Tempestività del deposito telematico

Tribunale di Milano, 23 aprile 2016. Giudice Fascilla.

Processo civile telematico – Verifica della tempestività del deposito degli atti processuali – Produzione in giudizio di tutte le ricevute compresa quella rilasciata all’esito dei controlli della cancelleria o della segreteria – Necessità – Rifiuto dell’atto da parte del cancelliere – Impossibilità del giudice di verificare la correttezza della decisione del cancelliere – Pregiudizio della parte – Conseguenze – Rilevanza della ricevuta rilasciata dal dominio giustizia ai fini della valutazione della tempestività del deposito

Ai fini della verifica della tempestività del deposito telematico degli atti processuali è necessaria la produzione in giudizio anche delle ulteriori due ricevute previste dal comma 7 dell’articolo 13 del D.M. 44/2011, ovvero di quelle ricevute che il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente e nelle quali viene dato atto dell’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia nonché di quelli operati dagli operatori della cancelleria o della segreteria. Può, infatti, verificarsi che il file trasmesso in via telematica non venga accettato dalla cancelleria perché non firmato, o perché, ad esempio, affetto da errore verificatosi nella compilazione del file DatiAtto in formato XML che deve corredare l’atto da depositare e che deve contenere “le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo” (art. 12 delle Specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia con decreto 16 aprile 2014), ivi compresi dunque numero di ruolo generale e parti.”

