Espropriazione presso terzi aggior. alla L. 183/2011

1.1 La funzione del processo esecutivo
Il procedimento di espropriazione, al contrario del processo di cognizione che mira all’accertamento del diritto e ad una pronuncia di condanna, è finalizzato alla rapida e coattiva attuazione di quanto accertato in sede cognitiva e si struttura in un solo grado di giudizio, in cui si realizzano una serie coordinata e concatenata di atti che consentono di addivenire alla soddisfazione coattiva del diritto del creditore. Prima del suo avvio, sono necessari gli atti preliminari alla introduzione del processo, ad esempio la notifica del titolo esecutivo, la spedizione del titolo esecutivo in forma esecutiva, la redazione e la notifica dell’atto di precetto: questi atti costituiscono, insieme all’atto introduttivo del processo esecutivo, sotto il profilo della natura giuridica, una fattispecie a formazione complessa.
Con l’espropriazione forzata si avvia, dunque, un processo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni che fanno parte del suo patrimonio, al fine di soddisfare il creditore procedente, in attuazione della loro funzione di garanzia generica delle obbligazioni sancita dall’art. 2740 c.c.
Si tratta, quindi, di una forma di esecuzione indiretta, a differenza della esecuzione in forma specifica, che può invece definirsi diretta in quanto avente ad oggetto proprio il bene dovuto.
In correlazione alla generica responsabilità patrimoniale del debitore che risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri vi è, dunque, la facoltà del creditore di espropriare i beni del debitore per conseguire quanto gli è dovuto, secondo le regole stabilite dal c.p.c. (anche art. 2910 c.c.).
L’espropriazione forzata, può essere mobiliare o immobiliare ed il creditore può optare per l’una o per l’altra; anzi, ai sensi dell’art. 483 c.p.c. può valersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge ma, su opposizione del debitore, il giudice dell’esecuzione può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o, in mancanza, a quello che il giudice stesso determina. Se è iniziata la esecuzione immobiliare, l’ordinanza è pronunciata dal giudice di quest’ultima.
La norma mira ad impedire al creditore, che pure ha diritto di recuperare nel più breve tempo possibile il suo credito scegliendo liberamente i beni da assoggettare ad esecuzione senza limiti al contemporaneo esercizio dell’azione esecutiva su tutto il patrimonio del debitore, di abusare del suo potere di cumulare diversi mezzi di espropriazione (mobiliare, presso terzi, immobiliare etc.), limitando eccessivamente la disponibilità patrimoniale del debitore. In questi casi, il debitore, senza dover rispettare alcun termine di decadenza, può presentare al giudice dell’esecuzione un’istanza (che il codice definisce impropriamente opposizione, che può essere rivolta al giudice anche in udienza, con onere in tal caso di comunicazione
del verbale ai creditori assenti) volta ad ottenere una limitazione dell’esecuzione ad una (o ad alcune) delle procedure intentate dal creditore, a scelta di quest’ultimo o, in mancanza, con determinazione del giudice stesso (che sceglierà i mezzi più idonei a tutelare le ragioni del creditore o, in caso di pari idoneità, quelli meno pregiudizievoli per il debitore).
Secondo la prevalente opinione, il maggior valore dei beni, oggetto dell’espropriazione, rispetto al credito vantato, non costituisce, di per sé solo, eccesso dei mezzi di espropriazione tale da legittimare l’intervento del giudice. Si ritiene che la norma sia applicabile quando i beni assoggettati alle diverse forme di espropriazione non solo siano di valore superiore al credito indicato nel titolo esecutivo, ma lascino anche oggettivamente prevedere che il ricavo sia da solo sufficiente a soddisfare sia il creditore procedente che gli eventuali intervenienti.
In ogni caso, l’accoglimento dell’istanza determina l’estinzione (o secondo altra tesi la improcedibilità) del procedimento esecutivo escluso. Il giudice dell’esecuzione decide sull’istanza, previa comparizione delle parti, con ordinanza, che la norma definisce espressamente non impugnabile. Secondo la giurisprudenza, la disposizione in esame sancisce la non impugnabilità davanti allo stesso giudice e la ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost., ma non esclude, come per ogni atto esecutivo, la possibilità di proporre opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ. 19.2.2003, n. 2487), anche nell’ipotesi in cui l’istanza sia rigettata (Cass. civ. 26.10.1984, n. 5492).
Secondo la dottrina prevalente, il creditore può impugnare l’ordinanza che accoglie l’istanza anche qualora essa abbia escluso dal cumulo proprio il mezzo prescelto dal creditore, che ha sul punto un potere vincolante per il giudice.
Si discute, poi, sulla possibilità di revoca dell’ordinanza ex art. 487 del c.p.c. Dunque, il creditore che abbia già pignorato beni del debitore può, in pendenza della procedura esecutiva già intrapresa, pignorare ulteriori beni dello stesso tipo appartenenti al debitore per la soddisfazione del medesimo credito risultante dal titolo esecutivo già azionato, non essendogli precluso di avvalersi una seconda volta del medesimo mezzo di espropriazione (Cass. civ. 9-4-1992, n. 4375) con l’unico limite, sottoposto al controllo del giudice, della congruità dei mezzi di esecuzione e della loro idoneità a determinare con immediatezza l’effettiva soddisfazione del credito fatto valere in executivis (Cass. civ. 16-5-2006, n. 11360.).
Secondo la dottrina, la limitazione del cumulo dei mezzi di espropriazione non è applicabile se anche in uno solo dei procedimenti esecutivi vi sia un concorso di creditori (pignoranti successivi o intervenuti), non essendo attuabile il meccanismo che prevede come prioritaria la scelta del mezzo da parte del creditore.
L’instaurazione di due procedure esecutive diverse per lo stesso credito non preclude al creditore, in mancanza della limitazione prevista dall’art. 483 c.p.c., di ottenere il rimborso delle spese di entrambe (Cass. civ. 17-4-1987, n. 3786), anche se ciascun rimborso deve essere disposto nell’ambito della rispettiva procedura.
1.2 Le fasi del processo esecutivo: cenni
Occorre ricordare che tutti i creditori hanno uguale diritto ad essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di prelazione (cd. par condicio creditorum) ai sensi dell’art. 2741 c.c., per cui nel processo destinato alla soddisfazione del creditore hanno potere di intervenire tutti gli altri creditori del debitore esecutato, per rivalersi sul ricavato in proporzione ai loro crediti.
Il processo esecutivo si svolge attraverso varie fasi che sinteticamente possono ridursi a tre: 1) il pignoramento; 2) la vendita o la assegnazione del bene pignorato; 3) la distribuzione del ricavato. Per ogni tipo di procedura, però, vi sono adattamenti alla fattispecie, nel senso che talora il processo esecutivo non inizia con il pignoramento bensì con un ricorso al giudice dell’esecuzione
(ad es. obblighi di fare e non fare) e talaltra non si chiude con la distribuzione del ricavato, ma con il compimento dell’attività materiale richiesta (ad es. consegna del bene nell’esecuzione per consegna o rilascio).
