma di fare la prima domanda relativa ad un dato oggetto (rem in iudicium deducens) … Vi sono procedimenti in cui il convenuto è costretto ad assumere una parte attiva, senza per questo perdere la veste e la condizione di convenuto. Questa parte attiva assume il nome di opposizione” ([50]).

  1. Conclusioni desumibili dalla prima premessa: il deposito del ricorsoex art. 638 c.p.c. quale atto determinante ipso iure la costituzione in giudizio del ricorrente-opposto-attore e riferibilità all’intimato-opponente-convenuto dei termini di costituzione previsti in generale per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.

A ben considerare, quindi, la communis opinio assegnante all’opponente la qualità di attore in senso formale costituisce il mero portato di quelle ormai superate concezioni divisanti l’autonomia del giudizio di opposizione rispetto alla precedente fase (c.d. monitoria) svoltasi inaudita altera parte.

Essa (communis opinio), invece, si rivela totalmente erronea, una volta affermata (come ormai solitamente si fa) la continuità procedimentale tra la fase monitoria e quella oppositiva e, conseguentemente, una volta affermato che le stesse “fanno parte di un unico processo” ([51]), nel quale “la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione ([52]) e l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta assumendone il contenuto e la funzione” ([53]).

Infatti, poiché formalmente “nel processo di cognizione attore è la parte che propone la domanda introduttiva del giudizio di primo grado e convenuto è la parte nei confronti della quale detta domanda è proposta” ([54]), nell’ambito del processo d’ingiunzione in senso lato il ricorrente ex art. 638 c.p.c. e l’opponente ex art. 645 c.p.c. sono, rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal punto di vista sostanziale [come, invece, si dice solitamente ([55])], ma anche da quello formale ([56]).

In base alla prima premessa del nostro discorso come sopra ricostruita (continuità procedimentale tra fase monitoria e fase oppositiva, con conseguente assegnazione all’opponente della qualità di convenuto in senso formale e sostanziale), possiamo agevolmente enucleare la seguente conclusione: il termine per la costituzione dell’opponente è (non quello previsto dall’art. 165 per l’attore, ma) quello stabilito per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.: e cioè, di almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione in opposizione o prima dell’udienza differita dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 168 bis, 5° comma c.p.c. ([57]) o (quando l’opponente abbia a fini dilatori assegnato all’opposto un termine di comparizione superiore al minimo stabilito ex comb. disp. artt. 163 bis, 1° comma, e 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c.) prima dell’udienza anticipata con decreto del giudice istruttore ovvero (se questi non è stato ancora designato) del presidente del tribunale eventualmente pronunciato su istanza dell’opposto e debitamente notificato all’opponente ([58]).

Va da sé, naturalmente, che nell’ambito della superiore ricostruzione non si pone il problema del termine di costituzione del creditore-ricorrente-opposto.

Infatti: a) “nei procedimenti contenziosi che iniziano con ricorso … si verifica un’inversione logica e cronologica, rispetto a quelli in cui la domanda si propone con citazione, nella successione del rapporto delle parti tra loro e del rapporto parti-giudice, nel senso che si determina per primo il rapporto cittadino-giudice, per il solo fatto della presentazione del ricorso, ed in un momento successivo, con la notificazione del ricorso e del decreto, si instaura il contraddittorio tra le parti; ne consegueche in tali procedimenti si configura del tutto inutile una costituzione dell’attore ai sensi dell’art. 165 c. p. c., per cui l’attore, depositando il ricorso, non ha l’onere di presentare la nota di iscrizione a ruolo …, mentre il cancelliere deve formare il fascicolo d’ufficio ed iscrivere l’affare nel ruolo generaleai sensi dell’art. 36 disp. att. c. p. c.” ([59]); b) pertanto, attesa l’unitarietà procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione, già al momento del deposito del ricorsoex 638 c.p.c. il ricorrente-opposto deve considerarsi costituito in giudizio ([60]) [recte: in quell’unico giudizio, nel quale “la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione e l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta assumendone il contenuto e la funzione” ([61])]; c) conseguentemente, non è mai configurabile una contumacia del creditore-opposto([62]).

Da queste puntualizzazioni deriva un’altra conseguenza rilevante ai fini del presente lavoro.

Poiché l’opposto-attore deve già considerarsi tempestivamente costituito con il deposito del ricorso ex art. 638 c.p.c. e poiché l’art. 645, 2° comma, c.p.c. stabilisce che “in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme ordinarie davanti al giudice adito” ([63]), deve trovare applicazione pure nel processo de quo la disciplina contenuta nell’art. 171 c.p.c. (ritardata costituzione delle parti), il cui 2° comma dà al convenuto-opponente la possibilità di “costituirsi fino alla prima udienza, ma restano ferme per il convenuto le decadenze di cui all’art. 167”.

Riteniamo, pertanto, giuridicamente infondata e meramente vessatoria per l’opponente quell’opinione [dominante in dottrina ([64]) ed in giurisprudenza ([65])], che agli effetti ex art. 647 c.p.c. assimila la tardività alla mancanza della costituzione dell’opponente stesso.

Invero: a) l’art. 647 c.p.c. (esecutorità per mancata opposizione o per mancata attività dell’opponente) prevede soltantola mancata costituzione dell’opponente (“Se non è stata fatta opposizione ol’opponente non si è costituito …)”; b) trattandosi di norma speciale e/o derogatoriarispetto alla disciplina dell’ordinario processo di cognizione (che all’art. 171 prevede espressamente la “ritardata costituzione delle parti”: tanto dell’attore, quanto del convenuto), la stessa deve essere interpretata restrittivamente ex 14 preleggi ([66]); c) del resto, se la “mancata costituzione” (id est: quella che materialmente non è mai avvenuta, né nei termini prestabiliti ad hocné oltre quei termini) fosse concettualmente assimilabile alla “costituzione tardiva” (id est: a quella effettuata oltre il termine previsto ad hocdalla legge) ([67]), sarebbe totalmente illogica la formulazione dell’art. 348, 1° comma, c.p.c., secondo cui “l’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellante non si costituisce in termini”; d) infatti, se la “mancata costituzione” corrispondesse logicamente alla “costituzione tardiva”, l’art. 348, 1° comma, c.p.c. ai fini dell’improcedibilità dell’appello avrebbe dovuto limitarsi a dire che “l’appello è dichiarato improcedibile, anche d’ufficio, se l’appellantenon si costituisce”;  e) proprio la lettura comparata dell’art. 647, 1° comma (“se … l’opponente non si ècostituito”) e dell’art. 348, 1° comma, c.p.c. (“… se l’appellante non si costituisce in termini”), dunque, conferma la correttezza dell’interpretazione restrittiva dell’art. 647 qui sostenuta: con la sua conseguente riferibilità alla sola mancata costituzione dell’opponente e non anche alla costituzione tardiva del medesimo ex 171, 2° comma.

  1. Seconda premessa della nostra ricostruzione: l’opposizione a decreto ingiuntivo quale strumento finalizzato a “sintonizzare” la posizione delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato alla posizione delle parti dell’ordinario processo di cognizione

Per comprendere la funzione dell’opposizione all’ingiunzione è necessario tener presente la ratio del procedimento monitorio, per la cui individuazione è sempre valido l’insegnamento di Giuseppe Chiovenda, il quale sul punto così scriveva: “Le varie forme di processo monitorio hanno questi due punti fondamentali comuni, che l’ordine di prestazione è emanato inaudita parte, e senza cognizione: esso tende a preparare l’esecuzione. L’ordinamento giuridico, considerando quanto inutile ritardo subisce l’esecuzione nel processo ordinario con cognizione completa, nei casi in cui il convenuto o aderisca alla domanda, o rimanga contumace, o insomma nulla eccepisca, permette questa forma di processo, configurata secondo l’ipotesi che il convenuto nulla abbia da eccepire; la possibilità delle eccezioni e conseguentemente della cognizione completa non è esclusa, ma spostata; essa è posteriore anziché anteriore al provvedimento del giudice …Venuta meno nel caso concreto l’ipotesi secondo cui il processo speciale è configurato, cioè che il preteso debitore nulla abbia da eccepire, cade il processo speciale e si entra nel processo ordinario: in questo l’opponente è convenuto non attore” ([68]).

Queste parole suggeriscono chiaramente la “chiave di lettura” dell’art. 645, 2° comma, prima parte, c.p.c. (“in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme ordinarie davanti al giudice adito”).

Si ritiene, trattasi di disposizione avente la funzione: A) di “ripristinare” in via generale l’applicazione delle norme del processo ordinario di cognizione, fatte salve le “deviazioni” rispetto al rito ordinario espressamente previste dalla legge ([69]) ([70]), le quali tuttavia vanno come tali interpretate restrittivamente (al pari di tutte le norme “che fanno eccezione a regole generali”: v. art. 14 preleggi); B) in particolare, di “ricalibrare” la posizione delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato, adeguandola a quella delle parti dell’ordinario processo di cognizione di primo grado e, conseguentemente, rimettendo le prime nella stessa posizione in cui si sarebbero trovate, se la domanda introduttiva del processo fosse stata proposta nelle forme ordinarie; C) di consentire ad entrambe le parti del processo d’ingiunzione in senso lato di avvalersi (su un piano di simmetrica parità) di tutti quei poteri processuali non potuti esercitare nella fase monitoria ([71]); D) in particolare, di “riequilibrare” la posizione del debitore-ingiunto, al quale dopo la fase monitoria (svoltasi senza la sua partecipazione)“deve essere garantito che il procedimento iniziatosi con il ricorso per ingiunzione venga a svolgersi con le forme previste per il procedimento ordinario di primo grado, ossia offrendogli le stesse possibilità che gli sarebbero state assicurate se il creditore avesse agito in via ordinaria” ([72]).

  1. Conclusione desumibile (pure) dalla seconda premessa: riferibilità all’opponente dei termini di costituzione previsti in generale per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.

Se l’opposizione a decreto ingiuntivo ha la funzione di “rimettere” le parti nella stessa posizione in cui si sarebbero trovate, qualora l’attore-opposto avesse agito nelle forme ordinarie ex artt. 163 ss. c.p.c., riceve ulteriore conferma la nostra tesi circa la riferibilità all’opponente dei termini di costituzione previsti per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.

Infatti, “tale è … il termine di cui l’opposto deve poter godere per ritrovarsi in una posizione non deteriore rispetto a quella in cui si troverebbe chi, avendo proposto una domanda secondo le forme ordinarie, debba poter replicare alle difese del convenuto tempestivamente costituito” ([73]).

  1. Terza premessa della nostra ricostruzione: laratio del dimezzamento dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c.

Dottrina ([74]) e giurisprudenza ([75]) sono solite assegnare all’art. 645, 2° comma, ultima parte c.p.c. (che prevede il dimezzamento degli ordinari termini di comparizione previsti dall’art. 163 bis c.p.c.), la funzione di accelerare lo svolgimento del giudizio di opposizione.

Si ritiene che nulla v’è di più sbagliato!

Assegnare alla norma de qua una funzione acceleratoria dell’iterprocedimentale, per vero, contraddice appieno la natura dilatoria che hanno pur sempre i termini per comparire ([76]), i quali (indipendentemente dalla loro estensione: “intera” ex art. 163 bis, 1° comma, c.p.c. o “dimezzata” ex art. 645, 2° comma, c.p.c.) rappresentano pur sempre “il numero minimo di giorni liberi che devono intercorrere tra la notificazione della citazione e il giorno dell’udienza di comparizione, … per dar modo al convenuto di prepararsi alla difesa” ([77]).

Esattamente, pertanto, un vecchio Maestro osservava al riguardo che la norma in discorso “è priva di valore sostanziale perché il termine di comparizione è stabilito dall’opponente, che può assegnare il termine che vuole, anche superiore al minimo” ([78]).

Data la natura pur sempre dilatoria dei termini di comparizione, non può ragionevolmente sostenersi: A) né che il dimezzamento previsto dall’art. 645, 2° comma, c.p.c. “soddisfa l’interesse dell’intimato ad accelerare l’eventuale riforma di un provvedimento giurisdizionale pronunciato senza il suo contraddittorio” ([79]): in tal caso, infatti, codesto dimezzamento avrebbe dovuto essere [nonautomatico ed obbligatorio ([80]), ma] rimesso alla mera volontà dell’interessato (id est: dell’opponente), il quale anzi in presenza di un’ingiunzione non provvisoriamente esecutiva ex 642 c.p.c. normalmente non ha alcun interesse a “velocizzare” l’iterprocessuale ed a dimezzare il termine de quo ([81]); B) né che il dimezzamento dei termini di comparizione assicura indirettamente “il più rapido svolgimento del giudizio di opposizione … anche nell’interesse del creditore beneficiario del decreto d’ingiunzione … a stroncare con la massima celerità ogni opposizione di natura dilatoria” in virtù del (supposto) conseguente dimezzamento (pure) dei termini di costituzione dell’opponente ([82]): può pur sempre succedere, infatti, che l’opponente abbia rispettato il termine “dimezzato” di comparizione ex 645, 2° comma, c.p.c. (che – lo ricordiamo – è comunque un temineminimo!) e che l’opponente stesso si sia costituito puntualmente nel termine ex art. 165 c.p.c. (intero o dimezzato che esso sia) e che cionondimeno … l’udienza di prima comparizione indicata nell’atto di citazione in opposizione ex art. 163, 2° comma, n. 7, c.p.c. si svolga … dopo molti mesi o addirittura dopo anni di distanza dal giorno della notificazione dell’opposizione e dal giorno della costituzione dell’opponente ([83]).

Stando così le cose, deve concludersi che la ratio della previsione ex art. 645, 2° comma, c.p.c. non consiste affatto in esigenze acceleratorie del processo.

Dimezzando i termini di comparizione prescritti per l’ordinario giudizio di cognizione dall’art. 163 bis c.p.c., invero, l’art. 645, 2° comma, c.p.c. ha voluto soltanto rendere i termini de quibus coerenti con l’effettiva posizione processuale dell’opposto.

Quest’ultimo infatti: – in quanto attore in senso (per noi pure formale, ma sicuramente) sostanziale, ha avuto modo di preparare tutte le sue difese già prima del deposito del ricorso per ingiunzione; – come ogni attore “operante” in un ordinario processo di cognizione di primo, potrà “controreplicare” all’opponente pure dopo: vale a dire, all’udienza di trattazione (v. art. 183, 5° comma, c.p.c.) e/o nei termini concessigli a quell’udienza dal giudice istruttore (v. art. 183, 6° comma, c.p.c.).

Pertanto, beneficiando l’attore-opposto di codeste opportunità preparatorie eo/difensive, sarebbe del tutto incongrua e/o ingiustificata la previsione in suo favore degli ordinari termini di comparizione divisati dall’art. 163 bis c.p.c. in funzione delle esigenze difensive del convenuto in senso proprio (o sostanziale che dir si voglia).

  1. Conclusioni desumibili dalla terza premessa: diversità diratio tra il dimezzamento dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c. e l’abbreviazione dei termini ex art. 163 bis, 2° comma, c.p.c.; non riducibilità del termine di costituzione dell’opponente per effetto del dimezzamento dei termini di comparizione ex art. 645, 2° comma, c.p.c.

La precedente puntualizzazione sulla funzione del dimezzamento dei termini divisata dall’art. 645, 2° comma, c.p.c. determina ben precise conseguenze ai fini qui considerati, in ordine alle quali possiamo limitarci a ripetere le condivisibili argomentazioni da altri rassegnate: “L’abbreviazione del termine di comparizione, prevista nell’art. 163 bis, 2° comma, c.p.c. (cui, letteralmente, si ricollega l’abbreviazione del termine di costituzione, ex art. 165 c.p.c.), … ha una funzione del tutto diversa rispetto a quella prevista dall’art. 645 c.p.c. Nel processo civile ordinario, infatti, l’abbreviazione del termine di comparizione riduce, in concreto, il tempo che il convenuto ha a disposizione per predisporre le difese; per questo motivo, incidendo sui diritti di difesa del convenuto, deve fondarsi su specifiche ragioni di urgenza dell’attore o emergenti dalla peculiarità della fattispecie e deve risultare espressamente consentita dal Giudice. La ratio della consequenzialità tra provvedimento giudiziale di abbreviazione del termine a comparire e la riduzione ex lege del termine di costituzione risiede, quindi, nella esigenza di assicurare al convenuto la piena possibilità della propria difesa in tempi rapidi, consentendogli di esaminare la documentazione che l’attore deve depositare al momento della costituzione. Questa esigenza, invece, non esiste nel giudizio di opposizione a decreto di ingiunzione, ove l’opponente è attore soltanto in senso formale, ma sostanzialmente è convenuto e si limita a rispondere alla domanda giudiziale del creditore intimante il decreto ingiuntivo. Ne deriva che gli atti difensivi che il creditore opposto deve compiere in pendenza del termine di comparizione sono limitati ad una mera replica rispetto alle eccezioni del convenuto-opponente. In pratica, con la notifica dell’atto di opposizione al creditore si completa quella fase introduttiva che nel processo ordinario è riservata al convenuto per predisporre le difese preparatorie della prima udienza. È evidente, dunque, la differente ratio sottesa alle due previsioni normative. Se così è, nel silenzio della legge, non appare possibile applicare, per analogia, all’opposizione a decreto di ingiunzione una disposizione eccezionale, quale quella della riduzione dei termini di costituzione ex art. 163 bis, 2° comma, c.p.c., giustificata da esigenze dell’attore che, certamente, non ricorrono nel giudizio di opposizione, nel quale l’opponente è il debitore, convenuto in senso sostanziale…. In conclusione … appare molto più ragionevole, realistico e rispondente al dettato normativo, ritenere che nell’opposizione a decreto di ingiunzione si applichi il regolare termine di costituzione previsto per il giudizio ordinario, anche se i termini di comparizione sono stati ridotti secondo la previsione dell’art. 645 c.p.c.”([84]).