Nel caso di rifiuto dell’atto da parte del cancelliere, il giudice si trova nella totale impossibilità di verificare la correttezza della decisione del cancelliere, con conseguente pregiudizio della parte, la quale non può esplicare il proprio diritto costituzionale alla difesa, in quanto la decisione del cancelliere diventa, sostanzialmente, irrevocabile. Conseguentemente, si deve ritenere che, pur essendo corretto l’orientamento che ritiene necessario, ai fini della tempestività del deposito, la acquisizione di tutte quattro le ricevute di deposito, compresa quindi quella relativa all’esito dei controlli da parte degli operatori della cancelleria o della segreteria, soltanto la terza ricevuta, ossia quella che il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente e nella quale viene dato atto dell’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia, possa essere presa in considerazione ai fini della valutazione di un eventuale non tempestivo deposito dell’atto, cosicché volta che sia positivo l’esito dei controlli automatici, si ritiene che la cancelleria non possa rifiutare l’atto se non dei casi più gravi di errori cd. FATAL.
R.G. 2014/60157
omissis
ORDINANZA Occorre preliminarmente svolgere alcune osservazioni sul piano normativo e applicativo dei depositi telematici. Il deposito telematico è in realtà costituito da una serie di passaggi logicamente e temporalmente susseguenti che, partendo dall’invio effettuato dal procuratore di una parte, si esaurisce con l’ultimo atto compiuto dalla cancelleria di accettazione dell’atto. Come è noto, la fonte principale per i depositi telematici è il DM 44/2011, che all’art. 1 testualmente afferma come “Il presente decreto stabilisce le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24, recante «Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario» ed in attuazione del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante «Codice dell’amministrazione digitale» e successive modificazioni.” Alla suddetta fonte normativa devono essere aggiunte le specifiche tecniche emanate con provvedimento del Direttore Generale SIA; detto provvedimento individua anche i soggetti esterni abilitati al deposito. Per comprendere i termini del problema che lo scrivente deve affrontare, occorre però evidenziare i singoli passaggi che ogni difensore deve verificare al fine del completo e positivo deposito degli atti e quindi: a) Il depositante predispone l’atto e gli allegati, tipicamente utilizzando un apposito software applicativo; b) Il software applicativo produce la busta telematica; c) Il depositante predispone il messaggio di PEC (eventualmente attraverso lo stesso software utilizzato per la predisposizione della busta telematica), con destinatario l’indirizzo di PEC dell’ufficio giudiziario o dell’UNEP destinatario; d) Il messaggio viene inviato al gestore di PEC del depositante stesso; e) Il gestore di PEC del depositante restituisce la Ricevuta di Accettazione (RdA), che viene resa disponibile nella casella di PEC del depositante; f) Il gestore di PEC del depositante invia il messaggio al gestore di PEC del Ministero della giustizia; g) Il gestore di PEC del Ministero della giustizia restituisce la Ricevuta di Avvenuta Consegna (RdAC); la busta si intende ricevuta nel momento in cui viene generata la RdAC; h) La RdAC viene resa disponibile nella casella di PEC del depositante; i) Il gestore dei servizi telematici effettua gli opportuni controlli automatici (formali) sulla busta telematica;
l) L’esito dei suddetti controlli è inviato con un messaggio di PEC al depositante, mediante un collegamento con il gestore di PEC del Ministero della giustizia; m) Il gestore di PEC del depositante provvede a rendere disponibile l’esito dei controlli automatici nella casella di PEC del depositante; n) Il gestore di PEC del depositante invia al gestore di PEC del Ministero la Ricevuta di Avvenuta Consegna (RdAC); o) L’operatore di cancelleria o dell’ufficio NEP, attraverso il sistema di gestione dei registri, accetta l’atto, che viene così inserito nel fascicolo informatico. Ora, la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere tempestivo il deposito nel momento in cui la parte riceve le prime due notifiche PEC, ossia le ricevute di accettazione e consegna. Nel senso che, se le ulteriori due ricevute dovessero arrivare successivamente alla scadenza del termine previsto, comunque il deposito verrà ritenuto tempestivo. Ma, allo stesso tempo, sta emergendo un ulteriore orientamento secondo cui la tempestività e la ritualità del deposito telematico è sospensivamente condizionato dall’esito positivo dell’intera procedura. Ad esempio, il Tribunale di Milano ha statuito come non sia sufficiente, ai fini della verifica della tempestività del deposito, la produzione in giudizio delle prime due ricevute, essendo invece necessaria la produzione anche delle “ulteriori due ricevute previste dal comma 7 dell’art. 13 del D.M. 44/2011, ovvero quelle che il gestore dei servizi telematici restituisce al mittente e nelle quali viene dato atto dell’esito dei controlli effettuati dal dominio giustizia, nonché dagli operatori della cancelleria o della segreteria. Può verificarsi, infatti, che il file trasmesso in via telematica non venga accettato dalla cancelleria perché non firmato, o perché, ad esempio, affetto da errore verificatosi nella compilazione del file DatiAtto in formato XML che deve corredare l’atto da depositare e che deve contenere “le informazioni strutturate nonché tutte le informazioni della nota di iscrizione a ruolo” (art. 12 delle Specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia con decreto 16.4.2014), ivi compresi dunque numero di ruolo generale e parti.”1. Lo scrivente ritiene di condividere il suddetto orientamento, occorrendo tuttavia approfondire la tematica. Invero, nel caso sottoposto allo scrivente, i passaggi cronologici possono essere così riassunti: – in data 22 settembre 2015 vi è stata l’interruzione del giudizio ex art. 300 c.p.c.; – in data 15 dicembre 2015 risultano generate le ricevute di accettazione e consegna, con quindi tempestività del deposito del ricorso in riassunzione; – in data 15 dicembre 2015 viene generata la terza ricevuta, con esito positivo; – in data 25 gennaio 2016, l’atto viene rifiutato dalla cancelleria. Come motivazione viene riportata la seguente dicitura: “Altro. Inviare collegando a numero rg e sezione della relativa causa interrotta. Atti rifiutati il 25/01/2016”. Con la conseguenza che il procuratore di parte ricorrente ha ridepositato il ricorso in data 26 gennaio 2016 e quindi, astrattamente, in ritardo, con consequenziale richiesta della parte convenuta di estinzione del giudizio. Tuttavia, il Tribunale non può non osservare che:
– la decisione in merito a tardività, nullità e irregolarità degli atti e dei relativi depositi, una volta superati i controlli automatici previsti dal Ministero, debbono essere riservati all’autorità giudiziaria; – invero, nel caso di rifiuto dell’atto da parte del cancelliere, il Giudice è nella totale impossibilità di verificare la correttezza della decisione del cancelliere, pregiudicando totalmente la parte nel proprio diritto costituzionale alla difesa, in quanto la decisione del cancelliere diventa, sostanzialmente, irrevocabile; – la assenza del numero di r.g. collegato alla busta poteva essere semplicemente superato dall’apertura del file contenente il ricorso, ove sono evidenziati la sezione, il Giudice e il numero di r.g.; – il notevole ritardo (in questo caso 40 giorni) tra la data di deposito dell’atto e la ricezione della quarta ricevuta appare compromettere qualsivoglia possibilità di rimediare ad ogni tipologia di errore commesso, anche non grave. Inoltre, non appare inutile evidenziare che la circolare del Ministero del 28 ottobre 2014 ha statuito che: – art. 5: “Dall’esclusività, o anche dalla mera facoltà del deposito telematico deriva l’esigenza, assolutamente prioritaria, di garantire la tempestiva accettazione degli atti e documenti depositati dalle parti. L’urgenza di provvedere a tale incombente è massima, poiché solo con l’accettazione del deposito da parte del cancelliere l’atto entra nel fascicolo processuale e diviene visibile dalla controparte e dal giudice. Laddove, poi, i termini per il deposito di atti siano scaglionati (per disposizione o per scelta del giudice), in maniera tale che alla scadenza di un primo termine si ricolleghi la decorrenza del secondo (è il caso dei termini di cui agli artt. 183 e 190 cpc) é evidente come il ritardo nell’accettazione del deposito eseguito nel primo termine comporti un’automatica decurtazione del secondo termine, a detrimento dei diritti di difesa (ferma restando la salvezza del termine per la parte che abbia visto generata la ricevuta di avvenuta consegna prima della scadenza). É, dunque, assolutamente da escludersi che possano trascorrere diversi giorni tra la data della ricezione di atti o documenti e quella di accettazione degli stessi da parte della Cancelleria. Si ritiene, pertanto, consigliabile che l’accettazione del deposito di atti e documenti provenienti dai soggetti abilitati all’invio telematico sia eseguita entro il giorno successivo a quello di ricezione da parte dei sistemi del dominio giustizia. A tale scopo gli Uffici giudiziari dovranno adottare ogni soluzione organizzativa idonea a garantire in via prioritaria la tempestività della lavorazione degli atti processuali ricevuti, se del caso anche ricorrendo ad una riorganizzazione del lavoro, tale da privilegiare le attività di „back office’ rispetto a quelle di „front office’, in modo da consentire una tempestiva accettazione del deposito di atti e documenti telematici. In tale contesto si colloca la modifica dell’art. 162 primo comma, della legge 23 ottobre 1960 n.1196, ad opera dell’art. 51 D.l. n.90/2014. Per effetto della modifica da ultimo introdotta, infatti, l’orario di apertura giornaliera delle cancellerie può essere ridotto da 5 a 3 ore. La riduzione dell’orario di apertura al pubblico – a cui i dirigenti avranno cura di ricorrere esclusivamente laddove ciò non determini disservizi per l’utenza – consentirà alle cancellerie di riservare una parte rilevante del proprio lavoro alla ricezione degli atti inviati telematicamente. In particolare, laddove venga in concreto attuata la riduzione dell’orario di apertura al pubblico, sarebbe opportuno che le cancellerie, in via tendenziale, incrementassero la quantità di tempo dedicata all’accettazione degli atti telematici in misura almeno pari a quella della riduzione dell’orario di apertura.”; – art. 7: Anomalie del deposito eseguito mediante invio telematico. “L’art. 14 del provvedimento 16 aprile 2014 del Responsabile DGSIA (Specifiche tecniche di cui all’art. 34 DM 44/2011) prevede che, all’esito della trasmissione ad un ufficio giudiziario di un atto o documento processuale, il gestore dei servizi telematici esegua automaticamente taluni controlli formali sulla c.d. Busta ricevuta dal sistema. Le possibili anomalie riscontrabili sono riconducibili a tre categorie : WARN, ERROR e FATAL. Errori appartenenti alle prime due categorie consentono alla cancelleria di forzare l’accettazione del deposito. Errori appartenenti alla terza categoria, viceversa, inibiscono materialmente l’accettazione,e, dunque, l’entrata dell’atto/documento nel fascicolo processuale. Le cancellerie, in presenza di anomalie del tipo WARN o ERROR, dovranno sempre accettare il deposito, avendo cura, tuttavia, di segnalare al giudicante ogni informazione utile in ordine all’anomalia riscontrata. A tal fine è fortemente auspicabile che i capi di ciascun ufficio e i dirigenti di cancelleria concordino tra loro modalità di segnalazione degli errori il più possibile efficaci e complete.” Ora, nel caso di specie, nessuna anomalia di sistema era stata rilevata, in quanto la terza ricevuta aveva avuto esito positivo. Ma anche nel caso di errori denominati Warn o Error (tra cui rientra peraltro proprio l’eventuale omissione del n. di r.g.) il Ministero ha disposto che le Cancellerie accettino il deposito, forzando l’errore e segnalando al Giudice, unico soggetto che dovrà decidere in merito alla tempestività e ritualità del deposito, l’eventuale problema riscontrato. Soltanto in presenza di errori c.d. FATAL (concernenti ad esempio la impossibilità di elaborazione delle buste, la totale assenza dell’atto nella busta ecc.) allora la Cancelleria è facoltizzata a rifiutare il deposito. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, pertanto, lo scrivente ritiene che, pur essendo corretto l’orientamento in merito alla necessità, ai fini della tempestività del deposito, di ottenere tutte e quattro le ricevute, soltanto la terza ricevuta, ossia gli esiti di controllo automatici, possano essere valutati come causa di non tempestivo deposito. Una volta, invece, che sia positivo l’esito dei controlli automatici, si ritiene che la Cancelleria non possa rifiutare l’atto, se non nei casi più gravi di errori c.d. FATAL. Pertanto, il Tribunale ritenuta la non legittimità del rifiuto del deposito avvenuto in data 25 gennaio 2016 da parte della cancelleria; ritenuta pertanto la tempestività del deposito del ricorso in riassunzione; P.Q.M. dispone la prosecuzione del giudizio fissando nuova udienza per il 19.05.2016 ore 11,25.

Si comunichi.