La conclusione della procedura, poi, può avvenire anche per il verificarsi di vicende anomale del processo esecutivo: il processo, infatti, può chiudersi anticipatamente per estinzione nel caso di rinuncia agli atti esecutivi o per inattività delle parti, per sospensione del processo come previsto nell’art. 623 c.p.c. e per improcedibilità tutte le volte in cui vi è una impossibilità materiale o giuridica di giungere alla sua conclusione.
Talvolta, inoltre, nel processo esecutivo si inseriscono, seppur in forma autonoma, una serie di momenti cognitivi genericamente inglobati nelle procedure di opposizione all’esecuzione, che introducono anche una fase cautelare, al fine di valutare la necessità o la opportunità di sospensione del processo esecutivo. Non possono considerarsi opposizioni, ma pur sempre rientrano nei
momenti cognitivi che si intersecano nelle procedure esecutive, anch’esse mantenendo una forma autonoma, i giudizi per accertamento dell’obbligo del terzo ed il giudizio di divisione, in questi casi la procedura esecutiva entra in una fase di quiescenza, ed il giudizio per la controversia tra i creditori concorrenti regolata dall’art. 512 c.p.c., ove il giudice dell’esecuzione
emette un provv.to immediato e nel caso di impugnazione di questo provvedimento nasce un vero e proprio procedimento cognitivo.
1.3 Le forme di esecuzione
In relazione al diritto accertato in sede cognitiva o comunque contenuto in un titolo esecutivo, si distinguono varie forme di esecuzione. Se oggetto dell’esecuzione è un bene mobile nella disponibilità del debitore si attiverà l’espropriazione di beni mobili presso il debitore (artt. 513 e ss. c.p.c.); se il bene mobile si trova nella disponibilità di terzi o si vuole sottoporre ad esecuzione un credito del debitore si dovrà avviare la procedura di espropriazione presso terzi (art. 543 e ss. c.p.c.); se oggetto dell’esecuzione è un bene immobile si dovrà promuovere l’espropriazione immobiliare (artt. 555 e ss. c.p.c.). Diversamente, se occorre conseguire la consegna o il rilascio di un bene oppure occorre realizzare un obbligo di fare o non fare dell’esecutato l’esecuzione si realizzerà in forma specifica attraverso le procedure per consegna o rilascio (artt. 605 e ss. c.p.c.) e le procedure per l’esecuzione di obblighi di fare o non fare (artt. 612 e ss. c.p.c.).
1.4 I soggetti del processo esecutivo
I soggetti che si incontrano nell’ambito di un processo esecutivo sono numerosi. Basti pensare all’ufficiale giudiziario che riveste un ruolo attivo in quasi tutte le forme di procedure esecutive, al cancelliere, agli ausiliari del giudice dell’esecuzione come il custode, l’esperto stimatore, il professionista delegato alla vendita o il commissionario, l’amministratore giudiziario. Tutti sono coordinati dal giudice dell’esecuzione, sempre presente nello svolgimento di una funzione di direzione del processo per realizzare, nel più breve tempo possibile (art. 111, co. 2, Cost.), la soddisfazione dei diritti del creditore.
1.4.1 Il giudice dell’esecuzione
L’espropriazione forzata è diretta da un giudice nominato dal presidente del tribunale: occorre operare una distinzione tra giudice competente per l’esecuzione (ufficio giudiziario competente per il processo esecutivo) e giudice dell’esecuzione (organo di tale ufficio, designato di volta in volta per sovrintendere ad una determinata procedura esecutiva). Di regola, le funzioni di Giudice dell’esecuzione sono attribuite sulla base di tabelle predisposte dal presidente del Tribunale ed approvate dal Consiglio Superiore della Magistratura. Ne consegue la prassi di assegnare  automaticamente le procedure esecutive ai magistrati così individuati, senza che sia necessario, di volta in volta, il provvedimento di nomina previsto dal secondo comma dell’art. 484 c.p.c.
Come ha chiarito la giurisprudenza (Cass. civ. 20-9-2002, n. 13757), anche dopo il D.Lgs. 19-2-1998, n. 51, il Tribunale è l’unico ufficio competente per l’esecuzione forzata. Viceversa, per le cause di opposizione (anche di terzo) all’esecuzione (e in passato anche per le controversie distributive di cui all’art. 512 c.p.c., oggi risolte immediatamente dal giudice dell’esecuzione con ordinanza dopo la modifica della norma operata dal D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005), la competenza per valore è distribuita verticalmente tra Tribunale e Giudice di Pace, in quanto queste cause, strutturalmente, sono considerate dalla legge come ordinari giudizi di cognizione, con conseguente applicazione dei criteri generali del valore e del territorio. Dunque, con riguardo alla competenza per valore:
— per le opposizioni all’esecuzione proposte dal debitore o dal terzo il criterio di competenza è dato dal valore del credito per cui si procede o per quella parte di esso che è in contestazione;
— per le opposizioni proposte dal terzo ai sensi dell’art. 619 c.p.c. non si fa riferimento al valore in sé delle cose, ma al valore del diritto affermato come causa della domanda. Di recente, la Suprema Corte (Cass. civ. 19-2-2004, n. 3325; v. anche Corte Cost. 6-7-2004, n. 206, che ha dichiarato l’illegittimità del secondo comma dell’art. 113 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice di pace debba osservare i principi informatori della materia) ha statuito che nelle cause di opposizione a precetto ex art. 615 c.p.c. per l’espropriazione per una somma di denaro di valore non eccedente la soglia fissata dall’articolo 113, co. 2, c.p.c. (pari, attualmente, a millecento Euro), il giudice di pace deve decidere secondo equità.
Il giudice dell’esecuzione, secondo le disposizioni di cui agli artt. 174 e 175 c.p.c. dettate per il processo di cognizione, espressamente richiamate dall’art. 484 c.p.c., è immutabile per tutto il processo, per cui non può essere sostituito se non in caso di assoluto impedimento o di esigenze di servizio.
Secondo la dottrina, sarebbero applicabili al giudice dell’esecuzione anche altre disposizioni del codice, quali ad esempio gli artt. 51 e ss. c.p.c. sull’astensione e ricusazione e l’art. 289 c.p.c. sul potere di integrazione dei provvedimenti. Può solo aggiungersi che i termini eventualmente fissati dal Giudice dell’esecuzione nell’esercizio del generico potere di cui all’art. 175 c.p.c., hanno natura ordinatoria (Cass. civ. 27-5-1967, n. 1168).