Prima di chiudere definitivamente il nostro discorso, riteniamo utile sintetizzarne e riepilogarne le premesse e le conclusioni:

– affermata la continuità procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione;

– dimostrata la natura meramente anticipatoria del decreto ingiuntivo rispetto alla sentenza di merito costituente il petitum immediato dell’azione speciale di condanna esercitata con il ricorso per ingiunzione (ed esclusa così la natura impugnatoria dell’opposizione) ;

– assegnata all’opposizione la funzione di “sintonizzare” la posizione delle parti del processo d’ingiunzione in senso lato a quella delle parti dell’ordinario processo di cognizione;

– e, infine, negata al dimezzamento dei termini ex art. 645, 2° comma, c.p.c. quella ratio acceleratoria ispirante l’abbreviazione dei termini exart. 163 bis, 2° comma, c.p.c.;

diventano inevitabili le seguenti conclusioni: a) la costituzione del ricorrente-opposto-attore deve considerarsi perfezionata al momento del deposito della domanda d’ingiunzione ex 638 c.p.c.; b) conseguentemente, non è mai configurabile una sua contumacia nel processo d’ingiunzione in senso lato; c) il termine per la costituzione dell’intimato-opponente-convenuto è (non quello stabilito dall’art. 165 c.p.c. per l’attore, ma) quello previsto per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.; d) l’intimato-opponente-convenuto, pertanto, deve costituirsi almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione in opposizione o dell’udienza differita dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 168 bis, 5° c. c.p.c. o (quando l’opponente abbia a fini dilatori assegnato all’opposto un termine di comparizione superiore al minimo ex disp. artt. 163 bis, 1° c., e 645, 2° c., ult. parte, c.p.c.) dell’udienza anticipata con decreto del giudice istruttore ovvero (se questi non è stato ancora designato) del presidente del tribunale eventualmente pronunciato su istanza dell’opposto e debitamente notificato all’opponente; e) tale termine di termine di costituzione diventa di almeno dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, qualora l’opponente sia stato autorizzato dal presidente del tribunale ad abbreviare i termini ex 163 bis, 2° c., c.p.c. ([85]); f) il superiore termine per la costituzione dell’intimato-opponente-convenuto non si espone, invece, al dimezzamento automatico ex disp. art. 163 bis, 2° comma, 165, 1° c., e/o 166 c.p.c. [86]; g) è ammissibile la costituzione tardiva dell’intimato-opponente-convenuto ex 171, 2° c., c.p.c.