Milano, 23 aprile 2016

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Opposizione a sanzione amministrativa

Ove l’interessato si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto ex art. 203 e 204 del Cds, l’ordinanza-ingiunzione, implicandone il rigetto, dev’essere, a pena di illegittimità, motivata sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione all’infondatezza dei motivi allegati al ricorso.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L’avv. Italo BRUNO,

Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli,

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa iscritta al n° 308/04 R.G. – Affari Contenziosi Civili – avente ad oggetto:

Opposizione ad ordinanza-ingiunzione

T R A

(…) Livio, elett.te dom.to in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio degli Avv.ti Andreafrancesco (…) e Simona (…) che lo rapp.tano e difendono giusta mandato a margine del ricorso; RICORRENTE

E

PREFETTURA DI NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, dom.ta in Napoli alla Via Poggioreale Pal. Inail – Ufficio Depenalizzazione; RESISTENTE-CONTUMACE

CONCLUSIONI

Per il ricorrente: annullare l’ordinanza-ingiunzione prot.n. 195/Poz/04/IV Area del 15/3/04 notificata il 19/4/04 e la relativa sanzione amministrativa del processo verbale n.5136/170585 del 20/07/03 elevato dalla Polizia Municipale di Pozzuoli, per essere viziata da nullità assoluta in conseguenza della insufficiente motivazione posta alla base della stessa che, riporta stereotipate conclusioni valide per molteplici casi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…) Livio, con atto depositato il 28/4/04, proponeva opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione, prot. n. 195/Poz/04/IV Area del 15/3/04 notificata il 19/4/04, emessa nei suoi confronti dalla Prefettura di Napoli per conto del Comune di Pozzuoli, con la quale gli veniva ingiunto il pagamento dell’importo indicato per violazione al Codice della Strada.

Deduceva il ricorrente:

– che, avverso il verbale n.5136/170585 del 20/07/03, aveva proposto ricorso al Prefetto di Napoli, per il tramite dei Vigili Urbani del Comune di Pozzuoli, in data 10/12/03, ai sensi dell’art. 203 C.d.S.;

– che l’ordinanza-ingiunzione doveva ritenersi nulla in quanto non sufficientemente motivata.

Veniva fissata, con decreto notificato alle parti, l’udienza di comparizione delle stesse, alla quale rimaneva contumace la P.A.

All’esito dell’udienza, il Giudicante decideva la causa dando lettura del dispositivo ai sensi dell’art. 23 della l.689/81 e della sentenza della Corte Costituzionale n.534/90.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato e va accolto e, pertanto, l’ingiunzione di pagamento dev’essere annullata.

Una recente sentenza della Cassazione (n. 519 del 13 gennaio 2005), alla quale questo Giudice ritiene di aderire, ha stabilito che: ove l’interessato si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto ex art. 203 e 204 del Cds, l’ordinanza-ingiunzione, implicandone il rigetto, dev’essere, a pena di illegittimità, motivata sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione all’infondatezza dei motivi allegati al ricorso.

Con detta sentenza, la Suprema Corte ha anche precisato che, l’esame demandato all’Autorità pubblica non impone, in tale ambito, una risposta analitica e diffusa alle doglianze del ricorrente, né una loro confutazione puntuale, ma solo una loro effettiva considerazione, da compiere soprattutto nell’interesse della PA, eventualmente (ma non necessariamente) esplicata nella motivazione del provvedimento che respinge il ricorso.

Nel caso di specie, nell’ordinanza-ingiunzione impugnata si legge la solita frase, presente in tutti i moduli “standard” con cui il Prefetto rigetta i ricorsi: non sono da condividere le argomentazioni addotte, in quanto dalle stesse non sono emerse circostanze sufficienti che si sia concretizzata la richiamata violazione.

L’obbligo di motivazione è previsto dalla legge come condizione di legittimità dell’atto irrogativo della sanzione amministrativa e, pertanto, in mancanza di detta motivazione, il provvedimento dev’essere annullato per violazione di legge.

La ratio di tale normativa è quella di risolvere, per quanto possibile, dette controversie in sede amministrativa evitando – nell’interesse pubblico e dei soggetti direttamente interessati – l’instaurazione di processi di opposizione lunghi e costosi, secondo quanto – e nei limiti in cui – è consentito dalla Costituzione.

Tale scopo resterebbe del tutto frustrato ove si negasse ogni rilievo alla mancata motivazione sulle doglianze fatte valere in sede di opposizione ex art. 203 e 204 del Cds, in difformità dell’esplicito dettato normativo e, comunque, dal principio generale secondo il quale la violazione delle norme procedimentali attinenti alla formazione degli atti amministrativi ne determina la illegittimità.

La natura della controversia e le ragioni che hanno portato all’accoglimento dell’opposizione, giustificano la compensazione delle spese del giudizio.

La sentenza è esecutiva ex lege.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da (…) Livio nei confronti della PREFETTURA DI NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, così provvede:

1) accoglie l’opposizione e, per l’effetto, dichiarata l’illegittimità dell’ordinanza-ingiunzione n. 195/Poz/04/IV Area del 15/3/04, annulla il processo verbale n.5136/170585 del 20/07/03;

2) compensa tra le parti le spese del procedimento;

3) sentenza esecutiva ex lege.

Così decisa in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 9 febbraio 2005 IL GIUDICE DI PACE

(Avv. Italo BRUNO)

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

====IN ORIGINALE======

IL GIORNO 9 febbraio 2005

IL CANCELLIERE

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Multe: se il Prefetto respinge il ricorso deve fornirne le motivazioni