La direzione del processo esecutivo da parte del giudice si concretizza nella scelta dei contenuti dei provvedimenti che devono essere pronunciati, d’ufficio o su istanza dei vari soggetti coinvolti nella procedura, per risolvere le questioni che possono in quest’ultima sorgere. Si distingue nell’ambito del potere di direzione del processo esecutivo, il potere di ordinanza ovvero di decidere una questione in seguito a ricorso di una parte con la possibilità di modificare o revocare l’ordinanza medesima fino a quando non abbia avuto esecuzione (art. 487 c.p.c.), e il potere di disporre l’audizione degli interessati mediante la fissazione di una udienza con decreto comunicato dal cancelliere.
Tale attività ha sicuramente carattere giurisdizionale e, rispetto ad essa, possono porsi questioni di giurisdizione nei confronti sia della pubblica amministrazione, sia dei giudici speciali, sia dello straniero (Cass. civ., Sez. Un., 7-5-1973, n. 1195).
Nei giudizi di opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., nonché nelle controversie in sede di distribuzione ex art. 512 e nei giudizi di accertamento dell’obbligo del terzo (per i quali sussiste la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione forzata (Cass. civ. 28-11-2003, n. 18228; Cass. civ. 11-2-1999, n. 1167 esclude ogni competenza del giudice di pace) che preclude l’attribuzione di tali procedure, da parte del Presidente del Tribunale, ai giudici della cognizione), il giudice dell’esecuzione opera in funzione di giudice unico, non rientrando tali ipotesi in quelle riservate ex art. 50bis c.p.c. alla decisione collegiale.
Giudice competente per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 26 c.p.c. è il giudice del luogo ove i beni si trovano, per l’espropriazione di cose mobili o immobili, o il giudice del luogo di residenza del terzo debitore nell’ipotesi di espropriazione presso terzi.
La competenza per territorio è inderogabile ex art. 28 c.p.c. e il giudice dell’esecuzione, qualora in seguito alla notifica di un atto di pignoramento o di un qualunque atto iniziale esecutivo si ritenga incompetente, in ogni momento ed al più tardi all’udienza fissata per la comparizione delle parti può rilevare tale vizio con ordinanza dichiarando, altresì,  improcedibile l’esecuzione. Anche le parti possono rilevare l’eventuale incompetenza del giudice dell’esecuzione proponendo apposita opposizione o mediante la presentazione di una istanza entro la prima udienza fissata per la comparizione delle parti. L’eventuale diniego di tale eccezione determina la possibilità per le parti di impugnativa dell’ordinanza a mezzo di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Non è proponibile il regolamento di competenza contro i provvedimenti del giudice dell’esecuzione, poiché si tratta di provvedimenti diretti ad assicurare lo svolgimento ordinato dell’esecuzione, non destinati
a risolvere in maniera definitiva ed irretrattabile una controversia fra le parti sulla quale possano nascere o siano insorte questioni di competenza del giudice (Cass. civ. 4-4-2001, n. 4989); gli eventuali vizi che riguardano detti provvedimenti possono essere fatti valere solo attraverso i rimedi specificamente previsti dalla legge, quali l’istanza di revoca o l’opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ. 17-12-2002, n. 18019) anche quando venga in rilievo un errore sulla competenza, che può essere considerato come rientrante nel concetto di «irregolarità» di cui all’art. 617 c.p.c. (Cass. civ. 30-8-2004, n. 17444).
1.4.2 Le parti
L’art. 484 c.p.c., come precisato, attribuisce al Giudice dell’esecuzione il potere di sentire in ogni momento, qualora lo ritenga necessario, e dunque anche d’ufficio, le parti del procedimento o anche terzi interessati, fissando apposita udienza con decreto comunicato dal cancelliere. In certi casi, è la legge a prevedere in forma esplicita la convocazione delle parti (es., art. 569 c.p.c.).
Il termine a comparire non è soggetto alla disciplina ordinaria e la sua inadeguatezza va fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi.  Parte principale del processo esecutivo è il creditore, procedente o interventore, ossia colui che chiede l’attuazione di un diritto; altra parte è il debitore, ovvero colui che pur essendo obbligato non ha adempiuto una prestazione; ed ancora può subentrare un terzo, sia nella situazione di colui che detiene somme di denaro del debitore sia nella posizione di soggetto danneggiato da una esecuzione.
Il processo esecutivo, tuttavia, ha carattere tipicamente unilaterale e, quindi, la convocazione delle parti, che nel processo medesimo venga disposta dal giudice, quando la ritenga necessaria o quando la legge la prescriva, avviene non per costituire un formale contraddittorio (sebbene autorevole dottrina, v. Carpi e Capponi, dopo la modifica dell’art. 111 Cost., sostenga l’introduzione anche nel processo esecutivo del principio del contraddittorio) ma soltanto per il migliore esercizio della potestà ordinatoria, affidata al giudice stesso (Cass. civ. 25-8-2006, n. 18513). Pertanto, qualora il giudice della esecuzione non disponga la comparizione del debitore, nei casi previsti dalla legge, ovvero non venga portato a conoscenza del debitore stesso il decreto con il quale sia stata fissata l’udienza per la sua comparizione, non si verifica una violazione del principio del contraddittorio; detta omissione può soltanto riflettersi sul successivo atto esecutivo, contro il quale il debitore, ove lo ritenga viziato, ma non per il solo fatto dell’omessa sua audizione (Cass. civ. 25-8-2006, n. 18513), può insorgere esclusivamente con opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ. 26-1-2005, n. 1618). Se l’udienza fissata per la comparizione delle parti, per qualsiasi motivo,
non ha luogo, la stessa è rinviata di ufficio al primo giorno in cui il medesimo giudice ha udienza (ai sensi dell’art. 82, co. 3, disp. att. c.p.c). A tal proposito, occorre rilevare che la mancanza di necessità di formale contraddittorio rende inapplicabile al processo esecutivo l’istituto della interruzione (Cass. civ. 24-7-1992, n. 2807) così come quello della contumacia.
1.4.3 Il difensore
Secondo la dottrina, la mancanza di contraddittorio non esclude l’onere delle parti (quantomeno ex latere creditoris) di munirsi di difesa tecnica in quanto, anche nel processo esecutivo, vi è una «costituzione in giudizio», con conseguente onere di difesa tecnica connessa al potere di impulso processuale spettante normalmente ai creditori (ed al debitore soprattutto nelle ipotesi di opposizione).