([1]) L’unico precedente conforme in giurisprudenza è rappresentato da Cass. civ. 10 gennaio 1955, n. 8.
([2]) Così GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 169 ss. (ma v. pure 151 ss.) Analogamente PAJARDI, Il procedimento monitorio, Milano, 1991, 87.
([3]) VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, 377, cui si rinvia per altre informazioni bibliografiche.
([4]) Così Cass. civ. 7 aprile 1987, n. 3355; nello stesso senso Cass. civ. 27 novembre 1998, n. 12044; Cass. civ. 15 marzo 2001, n. 3752; Cass. civ. 20 novembre 2002, n. 16332. Tale orientamento giurisprudenziale è stato espressamente considerato “diritto vivente” da Corte cost. 22 luglio 2009, n. 230, con la quale è stata per l’ennesima volta disattesa la questione di legittimità costituzionale (della superiore interpretazione) dell’art. 645, 2° comma, c.p.c. Su tale quaestio legimitatis v. VIGNERA, Il giusto processo d’ingiunzione, in BODRITO-FIORENTIN-MARCHESELLI-VIGNERA, Giusto processo e riti speciali, Milano, 2009, 67 ss., 110 ss. Sulla stessa questione v. ultimamente Corte cost. 6 maggio 2010, n. 163.
([5]) Per un quadro panoramico delle innumerevoli voci di questo dibattito v. BUFFONE, Opposizione a decreto ingiuntivo – Sentenza Cassazione, Sez. un. 19246/2010 – La risposta dei giudici di merito, in www, ilcaso.it, Sez. II, Doc. 223/2010, il quale ricorda pure alcuni dei primi contributi dottrinari sul tema. Qui basterà ricordare che i più sembrano propendere per l’applicazione del seguente principio di diritto, enunciato da Cass. civ. 2 luglio 2010, n. 15812:“Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione dell’impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell’atto di impugnazione, discenda dall’overruling; il mezzo tecnico per ovviare all’errore oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza dell’istanza di parte, dato che, nella specie, la causa non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più attendibili”.
([6]) A solo titolo esemplificativo possono ricordarsi in dottrina CONTE,Ruolo sostanziale delle parti nell’opposizione a decreto ingiuntivo ed oneri processuali (chiamata in causa del terzo, domanda riconvenzionale e termine per la formulazione di eccezioni)GI, 2003, 1820 ss.; COMOGLIO-FERRI-TARUFFO, Lezioni sul processo civile, Bologna, 1995; 483; D’ONOFRIO,Commento al nuovo codice di procedura civile, II, Milano, 1941, 163; EBNER-FILADORO, Manuale del procedimento d’ingiunzione, Milano, 1985, 108; GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 149-150; PROTO PISANI,Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 1994, 613; ROCCO, Trattato di diritto processuale civile, VI, 1, Torino, 1962, cit., 171; TEDOLDI-MERLO,L’opposizione a decreto ingiuntivo, in Il procedimento d’ingiunzione, opera diretta da Bruno Capponi, prima edizione, Bologna, 2005, 357 ss., 398-399; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 291 ss., cui si rinvia per ulteriori informazioni bibliografiche. Per la più recente giurisprudenza v. Cass. civ. 9 maggio 1987, n. 4298; Cass. civ. 30 luglio 1988, n. 4795; Cass. civ. 28 novembre 1989, n. 5185; Cass. civ. 22 giugno 1991, n. 7060; Cass. civ. 3 dicembre 1991, n. 12922; Cass. civ. 8 febbraio 1992, n. 1410; Cass. civ. 14 dicembre 1992, n. 13181; Cass. civ. 3 marzo 1994, n. 2124; Cass. civ. 29 luglio 1994, n. 7095; Cass. civ. 28 gennaio 1995, n. 1052; Cass. civ. 22 marzo 1995, n. 3254; Cass. civ. 17 maggio 1997, n. 4422; Cass. civ. 8 novembre 1997, n. 11625; Cass. civ. 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. civ. 24 marzo 1998, n. 3115; Cass. civ. 30 marzo 1999, n. 3051; Cass. civ. 22 aprile 2003, n. 6421; Cass. civ. 21 maggio 2004, n. 9685; Cass. civ. 24 novembre 2005, n. 24815.
([7]) SCIACCHITANO, Ingiunzione (dir. proc. civ.)Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 505 ss., 506, 521.
([8]) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 31.
([9]) Sulle caratteristiche dell’opposizione tardiva v. specialmente BALBI,Inattività dell’intimato ed esecutorietà del decreto di ingiunzioneRDPr, 1979, 40 ss., 49 ss.
([10]) Così Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552.  Sul tema v. Cass. civ. 1° febbraio 2007, n. 2217: “Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione. Perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite. Nel liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c. qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente che, all’esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite. A maggior ragione il giudice può lasciare le spese della fase monitoria a carico della parte ingiunta, allorquando la revoca del decreto ingiuntivo sia dipesa dal pagamento della somma recata dal decreto monitorio nel corso del giudizio di opposizione”.  n termini analoghi v. tra le più recenti Cass. civ. 26 ottobre 2000, n. 14126; Cass. civ. 18 ottobre 2002, n. 14818; Cass. civ. 18 novembre 2003, n. 17440; Cass. civ. 23 settembre 2004, n. 19126; nonché Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596, secondo cui “oggetto dell’opposizione è la stessa lite, i cui termini soggettivi ed oggettivi sono definiti nella domanda d’ingiunzione”.  Si inseriscono nello stesso filone anche quelle pronunce che a proposito dell’opposizione parlano di “prosecuzione” (Cass. civ. 11 giugno 1993, n. 6531; Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552) o di “continuazione orizzontale” (Cass. civ. 30 marzo 1998, n. 3316) o di “ulteriore sviluppo” (Cass. civ. 7 aprile 1987, n. 3355; Cass. civ. 26 marzo 1991, n. 3258) del giudizio già pendente ed iniziato con il ricorso del creditore.
([11]) VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizioneRDPr, 2000, 720 ss., 739 ss., spec.: a) 747-748 [“Poiché – in primo luogo – la sentenza di rigetto e quella di accoglimento parziale dell’opposizione hanno natura condannatoria (come riteniamo di aver dimostrato), poiché – in secondo luogo – il principio enucleabile dagli artt. 99 c.p.c., 112 c.p.c. e 2907, comma 1, c.c. impone la necessità di relazionare codeste sentenze di condanna ad una corrispondente azione di condanna e poiché – infine –tali sentenze condannatorie possono essere pronunciate anche quando il creditore non abbia svolto alcuna attività nel giudizio di opposizione(non esistendo alcuna norma contemplante un suo onere di “resistere” all’opponente ), diventa assolutamente logico concludere che le suindicate decisioni di condanna rappresentano la risposta giudiziale data ad una azione di condanna … esercitata dal creditore nella fase monitoria e che, quindi, il giudizio di opposizione costituisce la prosecuzione del medesimo procedimento giurisdizionale introdotto dalla predetta azione (di condanna esercitata in sede monitoria)”]; b) 748 ss. [“Una volta dimostrato – come reputiamo di aver fatto – che il giudizio di opposizione continua a reggersi sulla stessa azione di condanna esercitata nella fase monitoria, sorge spontaneo chiedersi: trattasi dellamedesimaazione proposta con il ricorso per ingiunzione oppure di una diversa azione proposta dal creditore contemporaneamente o successivamente (ma sempre nella fase monitoria) alla prima? E’ evidente, infatti, che la seconda risposta potrebbe essere data nell’ambito della tesi divisante nella domanda d’ingiunzione l’esercizio cumulativo di un’azione speciale e dell’ordinaria azione di condanna (per questa tesi v. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 2 ss., 67 ss., 100; SCALERA, Il procedimento di ingiunzione nella giurisprudenza, Padova, 1976, 20; SEGNI, Giudizio di verificazione di credito ed estensione del giudicatoRDCo, 1941, II, 98) “oppure nell’ambito di quell’altra tesi ravvisante nella notificazione del ricorso e del decreto ex  643 c.p.c. l’implicito esercizio di un’azione di accertamento positivo del diritto oggetto dell’ingiunzione (è la tesi di D’ONOFRIO, Commento al nuovo codice di procedura civile, II, cit., 163).“Ebbene! La combinazione dell’azione speciale e dell’azione ordinaria nel ricorso per ingiunzione appare inequivocabilmente contraddetta dallo stesso diritto positivo e, più esattamente, dall’art. 638 c.p.c.: leggendo il quale non può farsi a meno di rilevare che quel ricorso ha un unico petitum immediato, costituitoesclusivamente ed incondizionatamente dall’ingiunzione. La superiore concezione, perciò, non è accettabile perché si risolve in una vera e propria fictio iuris: e con l’ausilio di finzioni si potrebbe sostenere tutto ed il contrario di tutto (per esempio, che con la proposizione dell’opposizione la fase monitoria potrebbeper finzione considerarsi tamquam non esset e che la sopravvivente ingiunzione potrebbe per finzione equivalere all’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c.)! Analoga censura (di dissimulazione di una mera finzione) può essere mossa pure alla seconda delle opinioni sopra sintetizzate: alla quale, del resto, è possibile obiettare altresì che, poichè con la notificazione ex art. 643, comma 1, c.p.c. la soladomanda portata a conoscenza del destinatario dell’ingiunzione è quella contenuta nel ricorso ex art. 638 c.p.c., anche alla sua stregua la presunta azione esercitata con tale notificazione risulterebbe in definitiva rappresentata dallastessa azione già esercitata col precedente ricorso!”].  ([12]) L’autonomia delle due fasi de quibus è stata, a sua volta, predicata in modi assai variegati perché: A) o si ricostruisce l’opposizione comeautonoma azione di accertamento negativo del diritto riconosciuto dal decreto ingiuntivocon riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della decisione;  B) o si individua nell’opposizione un’autonoma azione di accertamento della legittimità del decreto ingiuntivo, atteso che la pronuncia di merito sulla pretesa creditoria del ricorrente-opposto viene ricollegata alla riproposizione (esplicita od implicita) della pretesa stessa nel corso del giudizio di opposizione; C) o si dice che il processo oppositivo ha unduplice oggetto, e cioètanto il merito del diritto fatto valere con la domanda di ingiunzione, quanto la legittimità del procedimento monitorio, con la conseguenza che gli eventuali vizi di tale procedimento, pur non impedendo una decisione di merito sulla sussistenza del diritto, sono comunque rilevanti sia perché comportano la contestuale revoca del decreto ingiuntivo (ogniqualvolta risulti l’insussistenza delle relative condizioni – compresa l’esigibilità del credito – al momento della sua pronuncia, nonché ogniqualvolta la notificazione del decreto stesso sia tardiva o nulla)], sia perché influiscono sul regolamento delle spese della fase monitoria; D) o, infine, si riconosce al giudizio di opposizionelanatura di procedimento di impugnazione del decreto ingiuntivo. Sul punto rinviamo a VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 723 ss.
([13]) V. le note 20 e 22.
([14]) V. Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10984: “La competenza del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo è inderogabile, come sono funzionalmente inderogabili tutte le competenze del giudice dell’impugnazione; di conseguenza, qualora l’opponente proponga una domanda riconvenzionale eccedente la competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo deve provvedere alla separazione delle cause, trattenendo quella di opposizione (di sua competenza esclusiva) e rimettendo la domanda riconvenzionale al giudice competente per valore, salvo sospendere il giudizio di opposizione – ove ricorrano i presupposti dell’art. 295 c.p.c. – fino alla definizione della causa pendente innanzi all’altro giudice”.  Negli stessi termini la coeva Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10985.  Conf. tra le più recenti (dopo la risoluzione del precedente contrasto giurisprudenziale operato da Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985) Cass. civ. 19 giugno 1993, n. 6838; Cass. civ. 23 giugno 1995, n. 7129; Cass. civ. 6 aprile 1996, n. 3241; Cass. civ. 21 giugno 1996, n. 5737; Cass. civ. 25 settembre 1997, n. 9418; Cass. civ. 9 settembre 1998, n. 8914; Cass. civ. 13 dicembre 1999, n. 13950; Cass. civ. 13 novembre 2000, n. 14703; Cass. civ, Sez. un., 18 luglio 2001, n. 9769; Cass. civ. 12 febbraio 2002, n. 2011; Cass. civ. 23 maggio 2003, n. 8165; Cass. civ. 29 marzo 2004, n. 6267; Cass. civ. 16 novembre 2004, n. 21687; Cass. civ. 17 marzo 2006, n. 6054; Cass. civ. 20 settembre 2006, n. 20324; Cass. civ. 16 novembre 2007, n. 23813.   Sul tema in discorso v. per tutti CAPPONI, Connessione e processo simultaneo davanti al giudice di paceGI, 1992, IV, 168 ss.; VULLO, La domanda riconvenzionale, Milano, 1995, 368 ss.
([15]) Cfr. Cass. civ. 10 aprile 1996, n. 3319, nella cui motivazione si legge che, poiché “il giudizio di opposizione si sovrappone a quello sulla legittimità del decreto, … l’impugnazione non può essere dedotta solo per fare accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se almeno non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali”.  Nello stesso senso v. pure Cass. civ., Sez. un., 30 dicembre 1991, n. 14017: “L’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, prevista dall’art. 650 c. p. c. in caso di irregolarità della sua notificazione, non può esaurirsi in una denuncia di tale irregolarità, perché siffatta denuncia, ove non sia accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria, e non sia quindi indirizzata all’apertura del giudizio di merito (nonostante il decorso del termine all’uopo fissato), non è atta ad alcun risultato utile per l’opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase monitoria”. Analogamente Cass. civ. 22 gennaio 1997, n. 668: “Il principio per cui la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in assenza dei presupposti necessari per l’applicazione di tale disposizione è nulla ma non è giuridicamente inesistente comporta che qualora la notificazione eseguita con modalità di cui alla norma sopraindicata abbia ad oggetto un decreto ingiuntivo l’opposizione dell’intimato esplica effetto sanante della pregressa nullità, sicchè ove l’opponente si limiti a dedurre l’inefficacia del decreto a norma dell’art. 644 c.p.c. senza contestare ulteriormente la pretesa fatta valere in via monitoria, l’inammissibilità dell’opposizione, per difetto di interesse, rende inammissibile, sotto lo stesso profilo, l’appello proposto contro la sentenza che abbia deciso sull’opposizione e il ricorso per cassazione contro quest’ultima”.  E’ evidente come tali decisioni siano espressione del principio secondo cui “il giudice del gravame in tanto può decidere la causa nel merito, in quanto le questioni di merito siano state debitamente e ritualmente dedotte” (cfr. Cass. civ. 8 ottobre 1957, n. 3643; Cass. civ. 26 giugno 1980, n. 4012; Cass. civ. 8 agosto 1987, n. 6799; Cass. civ. 22 aprile 1989, n. 1934; Cass. civ. 4 ottobre 1991, n. 10389; Cass. civ. 27 aprile 1994, n. 4018; Cass. civ. 9 marzo 1995, n. 2735), sul quale v. BALENA, La remissione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, 316 ss.
([16]) Così SATTA, Diritto processuale civile, Padova, 1973, 352, il quale precisa ancora: “impugnare, infatti, non significa altro, latinamente, che contrastare, attaccare, e quindi l’impugnazione non ha in sé e per sé alcuna tipicità”.
([17]) Cfr. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 337 ss.
([18]) Cfr. GIANNOZZI, Il reclamo nel processo civile, Milano, 1968, 275 ss.
([19]) Cfr. CALIFANO-PERAGO, Le impugnazioni civili, Torino, 1999, 2, dove si considera “di comune evidenza che genericamente” la parola impugnazione “sia riferibile anche ad atti di natura sostanziale”.
([20]) La natura di impugnazione in senso tecnico dell’opposizione è sostenuta specialmente da GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 144, 195 ss. 221; e da LORENZETTO PESERICO, Opposizione a decreto ingiuntivo e competenzaRDC, I, 1993, 759 ss., 799 ss.
([21]) Per altre osservazioni critiche rinviamo a VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 751 ss. (obiezioni di carattere generale), 759-760 (obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione a decreto ingiuntivo un’impugnazione di tipo sostitutivo), 760 ss. (obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione a decreto ingiuntivo un’impugnazione di tipo rescindente), 763-764 (obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione a decreto ingiuntivo un’impugnazione di tipo eliminatorio), 764 ss. (obiezioni alla tesi ravvisante nell’opposizione a decreto ingiuntivo un’impugnazione c.d. processuale).
([22]) Questa obiezione ci serve, in particolare, per contrastare la tesi sulla natura impugnatoria dell’opposizione a decreto ingiuntivo recentemente proposta da RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 80 ss., 339 ss., secondo cui “quest’ultima, essendo attivabile ad iniziativa dell’ingiunto ed essendo destinata ad accertare in modo pieno, e per la prima volta, se la condanna monitoria sia conforme al diritto (sostanziale e processuale), è un giudizio di impugnazione che si struttura con i caratteri, i contenuti e le cadenze proprie del procedimento di primo grado: è, in sintesi, un’impugnazione di primo grado” (così sinteticamente a p. 82).  Aderiscono a questa ricostruzione TEDOLDI-MERLO, L’opposizione a decreto ingiuntivo, cit., 360-361.  Trattasi, nondimeno, di un’impostazione originale solo … nella sua suggestiva qualificazione perché nella sostanza si è in presenza di una mera rielaborazione (verbale) di opinioni già da tempo espresse (v. specialmente MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 2009, 38: “Il meccanismo introduttivo di questa fase è del tutto identico al meccanismo introduttivo di un’impugnazione … Sennonché, le caratteristiche proprie dell’impugnazione subiscono, a questo punto, una profonda attenuazione o anomalia, poiché una volta introdotto, il giudizio di opposizione costituisce un giudizio di primo grado”).  Anche alla stregua dell’obiezione che tra poco formuleremo, continuiamo a ritenere preferibile l’opinione ravvisante nell’ingiunzione e nell’opposizione una relazione di tipo (non impugnatorio stricto sensu, ma) anticipatorio (v. nota 30).
([23]) Cfr. esemplificativamente Cass. civ., 2 ottobre 1997, n. 9628: “Il giudicato interno può formarsi solo su di un capo autonomo di sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente”.
([24]) Dall’art. 324 c.p.c., infatti, si desume inequivocabilmente che la preclusione delle impugnative “ordinarie” [id est: delle impugnazioni proponibili entro un termine perentorio decorrente dalla notificazione (art. 326 c.p.c.) o dalla pubblicazione (art. 327 c.p.c.) del provvedimento] produce la cosa giudicata formale: vale a dire, la definitività del provvedimento (salve, ovviamente, future ed eventuali impugnative “straordinarie”). Siccome l’opposizione va proposta entro un termine perentorio decorrente dalla notificazione del decreto ingiuntivo (art. v. artt. 641, 1° comma, e 647, 1° comma, c.p.c.), la stessa – se fosse un “vero” mezzo di impugnazione – dovrebbe considerarsi l’impugnazione “ordinaria” del decreto ingiuntivo.
([25]) Attesa la lapalissiana interdipendenza esistente tra le nozioni di impugnazione ordinaria-cosa giudicata formale ex art. 324 c.p.c.-cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c., è evidente che la negazione dell’equazione opposizione-impugnazione ordinaria dell’ingiunzione mette in crisi pure la concezione (dominante in giurisprudenza), secondo cui il decreto ingiuntivo non opposto possiede (oltre alla definitiva esecutorietà exart. 647 c.p.c.) l’autorità di cosa giudicata sostanziale (v. tra le più recenti Cass. civ. 20 aprile 1996, n. 3757; Cass. civ. 11 giugno 1998, n. 5801; Cass. civ. 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. civ. 19 luglio 2006, n. 16540; Cass. Civ. 28 agosto 2009 n. 18791).  Per la dottrina che riconosce al decreto ingiuntivo non opposto (ed a quello definitivamente esecutivo in genere) l’autorità di cosa giudicata sostanziale v. specialmente GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 5 ss., il quale fa leva sul richiamo ex art. 656 c.p.c. dell’art. 395, n. 5, c.p.c., la cui funzione è quella di impedire un conflitto tra due giudicati (ma per una diversa lettura di codesta disposizione v. RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, cit., 571 ss., spec. 578, il quale anzi da quella stessa disposizione trae argomenti contrari alla tesi del Garbagnati).  In senso contrario v., invece, REDENTI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957, 26-27, che parla di preclusione-presunzione pro iudicato avente natura puramente processuale ed inidonea a produrre “effetti o conseguenze che vadano oltre i limiti della pura e semplice protezione di quanto conseguito o conseguibile in via di esecuzione”; nello stesso senso sostanzialmente ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, cit., 113 ss.; BALBI,Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur., XVII, Roma 1997, 15; CARNELUTTI, Istituzioni del processo civile italiano, III, Roma, 1956, 135-136; MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 218 ss., spec. 220, nota 30. Per un esame panoramico delle varie opinioni espresso sul tema de quo, infine, v. CAPPONI, Decreto ingiuntivo e giudicato. Gli orientamenti giurisprudenziali, in Il procedimento d’ingiunzione, opera diretta da Bruno Capponi, seconda edizione, Bologna, 2009, 691 ss.; CARIGLIA, Note sull’efficacia del decreto ingiuntivo non oppostoFI, 1998, I, 1980 ss.