Cassazione – Sez. I civ. Sentenza 13 gennaio 2005, n. 519(Presidente Saggio – Relatore Genovese – Pm Martone – conforme – ricorrente Prefetto della Provincia di Bari- controricorrente Eurojapan Srl)Svolgimento del processo1. La società Eurojapan Srl proponeva opposizione all’ordinanza ingiunzione con la quale il Prefetto di Bari aveva respinto il suo ricorso (relativo a contestazione della Polizia Municipale di Adelfia con la quale si accertava la violazione dell’articolo 146, comma 3, del codice della strada).Il Giudice di Pace di Casamassima, con la sentenza impugnata in questa sede, accoglieva il ricorso, sostenendo che il provvedimento prefettizio, privo di riferimenti alle doglianze prospettate nel ricorso amministrativo, adottato con modulo prestampato uniforme e senza alcun riferimento al caso esaminato, sarebbe viziato per violazione di legge (articoli 204 Cds E 18, comma 2, legge 689/81).2. Contro la detta sentenza la Prefettura di Bari ha proposto ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo. La società Eurojapan Srl non ha presentato difese.Motivi della decisione1. Con l’unico motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 204 e 205 Cds, 18 legge 689/1981, 241/90, 285/92, in relazione all’articolo 360, comma1, nn. 3 e 5 Cpc) la Prefettura di Bari deduce che erroneamente il Giudice avrebbe accolto l’opposizione, in base alla mancata motivazione dell’ordinanza‑ingiunzione. Infatti, secondo il pacifico orientamento della Corte di cassazione, sarebbe pienamente legittima l’ordinanza motivata per relationen a quegli atti del procedimento che, sebbene non notificati unitamente all’ordinanza stessa, l’interessato avrebbe potuto richiedere in copia.2, Il motivo, che è infondato, comporta la reiezione del ricorso.2.1. Il tema posto all’attenzione della Corte riguarda l’estensione dei doveri dell’autorità amministrativa che sia stata chiamata a decidere il ricorso avverso il verbale di violazione stradale e, in particolare, i contenuti che deve avere l’ordinanza‑ingiunzione con la quale s’intenda respingere il ricorso proposto in via amministrativa per la violazione delle norme del codice stradale.La sentenza del giudice di pace, oggetto di impugnazione in questa sede, ha accolto il ricorso proposto in prime cure, sia perché il provvedimento prefettizio sarebbe stato privo di riferimenti alle doglianze prospettate nel ricorso amministrativo, sia perché sarebbe stato adottato con un modulo prestampato uniforme, privo di un qualunque riferimento al caso esaminato (fatto integrante il vizio di violazione di legge).2.2. La decisione del GdP non è condivisibile (e la motivazione che essa contiene va, pertanto, corretta in parte qua) là dove censura l’ordinanza‑ingiunzione mancante della risposta alle doglianze del contravventore ricorrente. Questa Corte, infatti, ha più volte affermato (Cassazione, sentenze nn. 5884 del 1997 e 8520 del 2001) il principio, dal quale questo Collegio non intende discostarsi, in base al quale, «nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa pecuniaria, nel quale il sindacato del giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento, attraverso un autonomo esame della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, non hanno rilievo i vizi di motivazione dell’ordinanza ‑ ingiunzione».La sentenza di merito è, invece, corretta nella parte residua della motivazione, là dove ha annullato, per violazione di legge, l’ordinanza‑ingiunzione che ha respinto il ricorso senza una neanche minima, motivazione riguardante la concreta esistenza dei presupposti della violazione amministrativa, ossia dei fondamenti del rapporto punitivo amministrativo.A tal proposito questa Corte ha avuto modo di affermare (nella sentenza 391/99) che «ove l’interessato si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto ex articoli 203 e 204 del Cds, l’ordinanza ingiunzione, implicandone il rigetto, deve essere a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso». ciò, in quanto, con riferimento alle violazioni attinenti alla circolazione stradale, gli articoli 203 e 204 del Cds attribuiscono, a colui a cui sia stata contestata la trasgressione, la facoltà di proporre ricorso al Prefetto, imponendo a tale organo della PA l’emissione, entro un termine predeterminato, dell’ordinanza «motivata» relativa alla eventuale ingiunzione dì pagamento della sanzione irrogata. La ratio di tale normativa, secondo la cennata sentenza è «quella di risolvere, per quanto possibile, dette controversie in sede amministrativa, deflazionando l’accesso alla giurisdizione, scopo che resterebbe frustrato ove si negasse ogni rilievo alla mancata motivazione sulle doglianze fatte valere in tale sede, in difformità dall’esplicito dettato normativo e, comunque, dal principio generale secondo il quale la violazione delle norme procedimentali attinenti alla formazione degli atti amministrativi ne determina la illegittimità».Tale finalità deflattiva, indubbiamente presente nel corpo normativo sulle sanzioni amministrative (per violazioni stradali e non), dev’essere intesa cum grano salis, e cioè in riferimento alla complessità dei compiti propri dell’ organizzazione pubblica ed alla mole, davvero notevole, dì tale precontenzioso.La ratio di tale normativa è, infatti, quella di risolvere, per quanto possibile, dette controversie in sede amministrativa, evitando – nell’interesse pubblico e dei soggetti direttamente interessati l’instaurazione di processi di opposizione, lunghi e costosi, secondo quanto – e nei limiti in cui – è consentito dalla Costituzione. Ma tale scopo resterebbe del tutto frustrato ove, negandosi ogni rilievo alla mancata motivazione sulla sussistenza della violazione, sostanzialmente si esonerasse da tale impegno ‑ in difformità dell’esplicito dettato normativo ‑ l’organo che ha l’obbligo di compiere tale verifica, anche servendosi (a mò di ausilio e di sollecitazione dei suoi poteri ufficiosi) delle doglianze svolte nel ricorso amministrativo. Queste hanno anche il compito di rappresentare all’Amministrazione le difese che l’interessato potrà svolgere in sede giurisdizionale e a valutarle, in sede amministrativa, per evitare liti lunghe e rischiose per gli stessi interessi pubblici (una probabile soccombenza giudiziale, alla luce degli orientamenti della giurisprudenza).L’esame demandato all’Autorità pubblica non impone, in tale ambito, una risposta analitica e diffusa alle doglianze del ricorrente, né una loro confutazione puntuale, ma solo una loro effettiva considerazione, da compiere soprattutto nell’interesse della PA, eventualmente (ma non necessariamente) esplicitata nella motivazione del provvedimento che respinge il ricorso.Proprio perché il sindacato dei giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento. attraverso un autonomo esame della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, la motivazione dell’ordinanza‑ingiunzione costituisce la prova dell’avvenuta considerazione in ordine alla sussistenza dei presupposti della singola violazione amministrativa, altrimenti mancante ove l’ordinanza si limitasse a richiamare (come nella specie), con l’uso di un modulo “standard”, solo gli estremi del verbale o, peggio, mancante anche di quelli.In tal caso, infatti la motivazione sarebbe meramente fittizia e nasconderebbe solo un apparente esame del caso controverso, equivalente al suo mancato compimento nei termini previsti dalla legge.Insomma, il principio secondo il quale nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa il sindacato del giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento irrogativo dì essa, attraverso un autonomo esame della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, non esclude affatto che in tale procedimento possano farsi valere anche i vizi del procedimento irrogativo della sanzione. Tra essi, ove sia stato proposto il ricorso previsto dall’articolo 203 del Cds, deve annoverarsi anche quello relativo alla carenza assoluta di motivazione, in quanto dimostrativa del mancato esame del caso controverso sottoposto all’autorità pubblica, poiché ‑ entro questi limiti ‑ l’obbligo dì motivazione è previsto dalla legge come condizione di legittimità dell’atto irrogativo della sanzione amministrativa. Di conseguenza, in mancanza di tale dimostrazione scritta, il giudice dell’opposizione, che non trovi il riscontro dell’esame (obbligatorio) dei presupposti del rapporto sanzionatorio, da parte dell’autorità amministrativa preposta a tale controllo, deve annullare detto provvedimento per violazione di legge.Nella specie, avendo il GdP, con accertamento di fatto incensurabile in questa sede, rilevato la sostanziale mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata, in relazione all’uso di un modulo prestampato e privo di riferimenti sostanziali al caso esaminato, deve ritenersi che egli ha fatto esatta applicazione dei principi sopra enunciati, con la conseguenza che il ricorso, per tale assorbente ragione, va rigettato.3. Nei fatti sopra narrati si ravvisano ragioni sufficienti per compensare le spese giudiziali di questa fase.PQMrigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.Così deciso in Roma il 7 dicembre 2004.DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 13 gennaio 2005.

24/01/2005

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Nullità dell’ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto

Il Giudice di Pace di Roma annulla un’ordinanza ingiunzione emessa dalla Prefettura di Roma in quanto la stessa reca delle frasi già predisposte e risulta adattabile ad altri ricorsi. La norma infatti prevede che l’ordinanza prefettizia sia “motivata”. La predetta ordinanza, in mancanza di indicazione delle motivazioni che hanno portato al rigetto del ricorso al Prefetto, è soggetta all’annullamento da parte dell’autorità giudiziaria.

 SENTENZA 86033/13

 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI ROMA

SEZIONE SESTA CIVILE

Il Giudice di Pace, Dott.ssa Alessandra Capizzano, nella causa NRG 108440/2009 vertente tra

M.V. elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis 31 presso lo studio dell’Avv. Vito Sola, come in atti

PARTE RICORRENTE

PREFETTURA DI ROMA, domiciliata presso l’Avvocatura comunale, rappresentata e difesa come in atti

OPPOSTO COSTITUITO

Oggetto: Ricorso ex art. 22 L. 689/81 avverso il provvedimento n. O.I. 91080002784

Conclusioni: come in atti

Visto gli articoli di legge, ha pronunciato

SENTENZA

Dando lettura del dispositivo e della motivazione all’udienza dell’8.11.2013

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fiondato e pertanto va accolto.