1.5 La forma delle istanze e dei provvedimenti del giudice
Sia per l’opposizione all’esecuzione che per l’opposizione agli atti esecutivi avanzate nel corso del procedimento esecutivo già iniziato, le forme previste dagli artt. 615, co. 2 e 617, co. 2, c.p.c. non sono richieste a pena di nullità e le predette opposizioni possono, pertanto, essere proposte anche oralmente nell’udienza davanti al giudice dell’esecuzione (Cass. civ. 16-1-2003, n. 571), ovvero mediante deposito, in tale udienza, di una comparsa di risposta, essendo anche tali forme idonee al raggiungimento dello scopo (costituzione del rapporto processuale cognitivo). La sospensione dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo, disposta dal giudice dell’opposizione, determina la sospensione della esecuzione forzata promossa in base a quel titolo ed impedisce, quindi, che atti esecutivi anteriormente compiuti, dei quali resta impregiudicata la validità ed efficacia, possano essere assunti a presupposto di altri atti, in vista della prosecuzione del processo di esecuzione. Tale effetto del provvedimento di sospensione può essere rappresentato al giudice della esecuzione nelle forme previste dall’art. 486 e senza necessità di opposizione alla esecuzione da parte del debitore (Cass. 16-1-2006, n. 709). Proprio degli atti di opposizione predetti (Cass. civ. 19-12-2006, n. 27162); ne consegue che, una volta proposta in uno dei predetti modi l’opposizione, non è necessario un formale atto di costituzione da parte dell’opponente, che deve ritenersi, anche in mancanza di esso, ritualmente presente e costituito nel processo instaurato a norma dell’art. 618 del codice di procedura civile (Cass. civ., Sez.Un., 15-10-1998, n. 10187).Per quanto riguarda, invece, i provv.ti del giudice dell’esecuzione, la norma non impone che siano sempre dati nella forma dell’ordinanza, salvo diversa espressa previsione legislativa, dovendo assumere quella forma solo i provvedimenti che presentino una incidenza concreta sullo svolgimento del procedimento e non anche quelli che appaiano solo strumentali ai primi e che possono assumere la forma del decreto.
Non si rinvengono casi in cui il giudice dell’esecuzione, in quanto tale (e non cumulando le funzioni di giudice dell’opposizione o delle controversie ex art. 548) provveda con sentenza (Cass. civ. 13-11-2002, n. 15957).
La norma prevede che le ordinanze del Giudice dell’esecuzione (ma la disposizione è riferibile anche ai decreti) possano essere revocate o modificate, d’ufficio o su istanza di parte, fino a quando non abbiano avuto esecuzione e, dunque, senza limiti di tempo se a contenuto negativo.
Il potere è esercitabile per ragioni determinate da vizi del provvedimento, oltre che da valutazioni di inopportunità, originaria o sopravvenuta.
L’esecuzione dell’ordinanza non preclude il ripristino della situazione anteriore, ove materialmente possibile: non si tratterà, però, di revocare una ordinanza ormai eseguita, bensì di pronunciarne una nuova di contenuto opposto.
Il potere del giudice dell’esecuzione di revocare o modificare le ordinanze emesse concorre con quello delle parti di impugnarle con opposizione agli atti esecutivi, che permane, a differenza del primo, anche se l’ordinanza ha già avuto esecuzione.
Si è escluso che la possibilità di esercitare il potere di revoca anche oltre il termine decadenziale ex art. 617 c.p.c. possa comportare una sostanziale remissione in termini della parte decaduta dal potere di far valere il vizio dell’atto con l’opposizione cognitiva, attraverso la possibilità di stimolare l’esercizio officioso di revoca del giudice dell’esecuzione (Storti), dal momento che la sollecitazione della parte non crea in capo al giudice un obbligo di prenderla in considerazione ed i due rimedi operano su piani diversi. Si discute comunque della possibilità di esercitare il potere di revoca (salvo il limite dell’avvenuta esecuzione dell’atto) dopo la proposizione dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. 1.5.1 L’opposizione alle ordinanze del giudice dell’esecuzione Il termine per le opposizioni contro le ordinanze del Giudice dell’esecuzione emesse in udienza decorre dalla pronuncia dell’ordinanza stessa, in applicazione del principio di cui al secondo comma dell’art. 176 c.p.c., secondo il quale l’onere delle parti di essere presenti all’udienza comporta che i provvedimenti pronunciati all’udienza stessa si presumono conosciuti anche dalle parti non presenti. I provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione sulle istanze di revoca o modifica di un proprio precedente provvedimento non sono impugnabili con ricorso straordinario per Cass. ex art. 111 della costituzione (Cass. civ. 6-8-2001, n. 10840).
Il provvedimento del giudice dell’esecuzione di diniego della modifica o della revoca di un proprio precedente provvedimento rientra nel novero degli atti esecutivi impugnabili (e cioè opponibili o reclamabili) solo quando all’istante, pur rimanendo inalterata la sua posizione giuridica che tale precedente provvedimento fonda, possa derivare pregiudizio dagli argomenti addotti dal giudice a sostegno del rigetto (Cass. civ. 15-3-2004, n. 5238).
L’art. 487 c.p.c. prevede che le disposizioni di cui agli artt. 176 e ss. c.p.c. e 186 c.p.c. si osservino anche per le ordinanze del giudice dell’esecuzione in quanto applicabili.
La dottrina ha sottolineato un limite di compatibilità rispetto alle previsioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 177 c.p.c., perché, salvo il disposto dell’art. 630, ult. co., c.p.c. il rimedio generale contro le ordinanze del giudice dell’esecuzione è costituito  all’opposizione agli atti esecutivi. Deve considerarsi applicabile anche la procedura di correzione degli errori materiali prevista dagli artt. 287 e ss., benché non espressamente richiamata dall’art. 487 del c.p.c.
1.6 Il fascicolo dell’esecuzione
Nella procedura esecutiva mancano in senso formale i fascicoli di parte, cosicché tutti gli atti, anche quelli di parte, vanno conservati nel fascicolo dell’esecuzione. Il cancelliere, ai sensi dell’art. 488 c.p.c., inserisce gli atti compiuti dal giudice, gli atti compiuti dall’ufficio di cancelleria, gli atti compiuti dall’ufficiale giudiziario e gli atti e i documenti depositati dalle parti e li custodisce.
Il fascicolo è accessibile soltanto alle parti ed ai loro difensori che hanno diritto di estrarre copia degli atti; gli altri interessati possono esaminare gli atti contenuti nel fascicolo solo dopo aver ottenuto dal giudice dell’esecuzione apposita autorizzazione; sono liberamente accessibili a tutti gli interessati soltanto gli atti relativi alla vendita immobiliare nelle modalità previste dall’art. 490 c.p.c.
L’art. 518 c.p.c., per l’espropriazione mobiliare, prevede che l’ufficiale giudiziario, dopo la redazione del verbale di pignoramento, provvede al deposito in cancelleria del verbale medesimo, del titolo esecutivo e del precetto.
Per l’esecuzione presso terzi, l’art. 543 c.p.c prevede invece il deposito da parte dell’ufficiale giudiziario dell’originale dell’atto di pignoramento mentre al deposito del titolo esecutivo e del precetto provvede il creditore al momento della sua costituzione anche se nella prassi si depositano già al momento della richiesta di notifica dell’atto di pignoramento all’ufficiale giudiziario.
Nell’esecuzione immobiliare, infine, l’ufficiale giudiziario, dopo la notifica dell’atto di pignoramento, provvede immediatamente a depositarlo in cancelleria nonché a richiedere e depositare la nota di trascrizione del pignoramento:
anche in questa forma di esecuzione, l’onere di depositare il titolo esecutivo ed il precetto incombe sul creditore procedente entro dieci giorni dal pignoramento.