([26]) Cfr., invece, Cass. civ., Sez. un.., 25 giugno 2009, n. 14889: “A norma dell’art. 161 cod. proc. civ., le nullità anche insanabili – fra le quali rientra il difetto di giurisdizione – possono essere fatte valere solo con i mezzi di impugnazione e secondo le regole proprie di questi, secondo una disciplina, applicabile pure al giudizio amministrativo, che può avere come conseguenza anche quella di impedire la rilevabilità di dette nullità; ne consegue che, qualora il TAR, pronunciando sul merito della domanda, abbia implicitamente riconosciuto la propria giurisdizione e tale statuizione non sia stata contestata nei motivi di appello, non rileva che il Consiglio di Stato abbia affrontato la relativa questione – benché preclusa – ed il ricorso per cassazione avverso la sentenza di quest’ultimo è inammissibile, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione”. V. pure sulla questione di giurisdizione la “fondamentale” ed innovativa Cass. civ., Sez. un., 9 ottobre 2008, n. 24883; e sulle questioni rilevabili d’ufficio Cass. civ. 13 giugno 1991, n. 6657 (“La rilevabilità d’ufficio di determinate questioni, tra le quali quella dell’integrità del contraddittorio, deve essere contemperata con i principi relativi alla formazione del giudicato, sicché, se sulla questione, in ipotesi rilevabile d’ufficio, il giudice si sia espressamente pronunciato e la statuizione non sia stata oggetto d’impugnazione, il riesame di quella questione resta precluso”).
([27]) La rilevabilità ex officio dell’incompetenza per materia, per valore e per territorio inderogabile ex art. 28 c.p.c. è stata da sempre affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Sino al recente passato, invece, si riteneva che “incombeva sull’ingiunto l’onere di sollevare la relativa eccezione nell’atto di opposizione, laddove si trattasse di competenza territoriale derogabile” (VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 160). Corte cost. 3 novembre 2005, n. 410, tuttavia, ha dichiarato “non fondata, in riferimento agli artt. 24 e 111, 2° comma, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 637 c.p.c. nella parte in cui non prevede la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale derogabile nella fase senza contraddittorio del procedimento per ingiunzione, dovendosi ritenere che il giudice abbia detta potestà di rilevazione”.
([28]) Cfr., invece, Cass. civ. 12 novembre 1998, n. 11454: “La rilevabilità d’ufficio della incompetenza per materia del giudice adito, nel vigore del testo originario dell’art. 38 cod. proc. civ., trova limite nella formazione del giudicato interno, cosicché l’incompetenza per materia non può essere eccepita ne’rilevata d’ufficio nel giudizio di cassazione quando sulla competenza sia intervenuta una pronuncia del giudice di merito non impugnata sul punto”.
([29]) V., infatti, Cass. civ. 1° febbraio 2007, n. 2217 (“Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto diingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione. Perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite. Nel liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c. qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente che, all’esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite. A maggior ragione il giudice può lasciare le spese della fase monitoria a carico della parte ingiunta, allorquando la revoca del decreto ingiuntivo sia dipesa dal pagamento della somma recata dal decreto monitorio nel corso del giudizio di opposizione”); e Cass. civ. 8 agosto 1997, n. 7354 [“Il giudizio introdotto con la proposizione di un’opposizione a decreto ingiuntivo, e concluso con il rigetto della medesima e con il conseguente accoglimento della domanda di condanna proposta con ricorso nella fase monitoria, costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria (pur essendo il procedimento per ingiunzione caratterizzato da autonome fasi di apertura – presentazione del ricorso – e di chiusura – notifica del decreto ingiuntivo – ), con la conseguenza che l’organo giurisdizionale, chiamato a definire, con sentenza, il giudizio innanzi a sè, deve pronunciarsi sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento con esclusiva considerazione dell’esito finale della lite, ma con facoltà di escludere, dal rimborso stesso, quelle sostenute dalla parte, pur vittoriosa, che abbia proposto la domanda di ingiunzione in mancanza delle necessarie condizioni di ammissibilità”].  Ben diversamente, invece, succederebbe, se l’opposizione fosse un’impugnazione in senso proprio dell’ingiunzione: cfr Cass. civ. 17 gennaio 2007, n. 974 (“In materia di liquidazione delle spese giudiziali nel giudizio di appello, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito confermando la sentenza di primo grado non può in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione relativo alla statuizione sulle spese processuali, modificare tale statuizione, compensando tra le parti le spese del giudizio di primo grado, mentre, in presenza del motivo di impugnazione relativo alle spese, la decisione sulle spese dell’intero giudizio spetta al giudice dell’impugnazione, che nella liquidazione di esse deve tener conto dell’ esito complessivo del giudizio”); e Cass. civ. 3 maggio 2010, n. 10622 (“In materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare il contenuto della statuizione di condanna al pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo grado, compensandole, attesi i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, alla cui applicabilità non è di ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese, che resta pur sempre autonomo”).
([30]) Riconducono il decreto ingiuntivo alla categoria della tutela anticipatoria non cautelare, per esempio, CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 180 ss.; FRISINA, La tutela anticipatoria: profili funzionali e strutturaliRDPr, 1986, 364 ss., 370-371; LEVONI,Provvedimenti sommari non cautelari e regime sostanziale dell’azioneRTPC, 1983, 103 ss., 105; MANDRIOLI, La caducazione dei cosiddetti accertamenti anticipati per effetto della pronuncia della sentenza di primo grado ancorchè non esecutivaRDC, 1961, II, 518 ss., cit., 527; ID., Per una nozione strutturale dei provvedimenti anticipatori o interinali, cit., RDPr, 1964, 551 ss., 569 ss.
([31]) E’ stato giustamente sottolineato che, “fatte salve le sole deroghe espressamente stabilite dagli artt. 645 ss., in sede di opposizione a decreto ingiuntivo la disciplina del giudizio ordinario deve applicarsi integralmente” (TURRONI, Opposizione a decreto ingiuntivo inammissibile: effetti sulle domande congiunteRTPC, 1999, 665 ss., 679; analogamente Cass. civ. 30 marzo 1998, n. 3316).
([32]) Ricollega l’inizio del procedimento al deposito del ricorso GARGAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 42, cui si rinvia per l’esame delle diverse posizioni assunte sul tema dalla dottrina. Per CHIOVENDA, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, 248, invece, il rapporto processuale nasce con la presentazione della domanda e l’avversario non è parte del medesimo sin quando essa non gli sia stata notificata (nello stesso senso VERDE, Profili del processo civile. Parte generale, Napoli, 1991, 218). Ma “bisogna precisare che altro è la presentazione della domanda, altro l’instaurazione del contraddittorio: non bisogna confondere la tecnica usata dal legislatore per consentire la partecipazione delle parti al processo con quella della proposizione della domanda e della conseguente instaurazione del procedimento. Se è necessario considerare con la massima attenzione la tutela del diritto di difesa delle parti, ciò non significa che non si possa distinguere il momento in cui si diviene parti del procedimento da quello, talora successivo, in cui le parti sono poste tecnicamente in grado di contraddire, come avviene in alcuni procedimenti sommari ma anche nel processo di cognizione a rito speciale per le controversie di lavoro” (così esattamente TOMMASEO, Parti (diritto processuale civile), in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, 6).
([33]) V. gli autori e le sentenze indicati nella nota 6.
([34]) V. in tal senso gli scrittori ricordati nella nota 56.
([35]) Così Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596.  In questo modo le Sezioni Unite hanno avallato l’orientamento inaugurato da Cass. civ. 18 marzo 2003, n. 3978, cui ha fatto seguito Cass. civ20 aprile 2006, n. 9181. In base al precedente e “tradizionale” orientamento, invece, gli effetti della litispendenza erano prodotti e decorrevano dalla notificazione ex art. 643, 3° comma, c.p.c.: v. tra le più recenti Cass. civ. 29 ottobre 1998, n. 10784; Cass. civ. 15 febbraio 2001, n. 2214; Cass. civ., Sez. un., 23 luglio 2001, n. 10011; Cass. civ. 6 giugno 2003, n. 9132; Cass. civ. 2 febbraio 2006, n. 2319. Anche la dottrina era pressoché univoca in tal senso. Contra, però, e nel senso oggi recepito dalle Sezioni Unite FRUS, Pendenza della lite, tutela cautelare e procedimento monitorioRTPC, 1995, p. 557ss., 565 ss.; NICOLETTI, Note sul procedimento ingiuntivo nel diritto positivo italianoRTPC, 1975, p. 945 ss., 962 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 71; VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 770.
([36]) VISCO, Il procedimento per ingiunzione, Roma, 1951, 158.
([37]) Contra tra le piu recenti Cass. civ. 18 aprile 2006, n. 8955 (“La documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di tale produzione, essa non entra a fare parte del fascicolo d’ufficio e il giudice non può tenerne conto. L’omessa produzione in primo grado non preclude alla parte opposta rimasta contumace in primo grado in un giudizio regolato dall’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla sostituzione operata dalla l. n. 353 del 1990, di produrre i documenti in appello, senza che sia necessario proporre appello incidentale ove il giudizio di primo grado sia stato definito con la conferma della pretesa posta a base dell’ingiunzione”).  In dottrina v. in tal senso RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, cit., 450-451, il quale dalle norme in tema di riassunzione ex artt. 125 disp. att. c.p.c. e 303, ultimo comma, c.p.c. ritiene “di poter ricavare il principio per cui l’onere di costituirsi in giudizio sorge in relazione ad ogni (grado o) fase processuale che si presenti come eventuale rispetto all’atto che ha concluso (il grado o) la fase precedente” [il che tuttavia sembra eccessivo, posto che la stessa giurisprudenza in tema di riassunzione è sul punto incoerente: cfr. Cass. civ. 1° dicembre 1998, n. 12191 (“Alla luce del collegamento della disposizione contenuta nell’art. 303 c.p.c. con quella di portata generale di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c., la parte destinataria dell’atto di riassunzione ha l’onere di rinnovare la costituzione pena la declaratoria di contumacia, anche in caso di precedente costituzione, con la conseguenza che va esclusa la possibilità di riproposizione dell’impugnazione incidentale in sede di riassunzione, dovendo considerarsi sufficiente la manifestazione della volontà di conservarne gli effetti”), i cui assunti sembrano però smentiti da Cass. civ. 23 settembre 2003, n. 14100 (“In tema di riassunzione del processo interrotto, i soggetti già costituiti nella fase precedente all’interruzione, i quali, a seguito della riassunzione ad opera di altra parte, si presentino all’udienza a mezzo del loro procuratore, non possono essere considerati contumaci, ancorché non abbiano depositato nuova comparsa di costituzione, atteso che la riassunzione del processo interrotto non dà vita ad un nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma mira unicamente a far riemergere quest’ultimo dallo stato di quiescenza in cui versa”)].
([38]) Conf. BALBI, “Ingiunzione (procedimento di)”, cit., 18; CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, cit., 217 ss.; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 388.  Una conferma della nostra opinione può – se si vuole – rinvenirsi nell’art. 647 c.p.c., il quale, ricollegando alla mancata costituzione del solo opponente effetti assolutamente coincidenti con quelli divisati dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. rispetto all’ipotesi di estinzione del processo di opposizione (id est: la definitiva esecutorietà del decreto), a ben considerare postula l’inapplicabilità allo stesso processo di opposizione dell’art. 307, 1° comma, prima parte, c.p.c. (“Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita … ”) proprio perché la costituzione del creditore-opposto è già avvenuta; e, anzi, finisce con il rappresentare un’applicazione dell’art. 307, 3° comma, c.p.c., che ricollega l’estinzione (tra l’altro) alla mancataprosecuzione del giudizio, ad opera della parte “onerata”, nel termine perentorio stabilito dalla legge.
([39]) Tale affermazione è usuale in dottrina [v. ad esempio BALBI,Ingiunzione (procedimento di), cit., 13; D’ONOFRIO, Commento al nuovo codice di procedura civile, II, cit., 163; GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 200; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, cit., III, 39; MICHELI,L’onere della prova, Padova, 1966, 483; PAJARDI, Il procedimento monitorio, cit., 88; PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, cit., 613; REDENTI,Diritto processuale civile, III, cit., 32; TEDOLDI-MERLO, L’opposizione a decreto ingiuntivo, cit., 445; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 291; VISCO, Il procedimento per ingiunzione, cit., 159] ed in giurisprudenza (v. ex plurimis Cass. civ. 18 gennaio 1990, n. 234; Cass. civ. 26 febbraio 1990, n. 1442; Cass. civ. 14 dicembre 1992, n. 13181; Cass. civ. 26 aprile 1993, n. 4857; Cass. civ. 3 marzo 1994, n. 2124; Cass. civ. 24 agosto 1994, n. 7504; Cass. civ. 29 agosto 1994, n. 7659; Cass. civ. 17 novembre 1997, n. 11417; Cass. civ. 8 settembre 1998, n. 8853; Cass. civ. 22 aprile 2003, n. 6421; Cass. civ. 30 luglio 2004, n. 14556; Cass. civ. 24 novembre 2005, n. 24815). Dissentono, però, TOMEI, Procedimento di ingiunzioneDigesto/civ., XIX, Torino, 1996, 559 ss., 580 (nel contesto di una singolarissima ricostruzione, che abbiamo criticato in VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 764 ss.) e SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, cit., 38, 79, 84 [limitatamente all’ipotesi di opposizione “di fronte a un decreto legittimamente dato”; ma l’Autore assume un postulato (costringere in tale ipotesi “l’opposto a dare la prova ordinaria …, significherebbe mettere automaticamente nel nulla il decreto e l’intero procedimento ingiuntivo, anzi la tutela sommaria in genere, riducendola a pura forma”: così a pag. 79), la cui erroneità de iure condito emerge da quanto previsto non solo dall’art. 648 c.p.c. (possibilità di concedere la provvisoria esecutorietà all’opposto decreto), ma soprattutto dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. (definitiva esecutività del decreto in caso di estinzione del processo di opposizione)].
([40]) E’ questa la tendenza che comincia a prevalere tanto in dottrina [v. per esempio, BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 14], quanto in giurisprudenza (v. in particolare Cass. civ., 12 gennaio 2006, n. 419: “L’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, in cui il giudice deve, non già stabilire se l’ingiunzione fu emessa legittimamente in relazione alle condizioni previste dalla legge per l’emanazione del provvedimento monitorio, ma accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione e, se il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino l’insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura. Invece, l’insussistenza delle condizioni che legittimano l’emanazione del procedimento monitorio può spiegare rilevanza soltanto sul regolamento delle spese della fase monitoria”; nello stesso senso v. ex plurimis Cass. civ. 8 aprile 1989, n. 1690; Cass. civ. 11 gennaio 1989, n. 63; Cass. civ. 28 settembre 1994, n. 7892; Cass. civ. 10 aprile 1996, n. 3319; Cass. civ. 4 dicembre 1997, n. 12311; Cass. civ. 8 settembre 1998, n. 8853; Cass. civ. 25 marzo 2000, n. 3591; Cass. civ. 12 maggio 2003, n. 7188; Cass. civ. 18 novembre 2003, n. 17440; Cass. civ. 16 marzo 2004, n. 5311; Cass. civ. 24 maggio 2004, n. 9927; Cass. civ. 24 giugno 2004, n. 11762; Cass. civ. 15 luglio 2005, n. 15037; Cass. civ. 31 maggio 2006, n. 13001; Cass. civ. 19 gennaio 2007, n. 1184.
([41]) Conf. BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 14; Cass. civ. 20 giugno 1983, n. 4234; Cass. civ. 13 gennaio 1992, n. 287; Cass. civ. 30 marzo 1995, n. 3783; Cass. civ. 2 settembre 1998, n. 8717; Cass. civ. 25 marzo 2000, n. 3591; Cass. civ. 18 novembre 2003, n. 17440; Cass. civ. 16 marzo 2004, n. 5311; Cass. civ. 15 luglio 2005, n. 15037; Cass. civ. 12 gennaio 2006, n. 419; Cass. civ. 1° febbraio 2007, n. 2217.
([42]) V. nota 15.
([43]) V. art. 115, 1° comma, c.p.c. nel testo sostituito dall’art. 45, 14° comma , della L. 18 giugno 2009, n. 69: “Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita”. Sul tema v. per tutti IANNIRUBERTO, Il principio di non contestazione dopo la riforma dell’art. 115 c.p.c.GC, 2010, 309 ss.  Sugli effetti della non contestazione quale espressione di un principio generale (prima della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c.) v. CARRATTA, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1996, 261 ss.
([44]) Contra unanimemente la dottrina [v. per tutti BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 14; LORENZETTO PESERICO, Opposizione a decreto ingiuntivo e competenza, cit., 793 ss.] e la giurisprudenza, la quale talvolta, anziché di revoca dell’opposto decreto, parla di declaratoria – esplicita o addirittura implicita – di nullità del decreto stesso (v. Cass. civ. 24 aprile 1981, n. 2455; Cass. civ. 6 novembre 1987, n. 8242; Cass. civ. 28 aprile 1989, n. 2000; Cass. civ. 12 dicembre 1989, n. 5554; Cass. civ. 9 giugno 1990, n. 5623; Cass. civ. 25 settembre 1991, n. 10007; Cass. civ. 27 aprile 1994, n. 335; Cass. civ. 19 agosto 1994, n. 7438; Cass. civ. 4 gennaio 1995, n. 139; Cass. civ. 11 ottobre 1995, n. 10586; Cass. civ. 1° dicembre 1995, n. 12423; Cass. civ. 28 febbraio 1996, n. 1584; Cass. civ. 19 luglio 1996, n. 6510; Cass. civ. 11 agosto 1997, n. 7475; Cass. civ. 12 febbraio 1998, n. 1485; Cass. civ. 17 marzo 1998 n. 2843; Cass. civ. 17 dicembre 1999, n. 14225; Cass. civ., Sez. un., 23 luglio 2001, n. 10011; Cass. civ., 26 luglio 2001, n. 10206; Cass. civ. 11 giugno 2002, n. 8327; Cass. civ. 26 marzo 2003, n. 4478; Cass. civ. 20 maggio 2005, n. 10687; Cass. civ. 12 luglio 2005, n. 14552; Cass. civ. 30 novembre 2005, n. 26076; Cass. civ. 11 luglio 2006, n. 15694; Cass. civ. 11 maggio 2007, n. 10875; Cass. civ. 21 maggio 2007, n. 11748; Cass. civ. 3 ottobre 2007, n. 20759.  La nostra “eterodossa” convinzione si basa pure sulla seguente considerazione: se la declaratoria d’incompetenza de qua comportasse la caducazione del decreto ingiuntivo, quello riassunto ex art. 50 c.p.c. sarebbe (contrariamente a quanto postulato dal medesimo art. 50: “… il processocontinua davanti al nuovo giudice”) non più lo stesso processo ingiuntivo in senso lato (provocato da un’azione di condanna esercitata in forme speciali e caratterizzato dalla “sopravvivenza” dell’ingiunzione nella fase a cognizione piena), ma un diverso processo ordinario di cognizione [presupponente un’azione di condanna “rivestita” delle forme ordinarie, la quale però … non sarebbe stata mai concretamente esercitata: v. nota 11, sub b)].
([45]) V. Cass. civ. 29 ottobre 1986, n. 6337; Cass. civ. 28 aprile 1989, n. 2037; Cass. civ. 9 settembre 1993, n. 9444; Cass. civ. 6 agosto 1994, n. 7309.
([46]) Contra la giurisprudenza richiamata nella nota 14. Per le contrapposte opinioni sul punto v. LORENZETTO PESERICO,Opposizione a decreto ingiuntivo e competenza, cit., 799 ss.; VULLO, La domanda riconvenzionale, cit., 368 ss.
([47]) Così paradigmanticamente Cass. civ. 21 maggio 2004, n. 9685, in motivazione.
([48]) LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1973, 69.
([49]) LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, cit., 79.
([50]) CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1980 (Ristampa anastatica della terza edizione del 1923), 581.
([51]) Così tra le più recenti Cass. civ. 9 agosto 2007, n. 17469