Va conseguentemente annullato il provvedimento impugnato, in considerazione che questo Giudice fa proprie le argomentazioni e le deduzioni di cui al ricorso, sufficientemente provate.

Nel caso di specie, l’atto prefettizio impugnato, facendo solo un generico riferimento ai motivi addotti da parte ricorrente senza specificarli e senza meno specificarne l’eventuale infondatezza, reca delle frasi già predisposte ed adattabili ad altri ricorsi di contenuto generico.

In realtà, l’ordinanza “motivata”, perché sia tale, deve precisare espressamente le motivazioni che hanno indotto al rigetto del ricorso (e non le motivazioni che hanno condotto alla proposizione dello stesso il ricorrente), nel rispetto di quanto sancito dall’art. 18 della legge 24.11.81 n. 689 (vedi anche Cass. 519/2005).

Inoltre, nel caso di specie, parte ricorrente lamenta l’avvenuto pagamento del verbale presupposto da parte del proprietario del veicolo oggetto di sanzione indicata nel verbale presupposto, allo stesso notificato, al provvedimento che s’impugna;

In effetti, dalle risultanze istruttorie si rileva che l’obbligazione da cui scaturisce il provvedimento che qui si impugna è stata estinta mediante il dovuto adempimento; circostanza provata per tabulas; talché l’atto oggi gravato è carente di presupposto, nonché privo di possibilità giuridica, inefficace.

Le ulteriori doglianze restano assorbite da queste sopraesposte.

Pertanto non possono meritare accoglimento le eccezioni di parte opposta. Le spese seguono la soccombenza che si quantificano come da dispositivo, valutata, altresì l’attività espletata.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace definitivamente pronunziando sull’opposizione proposta come in epigrafe, così provvede:

1)Annulla il provvedimento impugnato

2)Dichiara le spese a carico della parte soccombente che si liquidano in € 100,00 (cento/00) oltre oneri di legge da distrarsi in favore del procuratore costituito che si dichiara antistatario.

Roma 08.11.2013

Il Giudice di Pace

Dott.ssa Alessandra Capizzano

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

ROMA 9.12.2015

 

 

 

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La carenza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto

SOMMARIO: 1. Obbligo di motivazione ex art. 3, l. n. 241/1990. – 2.  Carenza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto.

  1. Obbligo di motivazione ex art. 3, l. n. 241/1990

Accade sempre più spesso che le ordinanze-ingiunzioni del Prefetto siano completamente prive dei motivi prospettati – negli scritti difensivi – dal ricorrente. A ciò va aggiunto che i medesimi provvedimenti prefettizi vengono adottati attraverso l’utilizzo di moduli prestampati ed uniformi e senza alcun riferimento al caso esaminato.
Orbene, questo modus operandi dell’amministrazione è illegittimo, giacchè non rispetta le prescrizioni della legge sul procedimento amministrativo e, segnatamente, l’obbligo di motivazione: viceversa, qualsiasi provvedimento amministrativo – ai sensi dell’art. 3, l. n. 241/1990 (2) e, nel caso, di ordinanza-ingiunzione (anche) ex art. 17, l. n. 689/1981 – deve essere sempre motivato, pena la sua nullità (3). Fanno eccezione gli atti normativi e gli atti a contenuto generale (4) (art. 3, comma 2, l. n. 241, cit.).
La ragion d’essere della motivazione risiederebbe,nel carattere di discorso argomentativo rivolto non soltanto al privato destinatario dell’atto e agli organi cui compete il controllo amministrativo e il sindacato amministrativo e giurisdizionale su di esso, ma anche all’opinione pubblica. Ciò allo scopo di garantire il sindacato diffuso della comunità in ordine alla non arbitrarietà della soluzione adottata dalla P.A. (5).
Quanto al contenuto, la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione amministrativa, in relazione alle risultanze dell’istruttoria (6). Fermo restando che il dovere di motivare è soddisfatto anche se il provvedimento richiama altro atto che contenga esplicita motivazione e questo sia reso disponibile (c.d. motivazione per relationem (7)).
In ogni caso, la motivazione deve comunque essere formata contestualmente all’adozione della decisione, altrimenti sarebbe elusa – come autorevolmente ritenuto – l’esigenza che l’azione amministrativa sia trasparente durante il suo farsi (8).
Alla luce di quanto asserito è evidente che la l. n. 241, cit. ha risolto il problema del “se” motivare: sicchè la mancanza di motivazione (detta anche carenza di motivazione) configura l’ipotesi di violazione di legge.
In ogni caso, l’istituto in esame non va confuso col difetto di motivazione – una delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere – che invece ricorre non in assenza di motivazione, ma quando la motivazione medesima sia insufficiente (perché non considera alcune circostanze), incongrua (in quanto da peso indebito ad alcuni profili), contraddittoria, apodittica, dubbiosa (è tale quella che richiama fatti che si assumono non certi), illogica e perplessa (9). Ergo: in ordine al “come” motivare, la motivazione medesima, oltre che esistente, deve risultare sufficiente per sottrarsi alle censure di eccesso di potere, chiarendo i fatti che giustificano la decisione amministrativa adottata (10).
In particolare, la P.A. dovrà puntualmente motivare se disattende le rappresentazioni dei privati interessati ex art. 10, l. n. 241, cit. e deve dar conto delle risultanze istruttorie. Ecco spiegata l’esclusione del dovere di motivare per gli atti normativi e per quelli amministrativi generali (11) (che – come noto – non son preceduti da istruttoria, ex art. 13, l. n. 241, cit.).

  1. Segue: Carenza di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione del Prefetto.

La giurisprudenza di legittimità, in non poche decisioni, ha ribadito che l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto medesima “deve essere a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso (12)”.
Sulla scorta di tale (sacrosanto) principio, il Giudice di pace di Roma, in due recenti decisioni, ha affermato, con molta nettezza, che “l’autorità amministrativa ha l’obbligo di motivare adeguatamente, e non solo per relationem, sui punti controversi (13)”; e, inoltre, “l’indicazione generica di norme e giurisprudenza della Suprema Corte – prassi costante seguita dal Prefetto di Roma – non può mai costituire la motivazione imposta dall’art. 17, l. 689/81, oltre che dell’obbligo di motivazione nascente dalla norma generale per la P.A. (art. 3, l. 241/90). Per quanto generico nel richiamo alle norme, la motivazione deve far comunque riferimento al caso specifico, che non può ritenersi implicito (14)”. In altri termini (e come ritenuto anche dal Giudice di pace di Civitavecchia), l’ordinanza-ingiunzione, laddove “faccia riferimento alle sole controdeduzioni fornite dagli agenti accertatori”, senza – nel contempo – prendere per nulla in considerazione gli scritti difensivi del presunto trasgressore, è illegittima (15).
A maggior ragione essa è illegittima quando il ricorrente non si limiti ad una contestazione generica del verbale di accertamento, ma fornisca all’amministrazione, ad esempio con l’audizione personale, nuovi elementi di valutazione o, comunque, prospetti questioni particolari. In tal caso, il mancato esame da parte dell’autorità prefettizia di tali deduzioni, comporterebbe, non solo l’annullamento dell’ordinanza-ingiunzione per carenza di motivazione (16), ma anche – secondo il Giudice di pace di Roma – “la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, sanciti costituzionalmente (17)”.
A ciò va aggiunto che, secondo le Sezioni unite della Suprema Corte di cassazione, l’obbligo di motivazione “deve riguardare, a pena di nullità, anche i tempi impiegati nelle singole fasi del procedimento (18)”. Ciò al fine di verificare che l’ordinanza-ingiunzione sia stata emessa nel rispetto dei termini perentori indicati agli articoli 203 e 204 C.d.S. (19).
Sulla scorta di tale ulteriore profilo, sempre il Giudice di pace di Roma – nell’accogliere un ulteriore ricorso – ha avuto modo di ribadire, con una certa chiarezza, che “vi è un ulteriore onere dell’amministrazione, la cui omissione determina la nullità del provvedimento amministrativo”. Tale onere – sempre a dire della medesima autorità giudicante – “è costituito proprio dalla necessaria indicazione nell’atto dell’avvenuto rispetto dei termini imposti dalla legge all’amministrazione per lo svolgimento delle diverse fasi del procedimento sanzionatorio”. Detto adempimento – continua il Giudice di pace – “è indispensabile al fine di permettere a chi riceve l’ingiunzione di controllare il rispetto della legge da parte dell’amministrazione nello svolgimento della procedura amministrativa che ha portato all’applicazione di una sanzione nei suoi confronti”. Sicchè, “la mancata indicazione nell’ordinanza-ingiunzione dell’avvenuto adempimento nei tempi previsti delle singole fasi del procedimento determina la nullità assoluta dello stesso…nel caso di specie il prefetto non ha indicato quando sono stati trasmessi gli atti tra gli uffici (20)”.
In altri termini, affinchè l’obbligo di motivazione sia adempiuto, l’autorità prefettizia (almeno quella di Roma) dovrebbe non solo cominciare a fare sempre riferimento alle ragioni prospettate dal ricorrente (mediante scritti, documenti e audizione personale) e, dunque, non utilizzare moduli prestampati (21), ma anche indicare i tempi impiegati nelle singoli fasi del procedimento irrogativo dell’ordinanza-ingiunzione, pena – come visto – la nullità della stessa.