Occorre, poi, tenere presente che, nel processo di esecuzione forzata, se l’esistenza del titolo esecutivo costituisce condizione dell’azione esecutiva, il deposito dello stesso in originale o copia autentica (quest’ultima dietro autorizzazione giudiziale) costituisce un presupposto processuale, la cui mancanza, secondo la Corte di Cassazione (Cass. civ. 24-5-2003, n. 8242), non può essere rilevata di ufficio dal Giudice, ma deve essere fatta valere con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. Tuttavia, in virtù dei poteri di direzione del procedimento attribuiti al giudice dell’esecuzione ed in considerazione che il deposito del titolo esecutivo in originale costituisca un presupposto dell’attivazione della procedura esecutiva stessa e la sua esistenza sia una condizione di procedibilità, può ritenersi che il giudice dell’esecuzione possa dichiarare improcedibile l’esecuzione ove il titolo esecutivo sia mancante agli atti, anche in seguito ad eventuale apposita sollecitazione da parte del giudice nei confronti del
creditore procedente. Si ammette generalmente la prassi, nel corso della procedura, di autorizzare il creditore al
ritiro del titolo in originale (ritiro che non può essere autorizzato quando l’originale del titolo è stato pignorato o sequestrato penalmente), previo deposito di copia autentica.
Tuttavia, sussiste l’obbligo per il creditore di presentare l’originale ad ogni richiesta del giudice (per alcuni addirittura a pena di estinzione della procedura).
Una volta terminata la procedura esecutiva, ai fini del ritiro del titolo esecutivo, si distingue se essa abbia avuto esito positivo o meno: nell’ipotesi di estinzione della procedura per esito negativo, per rinuncia del creditore, per inattività delle parti o per incapienza, il giudice autorizza il ritiro del titolo previo deposito di copia (anche non autentica) del medesimo; al contrario, nel caso di esito positivo, può dirsi che l’efficacia del titolo esecutivo sia da considerarsi esaurita, per cui non sussiste alcun interesse per il creditore di richiedere il ritiro del titolo esecutivo: infatti, l’ordinanza di assegnazione, in tal caso, si sostituisce completamente al diritto vantato dal creditore, costituendo anch’essa titolo esecutivo. In questa ipotesi, il creditore può richiedere almeno una copia autentica del titolo esecutivo per poter agire eventualmente per periodi diversi da quelli accertati nel titolo esecutivo (si pensi alle sentenze in materia di prestazioni previdenziali ove il giudice della cognizione sancisce il diritto a percepire una indennità con relativa condanna al pagamento della prestazione maturata fino al momento della decisione, a partire da una data iniziale fissata nella sentenza medesima).
Può, però, consentirsi il ritiro del titolo esecutivo nelle ipotesi di titoli esecutivi che contengono obblighi di carattere continuativo (ad es. assegno di mantenimento) per consentire l’attivazione di una nuova procedura per un periodo diverso da quello oggetto di precetto nella procedura che ha avuto esito positivo.                                                                                                                                1.7 Il luogo delle notificazioni e delle comunicazioni                                                                                                                            L’art. 489 c.p.c., relativo al luogo dove devono essere eseguitele notificazioni e le comunicazioni dell’esecuzione forzata, è applicabile soltanto alla notificazione ed alle comunicazioni da farsi, nel corso del procedimento esecutivo e nell’ambito di esso, ai creditori pignoranti e a quelli intervenuti nel processo medesimo: per il creditore procedente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nell’atto di precetto, mentre per i creditori intervenuti si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto nella domanda di intervento; per entrambi, in mancanza di indicazione, si fanno nella cancelleria competente. Se il creditore ha eletto il domicilio presso il suo difensore, la notifica va effettuata in tale sede (ma non «al difensore», bensì al creditore «presso il difensore»). Per ciò che attiene alle notificazioni delle opposizioni proposte dal debitore e dal terzo quando la esecuzione sia iniziata, si applicano le norme generali degli artt. 136 e ss. c.p.c. e non l’art. 489 c.p.c., che trova applicazione limitatamente al procedimento di espropriazione forzata, rispetto al quale è autonomo il giudizio di cognizione che si instaura in conseguenza dell’opposizione del debitore esecutato o del terzo.
Torna ad applicarsi l’art. 170 c.p.c. per le comunicazioni e notificazioni degli atti successivi al ricorso introduttivo dei giudizi di opposizione. Anche nel processo di esecuzione forzata, poi, ove il debitore esecutato si avvalga del ministero di un difensore, questi è legittimato a ricevere le comunicazioni dei provvedimenti del giudice dell’esecuzione adottati fuori udienza.
1.8 La pubblicità degli avvisi
L’art. 490 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. 28-12-2001, n. 448, descrive poi le forme di pubblicità degli atti esecutivi (ma in genere la norma è applicata essenzialmente per la vendita dei beni pignorati) nelle procedure mobiliari ed immobiliari, prevedendo come unica forma di pubblicità «straordinaria» (ossia non obbligatoria e disposta solo in caso di necessità) quella commerciale (manifesti murari, radio, televisione etc.).
Il secondo comma, come riscritto dal D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, prevede, al posto dell’inserzione di avviso nel Foglio annunzi legali della provincia, abolito dall’art. 31, co. 1, L. 24-11-2000, n. 340, l’inserimento, in caso di espropriazione di beni mobili registrati, per un valore superiore a 25.000 euro (in dottrina, si ritiene che, nonostante l’infelice formulazione letterale, il valore debba essere riferito soltanto ai singoli beni mobili registrati e non ai crediti per cui si procede), e di beni immobili, dell’avviso, unitamente a copia dell’ordinanza del giudice e della relazione di stima redatta ai sensi dell’articolo 173bis delle disposizioni di attuazione c.p.c., in appositi siti internet, individuati (ai sensi dell’art.173ter disp. att. c.p.c.) con apposito decreto ministeriale (attualmente D.M. Giust. 31-10-2006), almeno 45 gg prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto.
La novità più importante, dunque, concerne la pubblicità anche della relazione di stima, i cui contenuti sono ora imposti dalla legge  cfr. art. 173bis disp. att. c.p.c.) al fine di rendere quanto più trasparenti possibili le operazioni di vendita. Nella relazione, infatti, si dovrà procedere:
— all’identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali;
— alla sua sommaria descrizione;
— alla individuazione dello stato di possesso del bene, con l’indicazione, se occupato da terzi, del titolo in base al quale è occupato, con particolare riferimento all’esistenza di contratti registrati in data antecedente al pignoramento;
— all’indicazione dell’esistenza di formalità, vincoli o oneri, anche di natura condominiale, gravanti sul bene, che resteranno a carico dell’acquirente, ivi compresi i vincoli derivanti da contratti incidenti sulla attitudine edificatoria dello stesso o i vincoli connessi con il suo carattere storico-artistico;
— all’indicazione dell’esistenza di formalità, vincoli e oneri, anche di natura condominiale, che saranno cancellati o che comunque risulteranno non opponibili all’acquirente;
— alla verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene nonché dell’esistenza della dichiarazione di agibilità dello stesso.