([52]) E’ opportuno sottolineare che per l’art. 638 c.p.c. quel ricorso ha lostesso contenuto dell’ordinaria domanda giudiziale (conf. CHIOVENDA,Principii di diritto processuale civile, cit., 1194; MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, cit., 24).  Esso, infatti, deve indicare: – l’ufficio giudiziario (v. il comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 1, c.p.c.); – le parti (v. il comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 2, c.p.c.); – l’oggetto (v. il comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 3, c.p.c.); – le ragioni della domanda (v. il comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 4, I parte, c.p.c.); – le conclusioni (v. il comb. disp. degli artt. 638 e 125 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 4, seconda parte, c.p.c.); – le prove che si producono (v. l’art. 638 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 5, c.p.c.); – l’indicazione del procuratore del ricorrente (v. l’art. 638 c.p.c. in rapporto con l’art. 163, 3° comma, n. 6, c.p.c.). Va da sé, naturalmente, che la mancanza nel ricorso de quo della in ius vocatiosi giustifica appieno con la ratio stessa del procedimento monitorio, consistente nell’opportunità di evitare il “processo ordinario con cognizione completa, nei casi in cui il convenuto o aderisca alla domanda, o rimanga contumace, o insomma nulla eccepisca”. Atteso quanto sopra e quello che abbiamo già detto a proposito della continuità procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione, ci pare incontestabile che il ricorso ex art. 638 c.p.c. costituisce la domanda introduttiva di quell’unico giudizio, in cui si risolve il processo d’ingiunzione in senso lato.
([53]) Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552.
([54]) ANDRIOLI, Diritto processuale civile, I, Napoli, 1979, p. 371.
([55]) V. nota 6.
([56]) Conf. BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 12; MICHELI, L’onere della prova, cit., 482; TURRONI, La posizione assunta dalle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e la domanda riconvenzionale dell’opposto,NGCC, 1999, I, 62 ss., 64 ss.; VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 769; VISCO, Il procedimento per ingiunzione, cit., 157 ss.; nonché ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, cit., 74 [nell’ambito della particolare concezione del ricorso per ingiunzione quale “esercizio di due azioni, l’una speciale e l’altra ordinaria”: v. nota 11, sub b)].
([57]) Secondo l’orientamento dominante in giurisprudenza ed in coerenza con la lettera dell’art. 166 c.p.c. (che richiama espressamente l’udienza “fissata a norma dell’art. 168 bis, quinto comma”), ai fini della tempestività della costituzione del convenuto è irrilevante la diversa data dell’udienza di prima comparizione “rimandata” ope legis ai sensi dell’art. 168 bis, 4° comma, c.p.c; mentre, viceversa, è rilevante quella “differita” dal giudice istruttore ai sensi dell’art. 168 bis, 5° comma, c.p.c. [cfr. Cass. civ. 4 novembre 2003, n. 16562: II termine di cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, entro il quale il giudice designato può differire, con decreto motivato, ai sensi dell’articolo 168 bis, comma 5, del c.p.c., la data della prima udienza è ordinatorio, in applicazione del generale principio di presunzione di tale carattere dei termini, stabilitodall’articolo 152, comma 2, del c.p.c. Deriva, da quanto precede, pertanto, che a differenza del rinvio d’ufficio, ai sensi dell’articolo 168 bis, comma 4, del c.p.c., all’ udienza immediatamente successiva, secondo il calendario giudiziario, per l’ipotesi in cui nel giorno fissato con l’atto di citazione per l’udienza di prima comparizione il giudice non tenga udienza (nel qual caso i termini di comparizione devono essere osservati in relazione all’ udienza fissata con l’atto di citazione e dunque anche la costituzione del convenuto, ai fini della tempestività della stessa. deve avvenire in relazione all’ udienza indicata nell’atto di citazione e non a quella automaticamente rinviata) nel caso in cui il differimento d’ udienza derivi dal decreto del giudice ai sensi del comma 5 dello stesso articolo l68 bis i termini di comparizione e di costituzione, anche ai fini della tempestività delle domande di cui all’articolo 167 del c.p.c. devono essere computati in relazione alla data dell’ udienza differita e non a quella indicata nell’atto di citazione e ancorché il provvedimento di differimento sia stato adottato oltre il termine di cinque giorni dalla presentazione del fascicolo”; in argomento v. pure Cass. civ. 4 novembre 2003, n. 16526; Cass. civ. 29 aprile 2005, n. 8897; Cass. civ. 28 maggio 2007, n. 12490].
([58]) L’esistenza di questo potere del giudice istruttore o del presidente del tribunale, pur non essendo espressamente previsto dalla legge, può affermarsi sia in applicazione analogica dell’art. 163 bis, ultimo comma, c.p.c.,sia in quanto estrinsecazione del più generale potere di direzione del procedimento ex art. 175, 1° comma, c.p.c. (“Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento”). In quest’ultimo senso v. : – Cass. civ. 7 giugno 1991, n. 6520 [Il provvedimento del giudice che, con riguardo alla udienza di istruzione della singola causa, dopo la chiusura del relativo verbale, che segna anche il momento terminale dell’ udienza, abbia, su istanza di parte, disposto la riapertura del verbale stesso, implica la revoca del provvedimento già pronunciato di fissazione della udienza successiva con immediata trattazione della causa; tale provvedimento, che può ricondursi al potere di direzione del procedimento che compete al giudice istruttore (art. 175 c. p. c.), non può ledere il diritto di difesa delle parti e non può pertanto prescindere dalla sua tempestiva comunicazione, in mancanza della quale, a meno che non vi sia l’accordo dei procuratori delle parti costituite o che questi non siano presenti, l’udienza così anticipata (‘riaperta’) deve ritenersi nulla”; conf. Cass. civ. 17 aprile 1997, n. 3303]; – Cass. civ. 29 aprile 2005, n. 8897 (La sentenza del giudice di appello, che, nel nuovo rito del lavoro, decida la causa in un’udienza anteriore a quella fissata a norma del primo comma, art. 434 c. p. c. ed in assenza di una delle parti, non avvertita dell’anticipazione dell’udienza di discussione, è affetta da nullità insanabile, in quanto emessa in violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa”). L’esistenza di codesto potere è implicitamente riconosciuta pure da Cass. civ. 22 febbraio 1996, n. 1402: “In base al meccanismo dell’art. 168 bis c.p.c., l’udienza non può essere anticipata rispetto a quella stabilita nell’atto di citazione e i convenuti possono costituirsi sino alla data dell’udienza indicata nella citazione o a quella posteriore dell’udienza determinata a norma del comma 4 art. cit.; con la conseguenza che, l’anticipazione ‘d’ufficio’ dell’udienza – alla quale non ha fatto seguito nè la notificazione, nè la comunicazione – lede irreparabilmente il diritto del convenuto di costituirsi almeno fino a tali date, così determinando una nullità insanabile, di ordine sistematico, che rende nulli tutti gli atti del processo”.
([59]) Cass. civ. 8 settembre 1992, n. 10291. Conf. Cass. civ. 19 aprile 1991, n. 4227; Cass. civ. 14 settembre 2004, n. 18448. In argomento v. pure Cass. civ., Sez. un., 18 giugno 1996, n. 5571; Cass. civ. 14 luglio 2001, n. 9596; Cass. civ. 5 maggio 2003, n. 6822; nonché con specifico riferimento al procedimento d’ingiunzione Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596.
([60]) V. la nota 38.
([61]) Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552.
([62]) V. le note 37 e 38.
([63]) Sulla funzione di tale disposizione indugeremo nel prossimo paragrafo.
([64]) V. ultimamente e per più complete informazioni VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 386 ss.
([65]) V. Cass. civ., Sez. un., 9 settembre 2010 n. 19246: “È consolidato orientamento di questa Corte che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell’opponente va equiparata alla sua mancata costituzione e comporta l’improcedibilità dell’opposizione (Cass. n. 9684/1992, 2707/1990, 1375/1980; 652/1978, 3286/1971, 3030/1969, 3231/1963, 3417/1962, 2636/1962, 761/1960, 2862/1958, 2488/1957, 3128/1956). È innegabile infatti, da una parte, che la specialità della norma di cui all’art. 647 c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che la costituzione tardiva altro non è che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge”.
([66]) Sul punto torneremo al par. 6.
([67]) Così (erroneamente) è stato scritto ultimamente da Cass. civ., Sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246, in motivazione: “È innegabile infatti, da una parte, che la specialità della norma di cui all’art. 647 c.p.c. impedisce l’applicazione della ordinaria disciplina del processo di cognizione, e dall’altra, che la costituzione tardiva altro non è che una mancata costituzione nel termine indicato dalla legge”. Contra però Cass. civ. 16 giugno 1993, n. 6709, nella cui motivazione sta esattamente scritto: Sul piano logico, una cosa è la mancata costituzione nel giudizio di primo grado, che è un fatto, altra cosa è una costituzione in giudizio in concreto avvenuta e però giudicata tardiva, che è un diverso fatto, equiparato in termini giuridici all’altro, in rapporto alla rilevanza delle allegazioni della parte al fine del decidere, ma che può presentare in sè una diversa valenza, quando si tratti di stabilire se un altro fatto – il rilascio della procura – sia avvenuto anteriormente o posteriormente alla chiusura del giudizio di primo grado ed alla costituzione della parte nel giudizio di appello”.
([68]) CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, cit., 212, 216; conf. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, cit, 15 ss.
([69]) V. ad esempio artt. gli 647, 648, 649, 653, 654, 2° comma, c.p.c. Trattasi, più esattamente, di norme giustificate dalla “sopravvivenza” dell’ingiunzione all’opposizione (sulla cui compatibilità con i principi costituzionale del giusto processo rinviamo a VIGNERA, Il giusto processo d’ingiunzione, cit., 125 ss.). Sulla distinzione tra procedimento monitorio puro (caratterizzato dal fatto che l’ordine di pagamento, in quanto emesso sulla semplice richiesta non provata del creditore, è destinato a cadere a seguito dell’opposizione del debitore) e procedimento monitorio documentale (caratterizzato dal fatto che l’ordine di pagamento, in quanto emesso sulla base di documenti comprovanti i fatti costitutivi del credito, sopravvive all’opposizione, in pendenza della quale può anche essere dichiarato provvisoriamente esecutivo) v. CALAMANDREI, Il procedimento monitorio nella legislazione italiana, Milano, 1926; 7 ss. (SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, cit,. 12, invece, considera “assai dubbia” la distinzione in parola sia sul piano storico, sia su quello logico). Sul carattere misto del procedimento monitorio disciplinato dal vigente codice di rito civile v. PROTO PISANI, Il procedimento d’ingiunzione, RTPC, 1987, 290 ss., 293.
([70]) Conf. TURRONI, Opposizione a decreto ingiuntivo inammissibile: effetti sulle domande congiunte, cit., 679 (“fatte salve le sole deroghe espressamente stabilite dagli artt. 645 ss., in sede di opposizione a decreto ingiuntivo la disciplina del giudizio ordinario deve applicarsi integralmente”).
([71]) In particolare il creditore-opposto, non sussistendo più i limiti probatori postigli dagli artt. 633, 1° comma, n. 1, 634, 635 e 636 c.p.c. (id est: la necessità di provare il fatto costitutivo del suo credito mediante prova scritta), può avvalersi di tutti i (e solo dei) mezzi probatori consentiti dall’ordinamento processuale, vedendo così riespandersi pienamente il proprio diritto alla prova. Il debitore-opponente, a sua volta, oltre alla possibilità di esercitare nel giudizio di opposizione tutte le facoltà riconosciute alle parti di un ordinario processo di cognizione, recupera (recte: dovrebbe recuperare) altresì lechances difensive “sottrattegli” nel procedimento conclusosi con la pronuncia del decreto ingiuntivo. in argomento VIGNERA,Il giusto processo d’ingiunzione, cit., 102 ss., 160 ss.
([72]) Così BALBI, Ingiunzione (procedimento di), cit., 3. Già prima LIEBMAN, Il principio del contraddittorio e la CostituzioneRDPr, 1954, II, 128 ss. aveva scritto che la proposizione dell’opposizione consente al debitore di “ristabilire il contraddittorio momentaneamente sospeso e provvedere alla sua difesa in condizioni che non si discostano da quelle normali di ogni altro giudizio”.
([73]) Così RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, cit., 414. Condividiamo pure l’altra opinione di questo Autore, secondo cui il termine di costituzione dell’opponente diventa di almeno dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, allorchè l’opponente stesso sia stato autorizzato dal presidente del tribunale ad abbreviare i termini ex art. 163bis, 2° comma, c.p.c. A nostro avviso, infatti, è proprio questa (e non l’art. 645, 2° comma, c.p.c., come invece ritiene Garbagnati: v. par. 8, in corrispondenza della nota 79) la norma finalizzata a soddisfare “l’interesse dell’intimato ad accelerare l’eventuale riforma di un provvedimento giurisdizionale pronunciato senza il suo contraddittorio”.
([74]) V. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, 151-152, secondo cui la riduzione dei termine divisata dall’art. 645, 2° comma, c.p.c. “soddisfa l’interesse dell’intimato ad accelerare l’eventuale riforma di un provvedimento giurisdizionale pronunciato senza il suo contraddittorio” (mentre “l’interesse del creditore, beneficiario del decreto, ad accelerare il rigetto di un’eventuale opposizione defatigatoria, è tutelato dall’applicazione, in relazione al capoverso dell’art. 645, dell’ultimo comma dell’art. 163 bis, che consente al Presidente del Tribunale di anticipare l’udienza per la comparizione delle parti, qualora il termine di comparizione assegnato nella citazione in opposizione ecceda la metà del termine minimo stabilito dal primo comma del predetto articolo”: ma di questo problema ci siamo già occupati alla fine del par. 5, in corrispondenza della nota 58). La tesi di Garbagnati è stata recentemente riproposta da TEDOLDI-MERLO,L’opposizione a decreto ingiuntivo, cit., 401.
([75]) V. Cass. civ., Sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246: “Nè appare decisivo il rilievo, indubbiamente corretto, della differenza esistente tra la fattispecie di cui all’art. 163 bis c.p.c., comma 2, nella quale l’abbreviazione dei termini è conseguenza dell’accertamento da parte del giudice della sussistenza delle ragioni di pronta trattazione della causa prospettate dall’attore, e di quella di cui all’art. 645 c.p.c., nella quale tale apprezzamento è compiuto (non dalla parte, come sostiene l’ordinanza di rimessione, ma direttamente) dal legislatore una volta per tutte, essendo in entrambe le fattispecie identica la funzione del dimezzamento dei termini di comparizione, consistente, da un lato, nel soddisfare le esigenze di accelerazione della trattazione e dall’altro, nell’opportunità di bilanciare la compressione dei termini a disposizione del convenuto con la riduzione dei termini di costituzione dell’attore. Essendo pacifica la sussistenza dell’esigenza di sollecita trattazione dell’opposizione, diretta a consentire la verifica della fondatezza del provvedimento sommario ottenuto dal creditore inaudita altera parte, deve osservarsi che sussiste anche l’esigenza di bilanciamento delle posizioni delle parti”.
([76]) Cfr. Cass. civ. 30 marzo 2006, n. 7532: “In tema di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, nel caso in cui il giudice abbia omesso di fissare il termine per la notifica dell’impugnazione al litisconsorte necessario, la mancata evocazione in giudizio di quest’ultimo non comporta la dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione, ai sensi dell’art. 331, secondo comma, c.p.c., senza che assuma alcun rilievo la sussistenza, rispetto all’udienza fissata, di un intervallo di tempo sufficiente a consentire il rispetto del termine di cui all’art. 163bis c.p.c., attesa la tassatività delle cause di decadenza dall’impugnazione e la diversità delle funzioni assolte dai due termini, il primo dei quali ha finalità sollecitatorie, volte a stimolare le parti all’osservanza dell’ordine del giudice,mentre il secondo, avente carattere dilatorio, mira a garantire la difesa del convenuto”.
([77]) Così LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1974, 12. Nello stesso senso v. esemplificativamente MONTELEONE, Diritto processuale civile, II, Padova, 1995, 28: “Nello stabilire la data dell’udienza deve essere osservato un termine dilatorio, che viene dalla legge fissato nell’interesse del convenuto per consentirgli di organizzare la propria difesa”. E sarebbe assolutamente pedante e stucchevole dilungarci su questo punto!
([78]) SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, cit., 83. Né servirebbe dire che “il più rapido svolgimento del giudizio di opposizione” deriverebbe dal (supposto: v. quanto diremo in contrario al par. 9) conseguente dimezzamento (pure) dei termini di costituzione dell’opponente, come scrive GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 171-172, secondo cui, inoltre, non solo alla mancata costituzione dell’opponente, ma pure alla sua costituzione tardiva conseguirebbe l’esecutività del decreto prevista dall’art. 647 c.p.c. [tesi recepita costantemente dalla giurisprudenza, ma a nostro avviso inesatta (v. la parte conclusiva del par. 5)]. Invero, l’esperienza insegna che, in caso di opposizione meramente dilatoria, l’opponente … non si costituisce affatto! Di guisa che il dimezzamento dei termini di costituzione si risolve soltanto in un ingiustificato aggravamento della posizione processuale dell’opponente, che intende effettivamentecontrastare la pretesa del creditore-ricorrente-opposto.
([79]) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione , cit., 151. Nello stesso senso più recentemente ANDREOZZI, Sulle conseguenze della riduzione dei termini di comparizione dell’opposizione a decreto di ingiunzione, inGI, 2008, 954 ss., par. 3, secondo cui “la riduzione del termine di comparizione, nel giudizio di opposizione all’ingiunzione (art. 645, 2° comma, c.p.c.), trova fondamento nella opportunità del debitore opponente di radicare rapidamente il contraddittorio ed anticipare la trattazione dei motivi di opposizione per poter giungere, nel più breve tempo possibile, alla pronuncia della sentenza con la quale ottenere la revoca del decreto”.
([80]) Così, invece, ritiene GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 151-152, 170-171; ed oggi pure Cass. civ., Sez. un., 9 settembre 2010, n. 19246.
([81]) V. nota 73.
([82]) Così sostiene, invece, GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 171-172, secondo cui, inoltre, l’esecutività del decreto prevista dall’art. 647 c.p.c. conseguirebbe non solo alla mancata costituzione dell’opponente, ma pure alla sua costituzione tardiva (abbiamo spiegato nella parte conclusiva del par. 5 il nostro dissenso rispetto a questa tesi).
([83]) Mutatis mutandis, si possono qui ripetere le parole di CERINO CANOVA, Dell’introduzione della causa, in Commentario del codice di procedura civile diretto da Enrico Allorio, II, 1, Torino, 1980, 303, per il quale l’abbreviazione dei termini in generale appare del tutto contraddittoria, in quanto comprime il diritto di difesa del convenuto, anticipando la prima udienza di un processo che verrà definito a distanza di anni. Aggiungiamo in questa nota che l’opinione di Garbagnati sarebbe esatta, se il termine per comparire nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avesse (contrariamente al solito) natura acceleratoria (il che non è!) e/o se, in virtù del dimezzamento stabilito dall’art. 645, 2° comma, c.p.c., la disposizione contenuta nell’art. 163 bis, 1° comma, c.p.c. dovesse leggersi nel senso che “tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non superiori a …” (il che sarebbe … a dir poco disinvolto!). Sulla distinzione-contrapposizione tra termini dilatori e termini acceleratori v. per tutti LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, cit., 186.
([84]) Così ANDREOZZI, Sulle conseguenze della riduzione dei termini di comparizione dell’opposizione a decreto di ingiunzione, cit., parr. 4-5, anche se quello che abbiamo testè detto al par. 8, sub A), non ci fa condividere quanto scritto dal predetto Autore a proposito della ratiodell’art. 645, 2° comma, c.p.c. [“A nostro sommesso avviso, la riduzione del termine di comparizione, nel giudizio di opposizione all’ingiunzione (art. 645, 2° comma, c.p.c.), trova fondamento nella opportunità del debitore opponente di radicare rapidamente il contraddittorio ed anticipare la trattazione dei motivi di opposizione per poter giungere, nel più breve tempo possibile, alla pronuncia della sentenza con la quale ottenere la revoca del decreto”].
([85]) V. la nota 73.
([86]) V. il par. 9.
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L’esecuzione forzata presso terzi e l’assegnazione ex art. 553 c.p.c.