(1) Avvocato del foro di Roma e dottorando di ricerca in diritto pubblico nell’Università LUISS Guido Carli di Roma.
(2) Come correttamente rilevato, prima della l. n. 241, cit. “nel nostro ordinamento non era stabilito un dovere generale di motivazione degli atti amministrativi, e alla dottrina e alla giurisprudenza spettava il compito di individuare quali atti dovessero essere motivati (in sintesi si trattava degli atti discrezionali e di quelli che ledessero la situazione del privato) e quali non la richiedessero, nonché, nei confronti dei primi, l’ampiezza del contenuto della motivazione stessa”, così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, V° ed., Giuffrè, Milano, 2003, p. 488.
(3) Su cui si v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, p. 489, cit. secondo cui “se l’obbligo di motivazione stabilito dall’art. 3, l. 241/1990 riguarda i soli provvedimenti, ciò non significa ovviamente che gli atti amministrativi non provvedimentali non debbano essere motivati. Riguardo ad essi nulla è innovato: e dunque continuano a dovere essere motivati gli atti riguardo ai quali dottrina e giurisprudenza avevano più o meno concordemente sostenuto la necessità di motivazione. Ma son pur oggi ammissibili atti non provvedimentali non motivati anche se la ratio ella motivazione…e il principio di trasparenza dell’attività amministrativa tendono a restringere ulteriormente l’ambito degli atti sottratti all’obbligo di motivazione. Così, ad esempio, secondo la giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato (diverso l’orientamento di alcuni T.A.R.), non andrebbe motivata la attribuzione del punteggio nei pubblici concorsi, trattandosi di attività non provvedimentale, ma di giudizio…La differenza fra atti provvedi mentali e atti non provvedi mentali per quanto attiene all’obbligo di motivazione risulta peraltro coerente con la distinzione fra le due categorie di atti in ordine agli effetti giuridici: solo dagli atti provvedi mentali scaturiscono effetti rilevanti sul piano dell’ordinamento generale, consistenti nella modificazione, costruzione o estinzione di situazioni giudiriche soggettive. La motivazione, in queste ipotesi, soddisfa l’esigenza che siano esplicitate le ragioni per cui tale vicenda intersoggettiva è prodotta e deve giustificare le modalità e i mezzi concreti scelti dall’amministrazione per perseguire l’interesse pubblico affidato alle sue cure. La prospettiva è, dunque, ancora quella della incisione diretta di situazioni giuridiche rilevanti sul piano dell’ordinamento generale. L’eventuale motivazione di atti non provvedi mentali ha un diverso significato giuridico: essa esplicita all’esterno la congruità di scelte, valutazioni o determinazioni che non coinvolgono direttamente situazioni giuridiche, avendo un esclusivo rilievo endoprocedimentale”.
Sull’attribuzione del punteggio nei pubblici concorsi si v. anche la recente decisione della Corte costituzionale n. 20/2009 (la si v. in www.cortecostituzionale.it).  Il giudice a quo aveva sollevato la questione asserendo che la normativa doveva ritenersi incostituzionale laddove non prevedeva l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di valutazione delle prove scritte d’esame per l’abilitazione alla professione forense. Viceversa, la Corte ha dichiarato la questione non fondata, asserendo che “gli artt. 24, 111 e 113 Cost. operano su un piano esclusivamente processuale, mentre la denunciata illegittimità della norma opera su un piano sostanziale”.
(4) Su cui si v. Corte cost., n. 379/2004 (la si v. in www.cortecostituzionale.it), in cui si è affermato che lo Statuto regionale può tuttavia sancire l’obbligo di motivazione per questi atti (punto n. 5 del Considerato in diritto). L’obbligo di motivazione invece costituisce una caratteristica specifica del diritto comunitario: ed, infatti, gli atti comunitari vincolanti devono essere sempre motivati, pena l’annullamento per violazione delle forme sostanziali (art. 230, secondo comma, trattato CE). La conseguenza è che si tratta di motivi di ordine pubblico che il giudice può e deve sollevare anche d’ufficio (così Comm. c. Sytraval, causa C-367/95 P, sentenza 2 aprile 1998, Racc. p. I-1719, punto 67). In argomento si v. le esaustive considerazioni di G. TESAURO, Diritto comunitario, II° ed., Cedam, Padova, 2001, p. 123 ss.
(5) Così A. ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Giuffrè, Milano, 1987. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale si è affermato che “un atto motivato, a prescindere dalla sua natura giuridica, di diritto pubblico o di diritto privato, consente comunque un controllo giurisdizionale e garantisce – attraverso la esternazione delle ragioni che stanno alla base della determinazione assunta dall’organo politico – scelte trasparenti e verificabili, in grado di consentire la prosecuzione dell’attività gestoria in ossequio al precetto costituzionale della imparzialità dell’azione amministrativa. Precetto, questo, che è alla base della stessa distinzione funzionale dei compiti tra organi politici e burocratici e cioè tra l’azione di governo – che è normalmente legata alle impostazioni di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’amministrazione, la quale, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata, invece, ad agire senza distinzioni di parti politiche e dunque al «servizio esclusivo della Nazione» (art. 98 Cost.), al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento” (così le decisioni nn. 161/2008, 103 e 104/2007, in www.cortecostituzionale.it, si v. rispettivamente i punti n. 3.2., 9.2., 2.9. dei Considerato in diritto).
(6) Occorre tener presente che la legge raggruppa in un’unica definizione sia ciò che parte della dottrina qualificava in precedenza come motivazione in senso stretto (indicazione dei motivi), sia la c.d. giustificazione (indicazione dei presupposti dell’agire), sicchè anche i provvedimenti vincolati debbono essere motivati. Su cui si v. amplius E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 489.
(7) Si tenga però presente che, almeno nel giudizio incidentale di costituzionalità, non possono avere ingresso questioni motivate solo per relationem, “dovendo il rimettente rendere esplicite in ciascuna ordinanza le ragioni per le quali ritenga rilevante e non manifestamente infondata la questione sollevata, mediante una motivazione autosufficiente, non sostituibile dal rinvio al contenuto di altre ordinanze, anche se emanate dallo stesso giudice nel medesimo giudizio” (così ex plurimis, Corte cost. n. 103/2007, in www.cortecostituzionale.it, punto n. 3.1. del Considerato in diritto).
(8) Così E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 489. Sulla motivazione in corso di giudizio si v. invece Cons. gius. amm. sic., n. 149/1993.
(9) Su cui si v. però E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 486, secondo cui “la stessa situazione può dar luogo al vizio di violazione di legge e a quello di eccesso di potere (si pensi al difetto di istruttoria, fase quest’ultima disciplinata dalla legge). Del resto, la tendenza a codificare i sintomi dell’eccesso di potere mira a consentire l’individuazione di una regola di comportamento generale, che contraddice l’essenza stessa di tale vizio, allorchè il legislatore recepisce l’indicazione giurisprudenziale ponendo una corrispondente norma scritta”.
(10) Nell’ambito del Codice della strada assai significativa (in ordine al profilo del difetto di motivazione) è una decisione – del 9 gennaio 2006 – del Giudice di pace di Caserta (Dott. Barra, in www.iussit.it), il quale ha annullato un’ordinanza-ingiunzione del Prefetto, giacchè essa, nella prima parte, prendeva in considerazione solo il ricorso dell’obbligato in solido e nella seconda parte soltanto il ricorso del trasgressore, ingiungendo tuttavia ad entrambi di pagare la somma fissata. In sostanza, l’ordinanza era errata – per difetto di motivazione appunto – giacchè il Prefetto aveva confuso i contenuti dei due distinti ricorsi presentati.
(11) Sul punto si v. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 49°, il quale rileva che “l’esclusione del dovere di motivazione degli atti a contenuto generale non impedisce peraltro che, quando in essi siano contenute clausole specifiche di peculiare applicazione, queste possano essere considerate provvedi mentali, e quindi debbano essere motivate. Ciò significa che, ai fini del requisito della motivazione, è pur sempre necessaria un’attenta interpretazione dell’atto stesso: almeno in questo atti provvedi mentali e non provvedi mentali non differiscono”.
(12) In tal senso Cass. civ., 13/01/2005, n. 519; ma si v. anche [le più recenti] Cass. civ., 16/04/2008, n. 10043; Cass. civ., 16/11/2007, n. 23747; Cass. civ., 13/04/2006, n. 8649. Tra i Giudici di pace si v. in particolare le decisioni adottate da quello di Bari, secondo cui “affinché l’obbligo di motivazione dell’ordinanza-ingiunzione possa dirsi effettivamente e compiutamente assolto, non è sufficiente che il prefetto si riporti alle risultanze degli accertamenti, delle deduzioni e delle valutazioni dell’organo accertatore per confermarne la fondatezza, ma è altresì necessario che egli prenda posizione in relazione alla infondatezza dei motivi prospettati dal trasgressore con il ricorso proposto in via amministrativa, dando conto – sia pure succintamente – delle ragioni di fatto e di diritto che ne hanno comportato il rigetto” (così Giudice di pace di Bari, VI° sez., sentt. 01/02/2006, 24/11/2005, 04/11/2005 e 21/09/2005).
(13) Così Giudice di Pace di Roma, Dott. Romano, 27/08/2008, n. 35969.
(14) In tal senso Giudice di Pace di Roma, Dott.ssa Matacchioni, 23/01/2008, n. 3542.
(15) In tal senso Giudice di pace di Civitavecchia, Dott. Barca, 12/06/2006.
(16) Così Giudice di pace di Roma, Dott.ssa Andreoni, 17/05/2005, n. 21797.
(17) In tal senso Giudice di pace di Roma, Dott. Caciotti, n. 19543/2006.
(18) Così Cass. civ., Sez. un., 27/04/2006, n. 9591.
(19) In particolare:
1) entro sessanta giorni della contestazione o dal1a notifica dell’accertamento deve essere presentato il ricorso al Prefetto (art. 203, comma l, C.d.s.);
2) se il ricorso è inviato direttamente al Prefetto questi, entro trenta giorni dal ricevimento deve trasmetterlo con i documenti all’organo che ha effettuato l’accertamento (art. 203, comma 1-bis, C.d.s.);
3) l’organo che ha effettuato l’accertamento, ricevuto il ricorso o ricevuti gli atti trasmessi dal Prefetto, deve trasmettere le proprie deduzioni e documenti al Prefetto nel termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento (art. 203, comma 2, C.d.s.);
4) Se il ricorrente ha fatto richiesta di audizione, il Prefetto deve invitarlo in una data precisa, per essere ascoltato. Ciò interrompe il decorso di tutti i termini perentori indicati (art. 204, comma 1-ter, C.d.s.);
5) il Prefetto, se non decide per l’archiviazione ha l’obbligo di adottare l’ordinanza ingiunzione entro e non oltre i seguenti termini perentori:
a) il termine indicato al comma 1 dell’art 204 C.d.s (più volte modificato ed allungato al fine di permettere al Prefetto di provvedere con più facilità), più 90 giorni in caso di trasmissione del ricorso direttamente al Prefetto;
b) il termine indicato al comma 1 dell’art. 204 C.d.s., più 60 giorni in caso di invio del ricorso all’indirizzo dell’organo accertatore;
6) il prefetto deve notificare l’ordinanza entro e non oltre 150 giorni dalla sua adozione.
(20) Così Giudice di Pace di Roma, Dott. Colarusso, 24/11/2007, n. 45263.
(21) Sul punto si v. Giudice di pace di Roma, Dott.ssa Ferri, 01/02/2006, n. 5632, che ha censurato il modus operandi del Prefetto, il quale “ha fittiziamente e solo apparentemente esaminato il ricorso in quanto per motivarne il rigetto ha usato un modulo prestampato e privo di riferimenti sostanziali al caso di specie”.
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Obbligo di motivazione dell’ordinanza di ingiunzione prefettizia