Il nominativo del debitore non deve essere più inserito nell’avviso in seguito alla modifica apportata alla norma dal D.Lgs. 30-6-2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali).
Di grande rilievo è poi la forma di pubblicità prevista (o meglio, imposta) dal terzo co dell’art. 490 c.p.c., come novellato dalla L. 448/2001. La norma, nella nuova formulazione, prevede come obbligatoria la pubblicazione degli avvisi anche per la fase anteriore alla vendita (e ciò inciderà sicuramente sui costi della procedura esecutiva) su quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona interessata (o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione nazionali), senza dettare criteri univoci per l’individuazione degli stessi.
Probabilmente, la norma fa riferimento ai quotidiani iscritti nel registro della stampa periodica dello stesso circondario del giudice dell’esecuzione (o, se ulteriore, di quello ove è situato l’immobile, dal momento che la norma fa riferimento alla «zona interessata»), ma non è chiaro quali siano le modalità per calcolare la maggiore diffusione.
In ogni caso, con la L. 7-12-2002, n. 289, la norma è stata integrata con l’equiparazione ai quotidiani dei giornali di informazione locale (anche settimanali o multisettimanali) aventi caratteristiche editoriali analoghe, editi da soggetti iscritti al Registro degli Operatori della Comunicazione (istituito, ai sensi dell’art. 1, co. 6, lett. a), n. 5, della L. 31-7-1997, n. 249 e regolato dalla deliberazione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 30-5-2001) e che garantiscano la maggiore diffusione nella zona interessata.
Si discute se possano considerarsi compresi nella dizione legislativa anche i giornali che effettuano informazione esclusivamente con riguardo al mercato immobiliare. Il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, ha integrato la previsione normativa, prevedendo che anche tale forma di pubblicità sia effettuata almeno 45 gg prima del termine per la presentazione delle offerte o della data dell’incanto.
1.8.1 Considerazioni conclusive
L’esperienza insegna che la pubblicità viene in rilievo essenzialmente durante la fase di vendita dei beni pignorati.
Nella espropriazione forzata, come si vedrà in seguito, la fase processuale di vendita, che ha come presupposto necessario il completamento della precedente fase di autorizzazione alla vendita, è composta di una serie di atti, e si chiude con la ordinanza di aggiudicazione. Uno degli atti preliminari necessari di questa fase è la pubblicità obbligatoria, stabilita dall’art. 490 c.p.c., la cui mancanza determina vizio di legittimità dell’ordinanza di aggiudicazione e può essere fatta valere, quale motivo di opposizione ex art. 617 c.p.c., soltanto contro l’ordinanza di aggiudicazione, mentre durante tutto il corso della fase procedurale di vendita, può formare oggetto soltanto di osservazioni al giudice della esecuzione, il quale può emettere con ordinanza i provvedimenti ritenuti opportuni, nell’esercizio del suo potere discrezionale di direzione del processo esecutivo di cui all’art. 484 del c.p.c.
In base all’esegesi del secondo comma dell’art. 534 c.p.c. (secondo cui il giudice dell’esecuzione può disporre, oltre alla pubblicità ordinaria, anche quella straordinaria), si ritiene che, in relazione alla vendita all’incanto nella procedura espropriativa mobiliare, la pubblicità sia facoltativa.
2. Il pignoramento                                                                                                                                                                                         2.1 Il pignoramento: nozione, funzione ed effetti
L’espropriazione forzata inizia con il pignoramento, che consiste in una ingiunzione fatta al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre, alla garanzia del credito indicato, i beni che vi si assoggettano e i frutti di essi.
Il pignoramento deve essere compiuto prima che siano decorsi 90 giorni dalla notifica del precetto, altrimenti quest’ultimo diviene inefficace ed è necessario procedere ad una nuova notifica del precetto per potersi iniziare, decorsi i termini di cui all’art. 482 c.p.c., l’esecuzione.
Salvo il caso di cui all’art. 502 c.p.c., il pignoramento costituisce dunque l’atto iniziale e fondamentale dell’espropriazione forzata, in virtù del quale i beni assoggettati ad esso, pur restando in proprietà e, generalmente, anche nel possesso, del debitore, sono sottratti alla sua libera disponibilità, per essere sottoposti al vincolo di destinazione del soddisfacimento delle pretese creditorie.
Da ciò consegue che ogni atto di disposizione compiuto dal debitore sulle cose pignorate sarà giuridicamente inefficace nei confronti del creditore procedente e dei creditori intervenuti. Trattasi, tuttavia, di inefficacia relativa, poiché l’atto di per sé è valido, ma non produce effetti nei confronti dei creditori, procedente ed intervenuti.
In particolare, la disciplina degli effetti sostanziali del pignoramento è contenuta negli artt. 2912-2918 c.c.
Sotto il profilo soggettivo, il pignoramento è un atto dell’ufficiale giudiziario, che lo pone in essere su istanza del creditore e previa esibizione da parte di questi del titolo esecutivo e del precetto ritualmente notificati. Ai sensi dell’art. 165 disp. att. c.p.c. il creditore può chiedere di partecipare personalmente alle operazioni di pignoramento.
Il creditore istante deve utilizzare la normale diligenza nel richiedere il pignoramento, per non incorrere in responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 del codice di procedura civile.
Peraltro, nel sistema processuale vigente, non esiste nessun principio attraverso il quale si possa qualificare come illecita la richiesta di pignoramento da chiunque provenga e comunque sia stata posta in essere, poiché in presenza di discrezionalità del giudice, quale prevista dall’art. 496 c.p.c., in materia di riduzione, anche d’ufficio, del pignoramento, è da escludere qualsiasi forma di illegittimità o invalidità del pignoramento.
Peraltro, per quanto riguarda il pignoramento mobiliare, pur essendo atto di esecuzione, non implica attività di giudizio e, pertanto, non presuppone uno ius postulandi. Di conseguenza, il creditore istante ben può proporre la richiesta di pignoramento sia personalmente, sia per mezzo di rappresentante ad negotia e sia anche per mezzo di difensore con mandato ad litem, non costituendo tale domanda un’attività necessariamente dell’avvocato.
Per quanto concerne, invece, l’atto di pignoramento immobiliare, se privo della sottoscrizione del difensore munito di procura, è nullo, senza che possa ritenersi equipollente della mancata sottoscrizione la circostanza che il pignoramento sia stato richiesto da difensore munito di procura rilasciata sull’atto di precetto.
