Il procedimento per l’accertamento delle invalidità

Accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445-bis c.p.c. 

  1. Finalità del nuovo istituto

L’ art. 38, comma 1, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modif., in l. 15 luglio 2011, n. 111, ha inserito nel c.p.c. l’art. 445-bis, che prevede, quale condizione di procedibilità nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222, l’esperimento di un accertamento tecnico preventivo obbligatorio. Ai sensi dell’art. 38, comma 2, del medesimo d.l. 98, la disposizione entrata in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2012.

Si tratta di uno strumento che mira a perseguire le medesime finalità deflattive già oggetto dell’istituto della “consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite”, previsto dall’art. 696bis, le cui disposizioni, ove compatibili, sono ad esso espressamente dichiarate applicabili.

La scelta di politica legislativa si fonda sulla constatazione che nel giudizio per il riconoscimento delle invalidità il ruolo centrale è svolto dall’accertamento medico-legale effettuato tramite CTU. Di qui l’opportunità di precostituire la prova del requisito sanitario al di fuori e prima del giudizio di merito nel quale, secondo la Cassazione, al Giudice non è consentito emettere pronunce di mero accertamento circa lo status di invalido, e di rimettere l’accertamento dei requisiti socio-economici (per l’invalidità civile) e dei requisiti assicurativo e contributivo (per le prestazioni ex l. 222/84) all’Istituto previdenziale.

Ciò dovrebbe comportare l’alleggerimento del procedimento giudiziario, aggravato da attività istruttorie (verifica dei redditi, dell’incollocabilità, del mancato ricovero, della posizione contributiva ecc.) effettuate tramite acquisizione di certificazioni provenienti dai competenti enti (Agenzia delle Entrate, Centro per l’impiego, Inps) acquisizioni spesso reiterate nel corso del giudizio, stante la necessità di verifica della sussistenza dei requisiti dal momento della decorrenza della prestazione a quello della pronuncia della sentenza.

Per converso, secondo il nuovo modello processuale, sarà l’Inps ad accertare il possesso di tali requisiti, tramite autocertificazione per l’invalidità civile ed estraendoli dai propri archivi per l’invalidità pensionabile.

Nell’intento del legislatore dunque l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio potrebbe consentire di perseguire una duplice finalità:

1) una deflazione del contenzioso dei Tribunali del Lavoro nei quali, specie nel Centro-Sud, la massima parte delle controversie riguardano l’invalidità civile (anche se, come vedremo, la norma prevede numerosi adempimenti a carico delle Cancellerie che ne aggraveranno notevolmente il carico di lavoro);

2) una più rapida risposta alle istanze dei cittadini in una materia, quale quella dell’invalidità, tutelata costituzionalmente.

2. Il procedimento e l’attività delle parti

a)  Ambito di applicazione

Seppure la norma faccia generico riferimento a tutte le “controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità”, la struttura del’accertamento tecnico preventivo obbligatorio si riferisce, evidentemente, alle sole controversie in cui si discuta della sussistenza del requisito sanitario. Dunque, qualora il requisito sanitario sia stato già riconosciuto in via amministrativa e il ricorrente domandi soltanto il pagamento della prestazione, con la prova degli ulteriori requisiti, la condizione di procedibilità non è richiesta.

 b) Il ricorso introduttivo – Valutazione giudiziale di ammissibilità e rilevanza  dell’istanza

Ai sensi del 1° comma dell’art. 445bis l’istanza di accertamento tecnico preventivo si propone con ricorso proposto avanti al Tribunale del Lavoro nel cui circondario risiede l’attore.

A seguito del deposito dell’istanza il Giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione del CTU, eventualmente nominato con lo stesso decreto, assegnando termine a parte ricorrente ai fini della notifica.

La notifica del ricorso è regolata da norme differenti, a seconda che si verta in materia di accertamento di invalidità di civile o di invalidità pensionabile. Nel primo caso la notifica va eseguita presso la Direzione Provinciale dell’Inps, ai sensi dell’art. 10, 6° co. D.L. 203/2005, conv. con legge 248/2005. Invece, nel caso la domanda si riferisca alla riduzione della capacità lavorativa, presupposto delle prestazioni ex l. 222/84, la notifica andrà eseguita presso la sede legale dell’ente, applicandosi la regola generale di cui all’art. 145 c.p.c. E’ dubbia l’applicabilità, a simili fattispecie, dell’art. 44 D.L. 269/03, conv. con legge 326/03, in quanto tale norma limita la notifica “presso la struttura territoriale dell’Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati” agli atti introduttivi del giudizio di cognizione.

Si ritiene che l’istanza non debba contenere la mera richiesta dell’accertamento delle condizioni sanitarie dell’interessato, con riferimento alle prestazioni che si intendono domandare nell’eventuale giudizio. Invero, la giurisprudenza maggioritaria, pronunciandosi sull’istituto previsto dall’art. 696bis, ha escluso che possa accedersi ad una generalizzata ammissibilità della richiesta CTU preventiva; ciò significherebbe aprire la strada a”consulenze tecniche esplorative ad ampio raggio, sia in relazione all’oggetto che alle parti coinvolte, assolutamente in contrasto con i principi ispiratori della riforma (altro che deflazione!)” (così Tribunale Milano sez. X civ., 13 aprile 2011). La medesima giurisprudenza ha ritenuto che il collegamento funzionale e la strumentalità della CTU preventiva con il successivo (eventuale) giudizio di merito postula che il Giudice ne valuti l’ammissibilità e la rilevanza “in relazione ai presupposti processuali ed alle condizioni dell’azione, nonché a tutti i residui profili che possano rendere di fatto inutile (perché non utilizzabile in alcun giudizio di merito) l’accertamento da effettuare”(Tribunale di Palmi, sent. 25/1/2011).