Nel caso – non infrequente – in cui le ordinanze – ingiunzione prefettizie sono formulate a mò di mera clausola di stile, è stata sostenuta, presso gli operatori, la tesi della illegittimità per carenza del fondamentale requisito di motivazione previsto dall’art. 3, legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificato dalla recente legge 11 febbraio 2005 n. 15, il quale recita: Articolo 3 – Obbligo di motivazione “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria.2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama”.

Nel disciplinare il contenuto minimo della motivazione, la suddetta legge, precisa che essa debba indicare presupposti di fatto e ragioni di diritto, dovrà tener conto, dunque, anche delle argomentazioni esposte dall’interessato nella memoria difensiva.

L’ordinanza ingiunzione rappresenta un vero e proprio provvedimento sanzionatorio con cui si applica la sanzione amministrativa. In considerazione del fatto che soltanto l’ordinanza ingiunzione è l’atto che incide sulle posizioni giuridiche soggettive dei destinatari, la legge ne prevede una tutela giurisdizionale, allorchè secondo le regole generali sull’invalidità riflessa, i vizi degli atti endoprocessuali (atti interni al procedimento finalizzati all’emanazione dell’atto) si riflettono in termini di validità sull’atto finale.

Vero è che, in generale l’art. 3, comma 3 della legge 241/90 ammette che le ragione della decisione possano risultare da altro atto richiamato dalla decisione stessa, tuttavia tale disposizione impone altresì che l’atto richiamato sia indicato e reso disponibile dall’autorità amministrativa che ha emanato il provvedimento motivato per relationem., non ricorrendo dunque ad un mero richiamo ma, perlomeno facendo riferimento a quegli elementi logico-giuridici sulla base del quale è stata adottata l’impugnata decisione.

È noto che presso gli operatori del diritto vi sia oggi concordia di opinioni nel riconoscere valenza prioritaria al citato requisito della motivazione degli atti amministrativi, assolutamente servente al rispetto del principio del contraddittorio, la cui cittadinanza è pure riconosciuta nella materia del procedimento amministrativo.

Oltretutto l’art. 18, 2° comma della legge 24 Novembre 1981 n. 689 impone l’obbligatoria motivazione dell’ordinanza con cui si determina la somma dovuta a titolo di sanzione amministrativa.

Motivare un atto significa manifestare le ragioni che hanno condotto ad adottare una determinata scelta richiamando le circostanze di fatto nonché il processo logico seguito per pervenire ad una determinata decisione. La funzione della motivazione è duplice: da una parte porre l’interessato in condizione di esercitare le proprie difese, ripercorrendo l’iter logico e giuridico che hanno portato l’autorità amministrativa a ritenere fondato l’accertamento ed ad applicare la sanzione; dall’altro lato consentono al giudice di eseguire un controllo sulla validità formale e sostanziale dell’ingiunzione stessa.

Tali considerazioni trovano autorevole conforto nella unanime recentissima giurisprudenza della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione Sent. 519/2005,  di cui qui ci si limita a riportarne la massima: << Ove l’interessato si sia avvalso della facoltà di proporre il ricorso al Prefetto ex articoli 203 e 204 del Cds, l’ordinanza ingiunzione, implicandone il rigetto, deve essere a pena di illegittimità, motivata, sia pure succintamente, sia in relazione alla sussistenza della violazione, sia in relazione alla infondatezza dei motivi allegati con il ricorso».

Ciò, in quanto, con riferimento alle violazioni attinenti alla circolazione stradale, gli articoli 203 e 204 del Cds attribuiscono, a colui a cui sia stata contestata la trasgressione, la facoltà di proporre ricorso al Prefetto, imponendo a tale organo della PA l’emissione, entro un termine predeterminato, dell’ordinanza «motivata» relativa alla eventuale ingiunzione dì pagamento della sanzione irrogata.

La ratio di tale normativa, secondo la cennata sentenza è “quella di risolvere, per quanto possibile, dette controversie in sede amministrativa, deflazionando l’accesso alla giurisdizione, scopo che resterebbe frustrato ove si negasse ogni rilievo alla mancata motivazione sulle doglianze fatte valere in tale sede, in difformità dall’esplicito dettato normativo e, comunque, dal principio generale secondo il quale la violazione delle norme procedimentali attinenti alla formazione degli atti amministrativi ne determina la illegittimità” (Cass. 391/99, e la recentissima 13 gennaio 2005 n. 510). Più in dettaglio, motiva la Cassazione, l’inottemperanza a tali dettami porterebbe all’abnorme seguente conseguenza: “la motivazione sarebbe meramente fittizia e nasconderebbe solo un apparente esame del caso controverso, equivalente al suo mancato compimento nei termini previsti dalla legge. Insomma, il principio secondo il quale nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa il sindacato del giudice si estende alla validità sostanziale del provvedimento irrogativo dì essa, attraverso un autonomo esame della ricorrenza dei presupposti di fatto e di diritto dell’infrazione, non esclude affatto che in tale procedimento possano farsi valere anche i vizi del procedimento irrogativo della sanzione. Tra essi, ove sia stato proposto il ricorso previsto dall’articolo 203 del Cds, deve annoverarsi anche quello relativo alla carenza assoluta di motivazione, in quanto dimostrativa del mancato esame del caso controverso sottoposto all’autorità pubblica, poiché entro questi limiti l’obbligo dì motivazione è previsto dalla legge come condizione di legittimità dell’atto irrogativo della sanzione amministrativa. Di conseguenza, in mancanza di tale dimostrazione scritta, il giudice dell’opposizione, che non trovi il riscontro dell’esame (obbligatorio) dei presupposti del rapporto sanzionatorio, da parte dell’autorità amministrativa preposta a tale controllo, deve annullare detto provvedimento per violazione di legge”. (orientamento confermato anche dalla sentenza 9.02.2005 gdp di Pozzuoli).

Per quanto attiene al giudizio di merito, le Sezioni Unite delineano con notevole completezza un’articolata ricostruzione del processo ex art. 22, osservando che: a)  l’oggetto di tale giudizio è formalmente costruito come giudizio di impugnazione dell’atto, ma tende all’accertamento negativo della pretesa sanzionatoria, nel senso che l’atto è il veicolo d’accesso al giudizio di merito, al quale si perviene per l’appunto tramite la sua impugnazione; b) che il giudizio concerne anzitutto la legittimità formale e sostanziale dell’ordinanza-ingiunzione e che, nel caso che sia accertata l’illegittimità del provvedimento, il giudizio deve definirsi con l’annullamento del provvedimento sanzionatorio, senza possibilità che la P.A. possa pretendere una pronunzia sulla sussistenza della sua pretesa sanzionatoria, con una sua consacrazione in una statuizione sostitutiva del giudice c) che la struttura del procedimento ex art. 22 l. 689/81 in punto di poteri del giudice in ordine all’attività di allegazione, deve ricostruirsi tenendo conto che si tratta di un procedimento che deve ricondursi nell’alveo del processo civile, le cui regole generali debbono trovare applicazione, con la conseguenza che i limiti dell’esame giudiziale debbono reputarsi segnati dal contenuto della domanda introduttiva dell’opposizione, essendo possibile soltanto che il giudice fondi la decisione sulla causa petendi prospettata dall’opponente ed essendo, invece, precluso al giudice il porre a fondamento della decisione una causa petendi diversa da quella dedotta dall’opponente, sulla base di una propria attività di accertamento ed allegazione.

La pronuncia delle Sezioni Unite ha, dunque, ricondotto il giudizio di opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione nell’ambito del modello generale del processo civile, sancendo, in particolare, la piena applicabilità ad esso del principio della domanda e del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

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Istanza di visibilità

TRIBUNALE CIVILE DI _____________________

Istanza di richiesta di visibilità temporanea

del fascicolo informatico n. __/__ R.G. – UD. __

Giud. dott.________________

L’Avv.ti ______________ (c.f. ____________________), con studio in _________, Via ___________________, N. __ , come da procura rilasciata ex art. 83 c.p.c. ed allegata alla busta di deposito del presente atto, dalla s.r.l. _____________________________(c.f. e p.iva ___________________________), con sede in (_______) ___________, Via ________________________ n. __,  ai fini della costituzione in giudizio, ha interesse, nel procedimento in epigrafe indicato, ad esaminare i documenti ed i provvedimenti depositati nel fascicolo informatico per una migliore difesa in giudizio, pertanto

CHIEDE

che il Sig. Cancelliere voglia consentire allo scrivente Avvocato, la consultazione da remoto del fascicolo telematico per il tempo necessario all’espletamento delle anzidette attività difensive.

Luogo r data

Con osservanza.

Avv. _________________________

 

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