2.1.1 Il pignoramento contro la Pubblica Amministrazione
Per quanto riguarda, poi, il pignoramento contro la P.A., all’art. 14, D.L. 31-12-1996, n. 669, conv. in L. 28- 2-1997, n. 30 (contenente disposizioni per l’esecuzione forzata nei confronti di pubbliche amministrazioni), l’art. 147 della legge finanziaria per il 2001 (L. 23-12-2000, n. 388) ha aggiunto il comma 1bis, poi sostituito dal D.L. 30-9-2003, n. 269, convertito successivamente in L. 24-11-2003, n. 326, secondo cui «Gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono essere notificati a pena di nullità presso la struttura territoriale dell’Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati e contenere i dati anagrafici dell’interessato, il codice fiscale ed il domicilio. Il pignoramento di crediti di cui all’art. 543 del codice di procedura civile promosso nei confronti di Enti ed Istituti esercenti
forme di previdenza ed assistenza obbligatorie organizzati su base territoriale, deve essere instaurato, a pena di improcedibilità rilevabile d’ufficio, esclusivamente innanzi al giudice dell’esecuzione della sede principale del Tribunale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento in forza del quale la procedura esecutiva è promossa. Il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l’assegnazione. L’ordinanza che dispone ai sensi dell’art. 553 del c.p.c. l’assegnazione dei crediti in pagamento perde efficacia se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede all’esazione delle somme assegnate».
Per la nullità della notifica (e non dell’atto in sé) operata in luogo diverso da quello indicato nella norma, dovrebbe essere applicabile, anche a seguito del rilievo officioso da parte del giudice, il disposto dell’art. 291 c.p.c. sulla rinnovazione della stessa. Non mancano però opinioni contrarie che ritengono di sanzionare con la improcedibilità la notifica effettuata in un luogo diverso da quello previsto dalla norma.
2.2 La forma del pignoramento
Alla forma del pignoramento sono dedicati anche gli artt. 518, 543 e 555 c.p.c. (rispettivamente per l’esecuzione mobiliare, presso terzi ed immobiliare), che disciplinano le concrete operazioni in cui il pignoramento si sostanzia, specificando le previsioni generali di cui all’art. 492 c.p.c. La norma assolve al compito di individuare l’essenza del pignoramento, costituita dall’ingiunzione dell’ufficiale giudiziario al debitore con la quale viene creato il vincolo di indisponibilità e di finalizzazione all’espropriazione sui beni oggetto del pignoramento.
Secondo la giurisprudenza, l’ingiunzione al debitore esecutato costituisce un elemento strutturale essenziale per l’attuazione della descritta funzione tipica dell’atto pur non essendo necessario l’uso di formule sacramentali. Qualora l’ingiunzione manchi del tutto, tale deficienza è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento esecutivo e la sua deducibilità sopravvive al termine di 20 giorni, indicato dall’art. 617 c.p.c. per l’opposizione agli atti esecutivi, che non decorre né dal compimento dell’atto di pignoramento, né, qualora avvenga la successiva costituzione del debitore nel processo esecutivo, dal momento della stessa, ferma restando la salvezza della disposizione dell’art. 2929 c.c. sulla inopponibilità della nullità degli atti del processo esecutivo all’acquirente o all’assegnatario e ai creditori diversi da quello procedente.
Tuttavia, nonostante la formula dell’art. 492 c.p.c., la dottrina è sostanzialmente concorde nel ritenere che il pignoramento non è costituito per effetto della ingiunzione, ma solo in seguito al compimento di quelle forme particolari richiamate dalla parte iniziale della norma (l’apprensione dei beni e la loro descrizione nel pignoramento mobiliare; la notifica al debitore e al terzo, con la successiva dichiarazione, nell’espropriazione di crediti; la notifica del pignoramento e la relativa nota di trascrizione nel pignoramento immobiliare).
Anche la giurisprudenza più recente ritiene che il pignoramento costituisce una fattispecie a formazione progressiva.
2.3 I requisiti del pignoramento
Il D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005, la L. 263/2005 e la L. 24-2-2006, n. 52, in rapida successione, hanno profondamente innovato la disciplina del pignoramento. Accanto agli originari due commi, rimasti invariati, sono stati aggiunti all’art. 492 c.p.c.
ben altri sette commi, che hanno apportato le novità analizzate nei successivi paragrafi.
2.3.1 L’invito ad effettuare la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio
Secondo quanto dispone l’art. 492 c.p.c., il pignoramento (per tutte le forme di espropriazione, compresa quella immobiliare) deve contenere l’invito (atto proprio dell’ufficiale giudiziario) rivolto al debitore (e qualora questi sia una persona giuridica, l’invito deve essere rivolto al legale rappresentante dell’ente) ad effettuare presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione (in ogni momento, anche successivo al pignoramento, e in forma scritta, ma senza particolari formalità, quindi anche per posta) la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei comuni del circondario in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione con l’avvertimento che, in mancanza (cui è equiparabile la scelta di un comune al di fuori del circondario) ovvero in caso di irreperibilità (da valutare, secondo taluni ai sensi dell’art. 140 c.p.c.) presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto, le successive notifiche o comunicazioni a lui dirette (successive all’invito e precedenti rispetto alla dichiarazione o elezione, per la quale la legge non prevede alcun termine) saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice. Spetta sempre al giudice dell’esecuzione verificare la ritualità della notifica tentata presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto.
La dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio potranno essere compiute dal debitore personalmente, senza necessità di munirsi di difesa tecnica. Qualora dovessero succedersi un’elezione di domicilio e una dichiarazione di residenza, dovrà
darsi prevalenza alla prima se non sia esplicitamente revocata, giacché l’elezione di domicilio consiste in una manifestazione di volontà con la quale si indica non solo il luogo ove effettuare le notifiche, ma anche la persona presso la quale le stesse devono essere effettuate in forza di un rapporto di natura fiduciaria, mentre, invece, la dichiarazione è un atto meramente ricognitivo del domicilio reale .
La funzione della previsione è quella di evitare che il creditore procedente e il cancelliere debbano inseguire il debitore fuggitivo nel corso di tutto il processo esecutivo, nonché quella di garantire comunque la partecipazione alla procedura del debitore esecutato (al quale, ad esempio, andrà comunicata dall’esperto, almeno 45 gg prima della data fissata per l’autorizzazione alla vendita, copia della relazione di stima del bene prevista dall’art. 173bis disp. att. c.p.c., allo scopo di consentirgli di interloquire sulla determinazione del valore dello stesso).
Secondo parte della dottrina, la norma non si applica nell’ipotesi in cui il debitore si costituisca con un avvocato eleggendo domicilio presso lo studio di questi, in luogo che non sia ubicato nel comune in cui ha sede il giudice competente per l’esecuzione.
Secondo i primi commenti, tuttavia, la mancanza dell’invito non incide sulla validità dell’atto di pignoramento né dei successivi atti esecutivi, in quanto l’unica conseguenza sarà il mancato sorgere dell’obbligo (rectius onere) in capo al debitore di dichiarare la residenza o eleggere il domicilio, con l’inapplicabilità della sanzione della notifica in cancelleria. Si ritiene anche che, per le procedure già in corso alla data di entrata in vigore della norma, i pignoramenti possano essere integrati dall’invito di cui al secondo comma, con atto ad hoc notificato al debitore o con invito effettuato in udienza al debitore, con passaggio da quel momento al regime di comunicazione agevolato.