La Cassazione del 10.5.2016 n. 9390 ha stabilito che in tema di esecuzione mobiliare presso terzi, l’ordinanza ex art. 553 cpc con la quale il giudice assegna al creditore la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario ma acquista tale efficacia soltanto dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o dal momento successivo a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione.

Il creditore al fine di recuperare quanto dovuto dal suo debitore ha ampie facoltà di scelta, infatti, può iniziare un’esecuzione mobiliare, immobiliare e, addirittura, può chiedere il pagamento ad un soggetto diverso dal debitore.

Infatti, può capitare che il creditore (tizio) ha un credito verso (caio) e che a sua volta il debitore (caio) ha un credito verso (sempronio), in queste ipotesi il legislatore permette al creditore (tizio) di chiedere (in sede esecutiva) direttamente al debitore (sempronio) di pagate (a tizio) quanto dovuto (a caio), saldando, così, due debiti: 1) il debito di sempronio verso caio e 2) il debito di caio verso tizio.

In questo contesto risulta evidente che il debitore del debitore è estraneo al rapporto tra debitore e creditore (tizio-caio) ed è estraneo al procedimento esecutivo iniziato dal creditore per recuperare quanto dovuto dal suo debitore (caio).
L’assegnazione del credito verso il terzo al creditore ex art. 553 cpc

L’esecuzione forzata presso terzi e, in particolare, l’art. 553 cpc codifica quanto sopra detto prevedendo che “Se il terzo si dichiara o è dichiarato debitore di somme esigibili il giudice dell’esecuzione le assegna in pagamento ai creditori”.
Natura giudica ed effetti dell’assegnazione del credito verso il terzo al creditore

Per comprendere meglio la situazione occorre distinguere tra rapporto sostanziale e rapporto processuale.

Nel rapporto sostanziale tra debitore e creditore il terzo è sempre estraneo a tale rapporto (del resto il creditore pignorante è creditore solo del debitore, non anche del terzo), occorre, allora, spiegare, come è possibile che un credito passa da un soggetto ad un altro.

L’assegnazione determina una cessione coattiva del credito, con una modificazione soggettiva dell’originario rapporto tra il debitore esecutato ed il suo debitore, terzo pignorato.

L’ordinanza di assegnazione produce una modificazione soggettiva del rapporto creditorio, in virtù del quale il terzo, debitor debitoris, è tenuto ad eseguire la prestazione di chi si è dichiarato debitore, non più al proprio creditore, ma al creditore di questi.

Quindi, si può affermare che l’assegnazione determina una cessione del credito con la contestuale sostituzione del creditore pignorante al creditore-debitore pignorato sicché il terzo è tenuto ad adempiere nei confronti dell’assegnatario, questo effetto per il terzo assegnato si determina soltanto quando egli venga a conoscenza del provvedimento di assegnazione (arg. ex art. 1264, comma primo, cod. civ.).

Di questa cessione del credito (o di questa modificazione soggettiva), il terzo, potrebbe non essere informato (in base alle diverse procedure con le quali si giunge all’assegnazione) e, di conseguenza, di tale assegnazione non può non essere informato in base al principio generale desumibile dall’art. 1264 comma 1 cc dettato per la cessione del credito.
Titolo esecutivo e l’ordinanza di assegnazione delle somme dovute da terzi

L’ordinanza di assegnazione è titolo esecutivo nei confronti del terzo. La natura giuridica di titolo esecutivo dell’ordinanza di assegnazione non varia se il procedimento esecutivo presso terzi si chiude in seguito alla dichiarazione (confessoria) resa spontaneamente dal terzo o in seguito all’ordinanza che accerta l’obbligo del terzo.

Posto che l’ordinanza di assegnazione è un titolo esecutivo è anche evidente che sulla stessa può essere apposta la formula esecutiva e che il titolo esecutivo può essere notificato insieme al precetto e che il titolo esecutivo copre anche le somme successive

Però, come vedremo, le diverse modalità con le quali si giunge all’assegnazione incidono solo sulla conoscenza che il terzo può avere (o meno) dell’assegnazione e, di conseguenza, la conoscenza, o meno, è rilevante ai fini dell’art. 1264 cc.
Il terzo nell’esecuzione forzata

All’accertamento del debito del terzo si può giungere attraverso sue strade: a) il terzo conferma l’esistenza del credito, b) un (sub)procedimento (oggi davanti al giudice dell’esecuzione) che si conclude con l’accertamento del debito.

Se il terzo rende la dichiarazione, si ritiene che il terzo è estraneo al processo di espropriazione. Questo, infatti, si svolge tra creditori (procedente ed intervenuti) e debitore e, non essendo rivolta domanda alcuna nei confronti del terzo pignorato, questi ha la veste di terzo estraneo al processo in corso inter allos.

Questa estraneità è fisicamente riscontrata dalla, oramai normale, assenza del terzo all’udienza fissata ex art. 543 n. 4 cod. proc. civ., dovendo il terzo rendere la dichiarazione per iscritto al creditore.

Diversa è invece la posizione che il terzo assume nel giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo quando condotto nelle forme dell’incidente dinanzi al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 549 cod. proc. civ. come sostituito dalla legge n. 228 del 2012, e modificato dal d.l. n. 83 del 2015, conv. nella legge n. 132 del 2015.

In questa ipotesi il terzo “diventa” parte del processo (o sub procedimento) di accertamento del suo obbligo che si conclude, a seguito della riforma, con ordinanza.
Necessità di portare a conoscenza del terzo l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 cpc prima della notifica del precetto contro il terzo

Quando l’ordinanza di assegnazione è pronunciata a seguito di dichiarazione positiva del terzo (oggi, dopo la modifica degli artt. 547 e 548 cod. proc. civ., anche a seguito di dichiarazione mancata o rifiutata), senza che sia stato necessario procedere all’accertamento dell’obbligo del terzo (dopo le modifiche del cpc con accertamento incidentale dinanzi al giudice dell’esecuzione) essa costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato; tuttavia, è un titolo esecutivo che si è formato in un giudizio del quale il terzo non è stato mai parte.

Poiché il terzo non è parte del processo esecutivo, anche se sia comparso in udienza a rendere la dichiarazione ai sensi dell’art. 547 cod. proc. civ. (nel testo originario, ovvero ai sensi dell’art. 548 cod. proc. civ., nel testo risultante dalle modifiche di cui sopra), non è applicabile nei suoi confronti l’art. 176, comma secondo, cod. proc. civ. Pertanto, la conoscenza dell’ordinanza di assegnazione da parte del terzo dovrà essere assicurata altrimenti.

Soltanto dopo che il terzo, messo a conoscenza dell’ordinanza di assegnazione, sia perciò messo in condizione di darvi spontanea esecuzione, potrà configurarsi un inadempimento del terzo nei confronti del creditore assegnatario;

Quindi, soltanto dopo questo momento potrà essere avviata l’azione esecutiva nei confronti del terzo che non abbia spontaneamente adempiuto. Tutto ciò comporta che – ferma restando la valutazione caso per caso rimessa al giudice del merito- il terzo possa essere considerato inadempiente soltanto dopo il decorso di un termine ragionevole dalla presa d’atto dell’avvenuta assegnazione – tale dovendosi intendere un termine almeno non inferiore a dieci giorni (arg. ex art. 477, comma primo, nonché ex art. 480, coma primo cod. proc. civ.).

Giova aggiungere che potrebbe essere opportuno che, emettendo l’ordinanza di assegnazione, il giudice dell’esecuzione ne differisca l’effetto esecutivo, fissando egli questo termine, decorrente dalla conoscenza del provvedimento da parte del terzo, prima del quale il credito in essa contemplato non sia esigibile.
Prassi da seguire nell’esecuzione forzata presso terzi

Va allora affermato il seguente principio <<In tema di esecuzione mobiliare presso terzi, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, aí sensi dell’art. 553 cpc, assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario, ma acquista tale efficacia soltanto dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o dal momento successivo a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione>>.

Corollari di questo principio di diritto sono i seguenti:

– il creditore procedente potrà comunicare l’ordinanza di assegnazione al terzo ovvero potrà notificargli lo stesso provvedimento in forma esecutiva; ma, in tale seconda eventualità, non potrà essere contestualmente intimato il precetto, risultando inapplicabile il disposto dell’art. 479, coma terzo, cod. proc. civ.;

– se tuttavia il precetto venga redatto di seguito all’ordinanza di assegnazione e notificato insieme con questa, senza che sia stato preceduto dalla comunicazione dell’ordinanza al terzo assegnato (e/o dalla concessione di un termine adeguato per adempiervi), si potrà configurare un abuso dello strumento esecutivo nei confronti del terzo assegnato, non ancora inadempiente (o non colpevolmente inadempiente).

In proposito, << se l’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’art. 553 cod. proc. civ. viene notificata al terzo in forma esecutiva contestualmente all’atto di precetto, senza che gli sia stata preventivamente comunicata né altrimenti resa nota, è inapplicabile l’art. 95 cod. proc. civ. e le spese sostenute per il precetto restano a carico del creditore procedente>>.

Il corrispondente vizio del precetto, per la parte in cui sono pretese tali spese, può essere fatto valere mediante opposizione all’esecuzione, in quanto si contesta il diritto del creditore di procedere esecutivamente per il rimborso delle somme auto-liquidate nel precetto.

Cass., civ. sez. III, del 10 maggio 2016, n. 9390

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Assegnazione forzata

L’assegnazione forzata è la modalità di espropriazione tramite la quale, in alternativa alla vendita forzata, i creditori acquistano il diritto sul bene del debitore per la contestuale soddisfazione del loro credito, ovvero per consentire il reperimento dei mezzi finanziari con cui soddisfare i creditori concorrenti, anche in assenza di un effetto solutorio a favore dell’assegnatario. Vengono esaminate le varie modalità con cui si realizza l’assegnazione, nonché gli effetti che con essa si producono, con particolare riferimento alla disciplina della stabilità.

1.1. Definizione di assegnazione forzata.  L’assegnazione forzata dà luogo all’acquisto del diritto sul bene del debitore a favore del creditore procedente, ovvero comunque di uno o più creditori concorrenti nel processo di espropriazione, nei limiti in cui ciò sia previsto o consentito dalle norme del codice di rito (art. 505 c.p.c.). Tale modalità di liquidazione contro il debitore è alternativa a quella effettuata tramite vendita forzata ed è volta a soddisfare direttamente i crediti fatti valere in sede esecutiva o a reperire dai creditori il prezzo da destinare alla distribuzione, nell’ambito della sola espropriazione singolare (Cass., 22.7.1983, n. 5069, in Giust. civ., 1984, I, 186, ove si esclude l’assegnazione forzata come mezzo per soddisfare coattivamente i creditori nel fallimento). L’art. 2925 c.c. prevede l’applicabilità all’assegnazione delle norme sulla vendita forzata, ad eccezione di quanto disposto dagli artt. 2926-2928 c.c. (v. infra, §§ 1.3 e 3). Pertanto, l’assegnazione produce un effetto acquisitivo corrispondente a quello previsto per la vendita forzata ai sensi dell’art. 2919 c.c., ferma l’inopponibilità dei diritti acquisiti dai terzi, già inefficaci verso il creditore pignorante e quelli intervenuti (v. Vendita forzata [dir. proc. civ.]).

1.2 Tipi di assegnazione forzata.  La dottrina distingue tre tipi di assegnazione: i) l’assegnazione c.d. satisfattiva; ii) la c.d. assegnazione-vendita; iii) l’assegnazione c.d. mista (Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 113 ss.; Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 200 ss.; Bonsignori, A., Esecuzione forzata, Milano, 1991, 135 ss.).

La prima ipotesi di assegnazione ricorre quando il creditore ottiene l’acquisto del diritto sul bene del debitore, per il soddisfacimento del credito fatto valere in sede espropriativa, in luogo della vendita forzata (e dell’assegnazione del ricavato). L’assegnazione satisfattiva può essere consentita dalla legge a favore di uno solo o di più creditori, d’accordo tra loro, e talora è stabilita dalla legge in considerazione della peculiare natura dei beni assoggettati ad esecuzione forzata. Sotto il profilo funzionale tale assegnazione è assimilabile alla datio in solutum (per tutti Micheli, G.A., Dell’esecuzione forzata, in Comm. c.c. ScialojaBranca, Bologna-Roma, 1964, 145 ss.) e, più precisamente, al trasferimento di un diritto del debitore in luogo dell’adempimento ex art. 1197, co. 2, c.c., il quale si caratterizza, da un lato, per l’immediata funzione solutoria, dall’altro, per il fatto che l’evizione del creditore può far «rivivere» con efficacia retroattiva (e rendere perciò esigibile) la prestazione originaria (cfr. Breccia, U., Le obbligazioni, Milano, 1991, 558), fatta salva comunque la definitiva estinzione delle garanzie prestate dai terzi (art. 1197, co. 3, c.c.). Il che spiega perché l’effetto acquisitivo e quello solutorio dell’assegnazione appaiano strettamente correlati: di modo che l’evizione dell’assegnatario esclude con efficacia ex tunc l’estinzione del credito e il creditore conserva le sue ragioni nei confronti del debitore, ma non le garanzie prestate da terzi a norma degli artt. 2926, co. 2, 2927, co. 2, c.c. (v. infra, § 3); allo stesso modo, la mancata riscossione del credito assegnato nell’espropriazione presso terzi esclude l’efficacia estintiva dell’assegnazione (art. 2928 c.c.), consentendo all’assegnatario di agire nuovamente in via esecutiva nei confronti del debitore espropriato (v. infra, § 2.3).

L’assegnazione-vendita ricorre allorché il «trasferimento» del diritto a favore del creditore venga effettuato a fronte del pagamento di un prezzo, secondo quanto stabilito dal giudice dell’esecuzione (art. 507 c.p.c.). In tal caso, il prezzo di assegnazione non può essere inferiore al valore delle spese di esecuzione e dei crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello del creditore offerente a norma dell’art. 506 c.p.c. e nell’espropriazione immobiliare anche al valore di cui all’art. 568 c.p.c. Tale modalità di liquidazione può essere preferita per le migliori condizioni economiche con cui attuare l’acquisto coattivo del diritto sul bene del debitore rispetto a quelle realizzabili in caso di partecipazione alle operazioni di vendita forzata, da cui, infatti, i creditori non sono esclusi.

L’assegnazione è mista ove il giudice dell’esecuzione disponga il versamento del prezzo solo per la parte che eccede il valore del proprio credito a norma dell’art. 162 disp. att. c.p.c., avendo carattere satisfattivo per la porzione di prezzo non versata (Andrioli, V., Commento, III, cit., 117; Satta, S., Commentario, III, cit., 203, il quale precisa, però, che il giudice dell’esecuzione può stabilire il parziale versamento del prezzo solo su preciso accordo dei creditori).

1.3 Natura ed effetti dell’assegnazione forzata.  La distinzione tra le diverse ipotesi di assegnazione dipende in parte dalla natura dei beni pignorati, in parte da altre circostanze presenti quando viene richiesta l’assegnazione (v. infra, § 2). La dottrina tende a classificare l’assegnazione-vendita tout court nell’ambito della vendita forzata, differenziandola nettamente dall’assegnazione satisfattiva (Andrioli, V., Commento, III, cit., 113 s.; Bonsignori, A., Esecuzione forzata, cit., 135 s.). Ed in effetti, solo l’assegnazione satisfattiva e quella mista si caratterizzano per la contestualità dell’effetto acquisitivo e di quello solutorio (totale o parziale) rispetto al credito fatto valere: il che rende necessaria una specifica disciplina dei rimedi disponibili al terzo leso dall’espropriazione ed in tema di evizione dell’assegnatario, rispetto a quanto è previsto per la vendita forzata (v. infra, § 3). Nondimeno, in nessuna tipologia di assegnazione può essere negata ex ante un’indiretta possibilità di soddisfacimento dell’assegnatario, anche quando il prezzo dell’assegnazione-vendita appaia incapiente – al momento in cui viene versato – in relazione al credito di tale creditore, nel concorso con quelli garantiti con grado poziore; difatti, l’esito (in tutto o in parte) satisfattivo per l’assegnatario può essere conseguito nella fase distributiva in seguito alla proposizione di un’opposizione del debitore ex art. 512 c.p.c. avente ad oggetto la sussistenza o l’ammontare dei crediti, nonché l’esistenza dei diritti di prelazione in base a cui è stato fissato il prezzo di assegnazione.

La distinzione tra le varie tipologie di assegnazione a cui si è fatto cenno si spiega soprattutto con la necessità di stabilire di volta in volta le norme applicabili agli effetti di tale provvedimento, a seconda che sia o meno stato fissato il pagamento di un prezzo (v. infra, §§ 2 s.). Tuttavia, da tale punto di vista, in prima battuta, la distanza tra le diverse tipologie di assegnazione non va enfatizzata, alla luce della considerazione che, ove la prestazione in luogo dell’adempimento consista nel trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto, ai sensi dell’art. 1197, co. 2, c.c. si applicano (almeno in parte) le norme sulla compravendita; dunque, in relazione a qualunque tipo di assegnazione occorre stabilire i limiti in cui trovino applicazione le disposizioni sulla vendita volontaria (e più in generale sui contratti). In proposito si possono compiere le medesime osservazioni svolte rispetto alla vendita forzata: la «natura» dell’assegnazione fa riferimento al carattere derivativo dell’acquisto a favore dell’assegnatario, non disgiunto però dal rilievo che tale effetto acquisitivo prescinde dalla volontà del debitore esecutato, il quale si limita a «subi[re] l’espropriazione» ai sensi dell’art. 2919, co. 1, c.c. È dubbia così l’applicabilità in materia delle disposizioni sui contratti in generale e sulla vendita volontaria, specialmente con riferimento ai rimedi sinallagmatici. Pertanto, all’assegnazione sono senz’altro riferibili le norme sulla vendita forzata che prevedono l’esclusione della garanzia per i vizi e dell’impugnazione per causa di lesione ai sensi dell’art. 2922 c.c. All’assegnazione si applicano altresì le disposizioni sulla locazione e i canoni di cui agli artt. 2923 s. c.c. (v. Vendita forzata [dir. proc. civ.]). L’assegnazione ha un effetto purgativo analogo a quello della vendita forzata, essendo l’acquisto dell’assegnatario libero da pesi e garanzie reali, che non si riferiscano alle obbligazioni assunte dall’assegnatario ai sensi dell’art. 508 c.p.c.

In assenza di specifici dati normativi in senso contrario, il momento in cui si verifica l’effetto acquisitivo del diritto sul bene del debitore a favore del creditore assegnatario deve essere individuato a guisa della vendita forzata, soprattutto là dove è stabilito il pagamento di un prezzo, anche a titolo di conguaglio. Anche nell’assegnazione satisfattiva l’effetto acquisitivo e quello solutorio sono tendenzialmente riferibili alla conclusione della liquidazione, che in questo caso coincide con la definizione dello stesso processo espropriativo. In particolare, nell’espropriazione presso terzi l’acquisto si verifica con la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione (v. infra, § 2.3). Il momento acquisitivo dell’assegnazione di beni immobili si realizza con la pronuncia del decreto di trasferimento, analogamente a quanto si afferma per la vendita forzata (v. infra, §§ 2.1, 2.4). Al contrario, l’effetto acquisitivo e quello solutorio dell’assegnazione dei beni mobili si producono solo con la consegna del bene espropriato nelle mani dell’assegnatario, per ragioni che attengono alla tutela dei diritti del terzo leso dall’espropriazione forzata (v. infra, § 3).

2.1 Istanza di assegnazione.  L’istanza di assegnazione è disciplinata dagli artt. 529 s. c.p.c. per i beni mobili, pure nell’ambito dell’espropriazione presso terzi ai sensi dell’art. 552 c.p.c., nonché dall’art. 553 c.p.c. per i crediti e dagli artt. 588 ss. c.p.c. per i beni immobili.

Nell’espropriazione mobiliare l’istanza di assegnazione può essere proposta subito con ricorso, in luogo dell’istanza di vendita, da parte del creditore pignorante o di quelli intervenuti dopo il termine di dilatorio di dieci giorni dal pignoramento, a meno che si tratti di beni deteriorabili, a norma dell’art. 501 c.p.c.; successivamente il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza per l’audizione delle parti ai sensi dell’art. 530 c.p.c. (v.  Vendita forzata [dir. proc. civ.]). Per altro verso, si può ammettere un’istanza di assegnazione svolta oralmente alla suddetta udienza. In caso di mancata vendita al primo incanto di beni mobili tale istanza può essere proposta anche successivamente, ma in relazione a taluni beni si procede ex lege all’assegnazione satisfattiva (v. infra, § 2.2). Nell’espropriazione di crediti il giudice dell’esecuzione talora provvede senz’altro all’assegnazione satisfattiva, ma in alcune ipotesi viene consentita la proposizione di un’istanza di assegnazione in alternativa a quella di vendita (v. infra, § 2.3). Invece, nell’espropriazione immobiliare l’istanza di assegnazione può essere proposta solo nel corso delle operazioni di vendita (v. infra, § 2.4).

L’istanza di assegnazione proposta immediatamente spetta ai soli creditori muniti di titolo esecutivo (art. 529, co. 1, c.p.c.), in quanto determina l’apertura del subprocedimento conseguente al pignoramento, analogamente all’istanza di vendita. Allo stesso tempo, tale istanza di assegnazione ha una funzione analoga a quella dell’offerta dei terzi nel corso delle operazioni di vendita, essendo diretta alla produzione di un effetto acquisitivo corrispondente a quello che si produce in relazione alla vendita forzata. Al contrario, l’istanza di assegnazione proposta nel corso delle operazioni di vendita ha solo quest’ultima funzione e non richiede il possesso di un titolo esecutivo (De Stefano, G., Assegnazione nell’esecuzione forzata, in Enc. giur., III, Milano, 1958, 275; Satta, S., Commentario, III, cit., 404; Cass., 18.4.2011, n. 8857). In particolare, nell’espropriazione di beni immobili l’istanza di assegnazione non ha carattere alternativo a quella di vendita (Cass., 20.6.2008, n. 16799) ed è subordinata all’eventualità dell’incanto deserto per mancanza di offerte valide (v. infra, § 2.4).

In caso di pluralità di creditori l’assegnazione può essere richiesta d’accordo tra tutti i concorrenti, a favore di uno o più di essi (art. 505, co. 2, c.p.c.). L’accordo dei creditori è richiesto per determinare il modo e la misura dei crediti da soddisfare (ad es., in proporzione per tutti i creditori, previo pagamento integrale di un prezzo o di un conguaglio), nonché il valore di assegnazione, salvo quanto è previsto dall’art. 506 c.p.c. (v. infra, § 1.2); tuttavia, nell’assegnazione-vendita, che si ha anche in caso di dissenso, prevale l’offerta più alta (Bonsignori, A., L’esecuzione forzata, cit., 144). L’accordo in discorso sostituisce l’attività che si svolge nella fase distributiva dell’espropriazione: per tale ragione esso deve riguardare anche i creditori non titolati, pur trattandosi di un atto compiuto nella fase liquidativa.

In assenza di un concorso di creditori non è possibile dare applicazione alla previsione degli artt. 506 s. c.p.c., non potendosi richiedere all’unico creditore procedente il versamento di un prezzo determinato in ragione delle spese che ha già provveduto ad anticipare; in tal caso, perciò, l’assegnazione può avvenire solo secondo la modalità propria dell’assegnazione satisfattiva (Bonsignori, A., Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1998, 193).

2.2 Assegnazione di beni mobili.  L’istanza di assegnazione può essere proposta immediatamente in relazione ai titoli di credito e alle altre cose il cui valore risulta da listino di borsa o di mercato, in alternativa alla proposizione dell’istanza di vendita (art. 529, co. 2, c.p.c.). Gli oggetti d’oro e di argento rimasti invenduti al primo incanto sono assegnati ai creditori per il valore intrinseco (art. 539 c.p.c.). L’art. 538 c.p.c., novellato dalla l. 24.2.2006, n. 26, non contempla più espressamente la possibilità di proporre istanza di assegnazione al prezzo base nel caso di mancata vendita al primo incanto; pertanto, si potrebbe dubitare che ciò sia ancora consentito. Al di là della questione esegetica appena prospettata, tuttavia, non sembrano sussistere ragioni sufficienti per escludere la facoltà dei creditori di chiedere l’assegnazione di beni mobili nell’ipotesi considerata, anche alla luce del fatto che una fattispecie analoga di assegnazione è tuttora prevista per l’espropriazione immobiliare (§ infra, 2.4). Peraltro, in mancanza di tale alternativa, l’unica possibilità per i creditori sarebbe quella di procedere ad un successivo esperimento, ovvero all’integrazione del pignoramento e alla vendita del nuovo compendio pignorato, determinandosi, in caso contrario, l’estinzione del procedimento a norma dell’art. 540 bis c.p.c.

Il giudice dell’esecuzione provvede all’assegnazione di beni mobili con ordinanza, contenente le indicazioni di cui agli artt. 507 e 530, co. 3, c.p.c. Nel caso della «piccola espropriazione mobiliare» di cui all’art. 525, co. 2, c.p.c. il giudice dell’esecuzione provvede all’assegnazione, in alternativa alla vendita, con decreto, a meno che debbano essere sentiti i creditori intervenuti non oltre la data di presentazione dell’istanza di assegnazione (art. 530, co. 5, c.p.c.).

Le norme sull’assegnazione previste per l’espropriazione mobiliare diretta si applicano anche a quella dei beni mobili pignorati presso terzi (art. 552 c.p.c.).

2.3 Assegnazione di crediti.  Se il terzo si dichiara o viene individuato quale debitore di somme verso l’esecutato, il giudice dell’esecuzione, sentite le parti, provvede senz’altro con ordinanza all’assegnazione dei crediti immediatamente esigibili e di quelli per i quali è previsto un termine non maggiore di novanta giorni (artt. 552 s. c.p.c.).

L’effetto acquisitivo e quello solutorio dell’assegnazione del credito si realizzano con l’ordinanza di assegnazione (Colesanti, V., Osservazioni (inutili) in tema di revocatoria e assegnazione giudiziale di crediti, in Banca borsa, 2004, I, 661; Cass., 29.11.2005, n. 26036, in Fallimento, 2006, 604). Per il prevalente indirizzo di dottrina e giurisprudenza l’ordinanza di assegnazione costituisce titolo esecutivo verso il debitor debitoris (Vaccarella, R., Espropriazione presso terzi, in Dig. civ., VIII, Torino, 1992, 106 s.; Cass., 14.5.2013, n. 11566; Cass., 20.11.2012, n. 20310, in Riv. esecuzione forzata, 2013, 382; Cass., 22.06.2007, n. 19363; Cass., 18.03.2003, n. 3976 in Riv. esecuzione forzata, 2003, 708; diversamente, però, Cass., 7.10.2005, n. 19652): tale indirizzo – accolto anzitutto per ragioni pratiche – ha ricevuto un definitivo sugello dalla recente modulazione degli artt. 548, co. 1, e 549 c.p.c. (Colesanti, V., Novità non liete per il terzo debitore (cinquant’anni dopo!), in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1269). L’ordinanza di assegnazione non è in sé idonea a produrre una stabilità equiparabile all’efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. (Colesanti, V., Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, Milano, 1967, II, 404 ss., spec. 423 s.; Cass., 18.05.2009, 11404; Cass., 20.3.2006, n. 6083; Cass., 7.10.2005, n. 19652; diversamente Cass., 17.11.2003, n. 17367, in Gius, 2004, 1098; Cons. St., Ad. Pl.,10.4.2012, n. 2, in Riv. dir. proc., 2012, 1035 ss., con nota adesiva di Tiscini R., nel senso della proponibilità del giudizio di ottemperanza sulla base di un’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c., sul presupposto che si tratti di un provvedimento decisorio e definitivo); il che può essere oggi argomentato anche dagli artt. 548, co. 1, e 549 c.p.c. Per una parte della giurisprudenza più recente l’ordinanza di assegnazione può avere, in talune ipotesi, la «sostanza» di una sentenza nei confronti del creditore assegnatario, del debitore esecutato e perfino dello stesso debitor debitoris, essendo perciò soggetta alle impugnazioni ordinarie (ed idonea al giudicato): in ispecie ciò si verifica ove il giudice dell’esecuzione si pronunci su questioni attinenti al diritto di procedere ad esecuzione forzata, ovvero su entità, esistenza ed attualità del credito pignorato (cfr., da ultimo, Cass., 9.3.2011, n. 5529). Secondo il tradizionale orientamento, però, avverso l’ordinanza di assegnazione sarebbe ammissibile la sola opposizione ex art. 617 c.p.c., se del caso, anche da parte del debitore assegnato (ad es., Cass., 20.11.2012, n. 20310, cit., pur con qualche distinguo; Cass., 31.8.2011, n. 17878, finanche in relazione al vizio d’impignorabilità del credito; Cass., 22.2.2008, n. 4578): tale indirizzo sembra aver ricevuto un definitivo sugello nella nuova formulazione degli artt. 548, ult. co., e 549 c.p.c.

L’assegnazione dei crediti in relazione ai quali è previsto un termine maggiore di novanta giorni, dei censi, delle rendite perpetue e temporanee può essere chiesta con un’apposita istanza in alternativa alla vendita a norma degli artt. 529 ss. c.p.c. (art. 553, co. 2, c.p.c.). Ai crediti appena menzionati vengono equiparati in via interpretativa quelli condizionati (Cass., 20.11.2012, n. 20310, cit., in un obiter dictum).

In ogni caso, l’assegnazione dei crediti avviene con gli effetti di cui all’art. 2928 c.c.; pertanto, in caso di mancata riscossione del credito assegnato nell’espropriazione presso terzi l’assegnatario può rivolgersi nei confronti del debitore esecutato, instaurando un nuovo processo esecutivo, anche sulla base del titolo esecutivo già fatto valere in precedenza. In altre parole, l’assegnazione dei crediti ex art. 553 c.p.c. ha sempre effetti equiparabili alla cessione del credito pro solvendo: una diversa conclusione non può essere affermata in ragione dell’imperfetto coordinamento della disciplina degli effetti sostanziali di tale atto espropriativo con quella contenuta nel codice di rito, cioè per il fatto che l’inciso «salvo esazione» compare solo per l’assegnazione dei crediti di cui all’art. 553, co. 1, c.p.c. e non per quelli a cui fa riferimento l’art. 553, co. 2, c.p.c. (Bonsignori, A., Effetti della vendita, cit., 244).

Per altro verso, il debitor debitoris paga nei confronti dell’assegnatario un debito proprio, in ragione dell’effetto acquisitivo dell’ordinanza di assegnazione (Colesanti, V., Osservazioni, cit., 664 s., il quale osserva, conseguentemente, come l’eventuale declaratoria di fallimento del debitore espropriato successiva all’ordinanza di assegnazione non può avere alcuna conseguenza su tale pagamento, pur quando questo venga effettuato nel periodo sospetto di cui all’art. 67 l. fall.; nello stesso senso, Lamanna, F., Assegnazione traslativa di crediti e «pagamenti coattivi»: la revocatoriainefficacia del provvedimento giudiziale quale mezzo solutorio indiretto ma «normale», in Fallimento, 2001, 170 ss., spec. 174 ss.; diversamente, tuttavia, è disposta la giurisprudenza prevalente cfr., da ultimo, Cass. 14.3.2011, n. 5994, in Riv. dir. proc., 2012, 811, con nota di Battaglia V.).

2.4 Assegnazione di beni immobili.  A norma dell’art. 588 c.p.c. l’istanza di assegnazione deve essere presentata nel termine (ordinatorio) di dieci giorni prima della data fissata per l’incanto (v. supra, § 2.1), in relazione all’eventualità che non venga presentata alcuna offerta, ovvero nel caso di offerta nulla o inefficace (Andrioli, V., Commento, III, cit., 277). Essa può consistere nell’offerta di pagamento di una somma non inferiore, per un verso, a quanto stabilito all’art. 506 c.p.c. (v. supra, § 1.2) e, per l’altro, al prezzo di stima di cui all’art. 568 c.p.c. o, più precisamente, a quello stabilito nel provvedimento che ha disposto la vendita (Cass., 15.4.2011, n. 8731); ma non è escluso il carattere satisfattivo o misto di tale assegnazione in caso di accordo tra i creditori, oppure in assenza di creditori iscritti ex art. 498 c.p.c. o intervenuti (art. 589 c.p.c.). Il giudice dell’esecuzione provvede all’assegnazione, fissando, ove necessario, un termine entro il quale deve essere versato il prezzo o il conguaglio; avvenuto il prescritto versamento, il giudice dell’esecuzione emana il decreto di trasferimento a norma dell’art. 586 c.p.c.

3. Nullità del procedimento, evizione e stabilità dell’assegnazione forzata.   In tema di nullità degli atti processuali anteriori all’assegnazione si applica l’art. 2929 c.c. in base ad un testuale richiamo dell’istituto in discorso, sul presupposto naturalmente che l’assegnatario sia un creditore diverso da quello procedente. Analogamente a quanto si osserva per la vendita forzata l’art. 2929 c.c. è riferibile anche ai motivi in rito di opposizione all’esecuzione (Cass., S.U., 28.11.2012, n. 21110, in Corr. giur., 2013, 387, con nota di Capponi, B., Espropriazione forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti)). Per altro verso, con l’opposizione di cui all’art. 617 s. c.p.c. possono essere fatti valere i vizi formali e sostanziali del provvedimento di assegnazione (ad es., Cass., 24.9.2013, n. 21838; Cass., 22.2.2008, n. 4578; Cass., 28.11.2003, n. 18226). Inoltre, ai sensi dell’art. 487 c.p.c. il provvedimento di assegnazione può altresì essere revocato o modificato dal giudice dell’esecuzione fino al momento della sua attuazione (Cass., 17.7.2009, n. 16731), coincidente con la produzione dell’effetto acquisitivo, nonché dell’eventuale effetto solutorio. Il rilievo di tale indirizzo è, perciò, circoscritto alle sole ipotesi in cui tali effetti si verifichino successivamente al momento in cui il giudice dell’esecuzione disponga l’assegnazione.