2.3.2 L’avvertimento della possibilità di conversione del pignoramento
Il pignoramento deve contenere l’avvertimento che il debitore, ai sensi dell’art. 495 c.p.c., può chiedere di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro pari all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori intervenuti, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese, oltre che delle spese di esecuzione, subordinatamente all’adempimento dell’onere, previsto a pena di inammissibilità, del deposito in cancelleria, prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione, della relativa istanza unitamente ad una somma non inferiore ad un quinto dell’importo del credito per cui è stato eseguito il pignoramento e dei crediti dei creditori intervenuti indicati nei rispettivi atti di intervento, dedotti i versamenti effettuati di cui deve essere data prova documentale. Tale avvertimento non pare costituisca, però, un requisito di validità del pignoramento.
2.3.3 L’indicazione di ulteriori beni pignorabili
L’art. 492 c.p.c. prevede il potere-dovere dell’ufficiale giudiziario (da esercitare di ufficio, in ogni momento della procedura, eventualmente su sollecitazione del creditore procedente), insufficienti per la soddisfazione del creditore procedente oppure nei casi in cui per essi appaia manifesta la lunga durata della liquidazione, di invitare il debitore (e solo lui e sempre se personalmente presente alle operazioni) ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, i luoghi in cui si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista (dall’art. 388 c.p., appositamente novellato, che prevede un reato procedibile a querela della persona offesa, identificabile nel creditore procedente) per l’omessa o falsa dichiarazione (e tale avvertimento, introdotto nella previsione normativa dalla legge 52/2006 proprio per evitare che il meccanismo rimanesse lettera morta, finisce per trasformare l’invito nella comunicazione di un vero e proprio obbligo).
Trattasi della specificazione processuale del principio di correttezza che deve ispirare i rapporti tra creditore e debitore ai sensi dell’art. 1175 c.c.
L’interpello può essere rivolto anche nei casi in cui l’ufficiale giudiziario rinvenga beni di valore nullo o di impossibile liquidazione perché privi di reale valore commerciale.
Della dichiarazione del debitore (per la quale non è necessaria una sua formale costituzione nel processo esecutivo, che continua ad essere considerato un processo sul bene più che un processo tra soggetti) viene prevista la redazione e la sottoscrizione di un processo verbale e la dichiarazione produce conseguenze diverse a seconda della natura del bene che viene indicato:
— la dichiarazione del debitore avente ad oggetto cose mobili fa sì che queste ultime, dal momento della dichiarazione, sono considerate pignorate (con applicabilità della sanzione prevista dal terzo comma dell’art. 388 c.p. per chi sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa di sua proprietà sottoposta a pignoramento) e l’ufficiale giudiziario provvede ad accedere al luogo in cui si trovano per gli adempimenti di cui all’articolo 520 c.p.c. oppure, quando tale luogo è compreso in altro circondario, a trasmettere copia del verbale all’ufficiale giudiziario territorialmente competente;
— se sono indicati crediti o cose mobili che sono in possesso di terzi, accanto all’effetto immediato del perfezionamento del pignoramento nei confronti del debitore esecutato dal momento della dichiarazione, quest’ultimo è anche costituito custode della somma o della cosa quando il terzo, prima che gli sia notificato l’atto di cui all’art. 543 c.p.c., effettua il pagamento o restituisce il bene (con applicabilità della sanzione prevista dal quarto comma dell’art. 388 c.p., per il proprietario che sottrae, sopprime, distrugge, disperde o deteriora una cosa affidata alla sua custodia). Si ritiene che l’estensione del pignoramento abbia effetto verso il terzo pignorato dal momento della effettuazione della notifica nei suoi confronti di un nuovo pignoramento con le forme di cui all’art. 543 c.p.c. e nel rispetto del termine di 90 giorni, in sintonia con la previsione degli artt. 481 e 497 c.p.c., ed a pena di caducazione della presunzione di pignoramento;
— se sono indicati beni immobili, il creditore procede ai sensi degli artt. 555 e ss. (e nel rispetto del termine di 90 giorni, in sintonia con la previsione degli artt. 481 e 497 c.p.c., ed a pena di caducazione della presunzione di pignoramento) e gli effetti verso i terzi (così come avviene per i beni mobili registrati) non possono verificarsi prima della trascrizione;
— relativamente alle quote di società, il pignoramento in estensione può considerarsi efficace solo dopo l’iscrizione nel registro delle imprese; per i titoli di credito nominativi il pignoramento in estensione non produce effetti prima dell’annotazione sul titolo e nel registro ai sensi dell’art. 2024 c.c.;
— se sono indicati beni che si trovano all’estero, il creditore dovrà esperire l’azione esecutiva innanzi al giudice straniero e con l’osservanza della legge estera.
Si ritiene da alcuni, comunque, che il pignoramento cd. «inquisitorio », anche se previsto tra le disposizioni generali che regolano l’espropriazione forzata, trovi applicazione solo nell’espropriazione mobiliare, in quanto solo in tale forma di espropriazione l’ufficiale giudiziario deve valutare il compendio dei beni pignorati e redigere il verbale di pignoramento. Il creditore procedente può poi chiedere all’ufficiale giudiziario di invitare il debitore esecutato ad effettuare la dichiarazione innanzi descritta anche quando, a seguito di intervento di altri creditori, il compendio pignorato sia divenuto insufficiente, ai fini dell’esercizio delle facoltà del creditore pignorante (prevista dall’art. 499, quarto comma, c.p.c.) di indicare, con atto notificato o all’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione, ai creditori chirografari, intervenuti tempestivamente, l’esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, e di invitarli ad estendere il pignoramento se sono forniti di titolo  esecutivo o, altrimenti, ad anticipare le spese necessarie per l’estensione (con il conseguente diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione del ricavato in caso di omissione senza giusto motivo protratta per oltre 30 giorni da parte dei creditori intervenuti).
È dubbio, quindi, se i beni oggetto della dichiarazione del debitore possano essere considerati automaticamente pignorati (come nell’ipotesi di interpello su iniziativa autonoma dell’ufficiale giudiziario) oppure se tale dichiarazione costituisca solo il presupposto per consentire operativamente al creditore procedente l’esercizio della facoltà di cui all’art. 499, co. 4, c.p.c. In caso di falsa o omessa dichiarazione resa su invito autonomo dell’ufficiale giudiziario, si ritiene che la sanzione penale prevista sia applicabile anche al debitore che rifiuta la dichiarazione one rende una falsa in sede di integrazione del pignoramento a seguito di intervento di nuovi creditori.
/ 5
Grazie per aver votato!