Il tema della stabilità dell’assegnazione a fronte di possibili ingiustizie dell’espropriazione richiede qualche precisazione. È evidente come l’art. 2926 c.c. richiami la regola secondo cui «possesso vale titolo» e che ciò costituisca l’unica protezione per l’acquirente in buona fede in caso di assegnazione satisfattiva dei beni mobili verso i terzi titolari di diritti su tali beni, a meno che si tratti di beni mobili registrati o universalità di beni mobili (Bonsignori, A., Effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, cit., 194 s.). Non solo: in base all’art. 2926 c.c. si può argomentare che – a differenza della vendita forzata mobiliare (v. Vendita forzata [dir. proc. civ.]) – la produzione dell’effetto acquisitivo non possa configurarsi prima della consegna del bene assegnato. La ritardata produzione degli effetti in discorso rispetto all’emanazione dell’ordinanza di assegnazione può spiegarsi con l’esigenza di concedere un periodo «di grazia» per la proposizione del rimedio ex art. 619 c.p.c. Inoltre, dopo l’acquisto a titolo originario ai sensi dell’art. 1153 c.c. da parte dell’assegnatario, il terzo ha comunque il diritto di ripetere da quest’ultimo il valore del credito soddisfatto entro il termine di sessanta giorni, in luogo dell’opposizione tardiva di cui all’art. 620 c.p.c. (Micheli, G.A., Dell’esecuzione forzata, cit., 154). Tale disciplina è volta a porre il terzo, il cui diritto sia leso dalla vis executiva, in una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato in caso di espropriazione tramite vendita forzata, la quale si caratterizza per una minore speditezza, a causa dello svolgimento delle operazioni di vendita e della necessità di procedere alla distribuzione del ricavato. Per altro verso, l’applicazione degli artt. 2920 s. c.c. è pienamente giustificata in relazione all’assegnazione-vendita di beni mobili (Andrioli, V., Commento, III, cit., 114) e, in via analogica, in tutti i casi d’ingiustizia dell’espropriazione tramite assegnazione in cui è assente un’espressa tutela a favore dell’acquirente (v.  Vendita forzata [dir. proc. civ.]). L’assegnatario evitto può chiedere la restituzione del prezzo pagato in sede di conguaglio (art. 2927 c.c.), anche dopo la distribuzione (arg. dall’art. 2921 c.c.). Ove si tratti di un creditore diverso da quello procedente, è consentita l’azione di responsabilità di cui agli artt. 2921 c.c. e 96 c.p.c. per le spese sostenute e i danni. Come si è accennato precedentemente, in caso di «riviviscenza» del debito per cui si è proceduto all’assegnazione è fatta salva l’estinzione delle garanzie prestate dai terzi (artt. 2926, co. 2, 2927, co. 2, c.c.).

All’assegnazione si applica, altresì, il regime di stabilità interno al procedimento di cui all’art. 187 bis disp. att. c.p.c., in base all’espresso richiamo contenuto nella suddetta disposizione (v.  Vendita forzata [dir. proc. civ.]).

Fonti normative: Artt. 491-595, 599-604, 615-632 c.p.c.; artt. 159-187 bis disp. att. c.p.c.; artt. 2919-2929 c.c.

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Comparsa di costituzione e risposta

Comparsa di costituzione e risposta

Tribunale Civile di _____

R.G.N. ___/___ Sez. ____– Giud. Dott. ______

Per

Il Sig. _______, residente in _____, ed ivi elettivamente domiciliato, in Via ______ n. ___, presso lo Studio dell’Avv. __________, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale posta in calce al presente atto

– convenuto

Contro

Il Sig. ________, rappresentato e difeso dall’Avv. _________, ed elettivamente domiciliato presso il Suo Studio, in _______, Via _______ n. ___, congiuntamente e disgiuntamente all’Avv. _______ .

– attore

Nonché contro

la ________, in persona del Suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. _______ ed elettivamente domiciliata presso il Suo Studio in _____, Via ______ n. ___ .

– convenuta

Comparsa di Costituzione e Risposta

Con atto di citazione e chiamata in causa di terzo, notificato in data _______, la ________- ha convenuto in giudizio, innanzi all’intestato Ufficio, il Sig. _______, per ivi sentir accogliere le seguenti conclusioni:

“ __________”

Si costituisce, con il presente atto, il Sig. ______, contestando quanto ex adverso esposto e dedotto, in virtù delle seguenti considerazioni in fatto ed in diritto.

* * * * *

Preliminarmente ci corre l’obbligo di rappresentare al Giudicante i fatti che hanno contrassegnato i rapporti tra l’odierno convenuto ed il Sig. ________, pur non essendo questi parte del giudizio, al fine di poter ricostruire le vicende che presumibilmente hanno dato luogo a tale contenzioso.

Il Sig. _______ è stato contattato dal Sig. ______, il quale, sostenendo di essere in particolari rapporti di favore con i concessionari della _______, promise di fargli ottenere, tramite la sua mediazione, un particolare sconto per l’acquisto di un’autovettura _______.

Peraltro tale opportunità risultava essere indirettamente confermata anche dal fatto che i Sigg.ri ____________, avevano avuto, a loro volta, analogo contatto ed opportunità con il Sig. _______.

Quest’ultimo, tra l’altro, si rappresentava come persona molto introdotta in numerosi ambienti, tant’è che i numerosi colloqui avvenuti con il Sig. ______ si svolgevano all’interno della _____.

Tali circostanze, lungi dall’essere sospette, inducevano, l’odierno convenuto a ritenere il ______ persona del tutto affidabile, tant’è che quest’ultimo aveva evidenziato che l’acquisto di tali autovetture, ad un prezzo ridotto, era possibile in quanto i veicoli venivano dismessi dalla _____ dopo che questa ne aveva tratto utilizzo per la realizzazione di alcuni programmi televisivi o di alcuni spot pubblicitari.

A ciò si aggiunga che il ______ indirizzò il Sig. ______ dal Sig. ________, della concessionaria _______, al quale occorreva comunque rivolgersi per il disbrigo di talune formalità, che in realtà costituivano il normale iter per l’acquisto di una autovettura usata.

Proprio in ragione di tale opportunità, il Sig. _____ versava al Sig. ______ l’importo di € _______- in contanti, affinché quest’ultimo provvedesse, anche per suo conto, all’acquisto dell’autoveicolo presso la ______.

Successivamente, ed in mancanza di alcun riscontro, il Sig. ______, anche in ragione dei colloqui avuti con le altre persone, alle quali era stato prospettato il medesimo affare, inizia a nutrire le prime perplessità in ordine al comportamento assunto dal _________ che continuava a rimandare la conclusione dell’affare.

Solo a seguito dell’innumerevoli richieste avanzate dal Sig. ______, il Sig. _________ provvedeva alla riconsegna dell’importo originariamente versatogli dal Sig. ______, mediante l’assegno che oggi si apprende essere del Sig. _______, il quale risulta quindi essere stato oggetto della medesima proposta e sottoposto al medesimo iter patito dal Sig. ______.

L’odierno convenuto si recava, pertanto, presso la concessionaria della ______ per provvedere al saldo dell’autovettura ________, targata _______.

In tale occasione provvedeva, peraltro, al relativo conguaglio di quanto ancora dovuto per l’acquisto dell’autovettura, versando l’ulteriore importo di €______, ottenendo in tal modo ed infine il veicolo originariamente richiesto.

Tanto precisato in punto di fatto appare di tutta evidenza la totale estraneità del Sig. ______ ai fatti di cui è causa, attesa l’assoluta estraneità ai rapporti intercorsi tra il Sig. ______ ed il Sig. ______ e la ______ .

Peraltro, giova altresì evidenziare, anche alla luce della breve narrazione in punto di fatto, che sia il Sig. _____, che il Sig. _____ risultano essere stati indotti alla conclusione di un paventato affare, senza che vi sia stato in realtà alcun interessamento da parte del Sig. _____ che ha, viceversa ed apparentemente, rappresentato una realtà del tutto difforme dal vero.

In altri termini non v’è chi non veda che entrambe le parti, ad eccezione ovviamente della _____, sono state vittime della loro stessa superficialità, nell’aver ritenuto possibile poter usufruire di particolari agevolazioni che in realtà si sono tramutate in una ben più triste realtà.

Se si considera poi che altri signori sono stati oggetto delle medesime attenzioni da parte del _____, ben si comprende come l’ultimo di una catena corra l’inconsapevole rischio di non vedersi infine soddisfatto.

Alla luce di quanto sin qui esposto risulta di tutta evidenza non solo l’assoluta estraneità del Sig. _______ ai fatti di cui è causa, ma soprattutto che alcun profilo di responsabilità sia da poter ascrivere a quest’ultimo.

Infine ci sia consentito rilevare come in tutta questa vicenda aleggi la figura del Sig. ________, che di fatto può essere ritenuto l’unico responsabile delle vicende che hanno coinvolto, per adesso, le odierne parti, ma che in realtà riguardano una molteplicità di soggetti, senza che costui risulti essere stato citato più che come parte, come il reale attore di tutta la vicenda.

Tale dimenticanza non può che essere il frutto di un’attenta valutazione delle parti, che hanno introdotto l’odierno giudizio, in ragione di una presumibile conoscenza delle condizioni patrimoniali del reale protagonista di tutta la controversia che, evidentemente, non è stato citato, atteso che potrebbe non essere in grado di provvedere al soddisfacimento di quanto eventualmente fosse chiamato a dover rispondere.

Quanto sopra ritenuto e considerato il Sig. ________, come in epigrafe rappresentato, difeso e domiciliato, con riserva di meglio ed ulteriormente dedurre, rassegna allo stato le seguenti

Conclusioni

“Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, rigettare la domanda attrice, poiché del tutto infondata in fatto ed in diritto.

Con riserva di articolare i mezzi istruttori che si rendessero necessari.

Con vittoria di spese, competenze ed onorari.

___________, lì ______

Avv. ______________

Procura Speciale

Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente atto ed in ogni fase e grado del relativo giudizio l’Avv. ______________ conferendogli tutti i poteri e facoltà di legge, ivi compreso quello di chiamare in causa, transigere, incassare somme e rilasciare quietanze, nonché quello di farsi sostituire.

Eleggendo domicilio presso il suo Studio in _____, Via _____ n. __.

Sig. ___________

Per autentica Avv. ____________

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Precetto su Decreto Ingiuntivo

TRIBUNALE DI …….

Atto di Precetto

La ___________ s.r.l., p. iva __________________, avente sede legale in ______________ (__), in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante dott.____________ rappresentata e difesa dall’Avv. ____________ (c.f.__________) presso il cui studio in ___________ Via _____________ n__ è domiciliata giusta procura a margine del ricorso per decreto ingiuntivo e che dichiara di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria al seguente indirizzo PEC ____________ ovvero al numero di fax ____________

Premesso

che la ___________ s.r.l. è creditrice nei confronti del sig ___________, residente in ____________ Via____________, c.f. _______________, dell’importo di € ___________ oltre ad interessi legali ed alle spese, diritti ed onorari come liquidati in Decreto Ingiuntivo n. __/__ (R.G. n. ____), emesso dal Tribunale di _________in data ____;
che detto decreto non è stato opposto nel termine di giorni quaranta dall’avvenuta notifica e pertanto è stato munito di formula esecutiva in data ________.
che a tutt’oggi, nulla è stato pagato.
Tutto ciò ritenuto e considerato, la ___________ s.r.l. come in epigrafe rappresentata, difesa e domiciliata intima e fa

Precetto

Al sig ___________, residente in ____________ Via____________, di pagare all’istante, nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica del presente atto le seguenti somme:
Sorte capitale in Decreto Ingiuntivo
Interessi moratori sulla sorte capitale
Competenze legali in D.I.
Oneri di registrazione titolo esecutivo
Competenze precetto ex DM 55/2014
Cassa forense 4%
Imponibile i.v.a.
I.V.A. 22%
Totali
Per un totale complessivo di € ________ oltre agli interessi moratori maturati alla data dell’effettivo soddisfo.
Con avvertenza che in difetto di pagamento nel termine perentorio di dieci giorni decorrenti dalla notifica del presente atto si procederà ad esecuzione forzata contro esso debitore.
Ai sensi dell’480, 2 comma c.p.c. si avverte altresì che il debitore può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore.
(luogo e data)
Avv. ___________

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Formula Atto di precetto

TRIBUNALE DI ……….

ATTO DI PRECETTO

L’istante …………………………. (nome e cognome del creditore, nato a …………………. il ………………………, Codice Fiscale…………………………… (o n° partita IVA) residente in ……………………. elettivamente domiciliato ai fini del procedimento in …………………. presso lo studio dell’Avv. ……………………………… ( mettere indirizzo, codice fiscale o n° partita IVA, indirizzo PEC e numero di fax), il quale lo rappresenta, assiste e difende, in virtù di mandato a margine del presente atto (o in calce al presente atto).

Premesso che

Il Sig. ………………………………. è creditore nei confronti di ……………………………………. Codice fiscale ………………………………….., residente in via ……………………………….. in forza del seguente titolo esecutivo: Descrivere il titolo esecutivo se su sentenza, decreto ingiuntivo ecc) per la somma di € ………..,…, oltre alle spese liquidate in giudizio nella misura di € ……….;

INTIMA E FA PRECETTO

al debitore di pagare entro 10 gg. dalla notifica del presente atto le seguenti somme:

Capitale  € …..

Interessi legali dal __/__/__ al __/__/____ per euro …………………,…

Spese legali per € ………………,…….

IVA  € …………..,….

Totale  € ………..,….

e quindi complessivamente la somma di € ……….., oltre agli interessi maturati e maturandi e le spese legali del presente precetto e del successivo procedimento esecutivo, da calcolarsi in base ai parametri allegati alD.M.del 10.3.2014, n. 55, con avvertimento che, in difetto di pagamento entro il termine di giorni 10 dalla notifica del presente atto, si procederà ad esecuzione forzata.

Si avverte inoltre il Sig ………………………., ex art. 480, 2° comma, c.p.c., che può, con l’ausilio di un organismo di composizione della crisi o di un professionista nominato dal  giudice, porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento concludendo con i creditori un accordo di composizione della crisi o proponendo agli stessi un piano del consumatore

Data e luogo

Firma

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Atto di pignoramento immobiliare aggiornato al d.l. 59/2016

TRIBUNALE DI

ATTO PER PIGNORAMENTO IMMOBILIARE

………. , cod. fiscale ……………. , elettivamente domiciliato in ………. , alla via …………..ed al n. ……………. e presso l’avv. …………….. che lo rappresenta e difende per procura in calce all’atto di precetto (o a margine dello stesso)

PREMESSO

– di avere notificato in data …… atto di precetto con il quale ha intimato ……, residente in .. , alla via .. ed al n. ….., di pagare la somma di € ………, oltre le spese successive e di cui è creditore in forza di ……. ; – che è inutilmente trascorso il termine di dieci giorni dalla notifica del suddetto precetto;

DICHIARA

di voler sottoporre a pignoramento l’immobile di proprietà di ….., sito in Comune di ……. , avente rendita catastale di €….. e distinto presso l’Agenzia del Territorio di ….. , così come segue …… e confinante con …….., unitamente a frutti, accessori e pertinenze dello stesso, nessuna esclusa

città e data

Avv……………………………….

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Deposito atti giudiziari

Il deposito per via telematica di atti inerenti un procedimento giudiziario avviene nel rispetto della normativa regolamentare concernente l’uso di strumenti telematici e tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel processo civile e nel processo penale di cui al D.M. n° 44 del 21 febbraio 2011 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n.24”).

Le schede pratiche di seguito disponibili permettono di individuare i prerequisiti necessari per poter eseguire il deposito e descrivono le caratteristiche e i flussi inerenti l’invio formale di un atto da parte di un soggetto abilitato esterno o interno verso la cancelleria.

Il deposito per via telematica di atti giudiziari è possibile,  per gli uffici di merito solo nell’ambito dei procedimenti civili di cognizione, lavoro, esecuzioni civili individuali e concorsuali.

Per la Corte Suprema di Cassazione, in attesa dell’attivazione delle funzionalità di deposito telematico di atti giudiziari, sono state rilasciate le specifiche tecniche per consentire alle software house di sviluppare o aggiornare gli applicativi messi a disposizione dei professionisti.

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NOTIFICA PEC

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