Da tali principi, applicabili -stante il richiamo all’art. 696bis- anche al nuovo procedimento ex art. 445bis, deriva che nel ricorso deve essere indicata, a pena di nullità, l’azione che si intende esercitare nell’eventuale giudizio di cognizione, mediante l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni alle quali la prova è preordinata (ex art. 693 c.p.c).

Dall’impostazione illustrata discende altresì che il Giudice potrà negare l’accesso allo strumento processuale di cui all’art. 445bis qualora (se del caso, dietro eccezione del resistente) si verifichino le seguenti condizioni:

  • Improponibilità per mancata presentazione della domanda amministrativa;
  • Improcedibilità per mancato esaurimento del procedimento amministrativo (per le sole prestazioni di invalidità pensionabile);
  • Decadenza ex art. 47 DPR 639/70 (invalidità pensionabile) o ex art. 42 D.L. 269/03 (in materia di invalidità civile);
  • Esistenza di precedente giudicato;
  • Litispendenza;
  • Pagamento della prestazione già in corso;
  • Prescrizione.

Dunque, si ritiene che nella richiesta di accertamento tecnico preventivo il ricorrente debba:

  • Indicare e produrre la domanda amministrativa e il verbale medico contenente il mancato riconoscimento del requisito sanitario;
  • Indicare l’esaurimento del procedimento amministrativo e produrre il ricorso al competente Comitato (solo per l’invalidità ex l. 222/84)
  • Specificare le domande che si intendono svolgere nel giudizio di merito e, sia pur genericamente, il possesso dei relativi requisiti, anche amministrativi.

Si ritiene che l’accertamento di questi ultimi esuli, in questa fase, dai poteri del Giudice, essendo tale verifica rimessa espressamente all’Istituto.

 c) Prescrizione e decadenza

Il 3° comma della norma prevede che l’istanza di accertamento tecnico preventivo interrompa la prescrizione. Si tratta, ad avviso di chi scrive, di una precisazione superflua, atteso che la pacifica giurisprudenza in punto di accertamento tecnico preventivo era già pervenuta alla conclusione che l’istanza ex art. 696 (o ex art. 696-bis) –recte, la notifica dell’istanza con il pedissequo decreto al resistente- ha l’effetto di interrompere il termine di prescrizione.

Nel caso di domanda di accertamento di prestazioni di invalidità civile o di prestazioni ex l. 222/84, la prescrizione può investire i ratei della prestazione. Ciò conferma che il contenuto dell’istanza deve essere preciso nell’indicare la prestazione che si intende domandare nell’eventuale successivo giudizio e la richiesta di condanna che sarà contenuta nelle conclusioni del giudizio in funzione del quale è introdotto l’accertamento tecnico preventivo obbligatorio.

Il mero riferimento all’efficacia interruttiva dell’istanza per accertamento tecnico preventivo fa sorgere dubbi se la presentazione del ricorso valga ad evitare la decadenza.

Come è noto, le prestazioni di invalidità civile e quelle di invalidità pensionabile ex l. 222/84 soggiacciono ad un regime decadenziale.

In particolare:

1) per i procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, l’art. 42 D.L. 269/03, conv. con legge 326/03, abrogando le disposizioni in materia di ricorso amministrativo, ha previsto che la domanda giudiziale sia proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa;

2) per le prestazioni ex l. 222/84 l’art. 47 D.P.R. 639/1970, 2° co., prevede che: “Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione, ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione“.

In proposito si ritiene, sulla scorta della prevalente dottrina e della giurisprudenza formatasi sull’art. 696bis c.p.c., che l’istanza per accertamento tecnico preventivo costituisca manifestazione di volontà di esercitare in via giudiziale il diritto controverso, con la conseguenza che il deposito del ricorso vale ad impedire il maturare del termine decadenziale.

d) La consulenza tecnica

Per l’espletamento della consulenza tecnica valgono le comuni regole processuali. In particolare il CTU provvederà ai sensi dell’art. 195 c.p.c.

Norme particolari sono state introdotte, anch’esse dal D.L. 98/2011, per consentire la partecipazione alle operazioni peritali, quali CTP, dei medici dell’Inps. Il comma 6bis dell’art. 10 D.L. 203/2005 prevede invero che il CTU provveda ad inviare, “entro 15 giorni antecedenti l’inizio delle operazioni peritali, anche in via telematica, apposita comunicazione al direttore della sede provinciale dell’INPS competente o a suo delegato”. Il medesimo comma 6bis prevede che il medico dell’Istituto possa partecipare alle operazioni peritali anche senza la dichiarazione di nomina prevista dall’art. 201 c.p.c.

e) Esito del procedimento

Il 4° comma dell’art. 445bis prevede che, al termine delle operazioni di consulenza il Giudice, con decreto comunicato alle parti, fissi un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio.

A questo punto possono verificarsi due ipotesi.

  1. Nessuna delle parti deposita, nel termine fissato, la c.d. “dichiarazione di dissenso”. E’ l’ipotesi prevista dal comma 5°, ricorrendo la quale il Giudice, con decreto pronunciato fuori udienza, “omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese”.

In tal caso la norma rimette all’ente competente la verifica dei requisiti diversi da quello sanitario e il pagamento delle prestazioni eventualmente spettanti. Come già previsto dall’art. 14 D.L. 69/1996, conv. con l. 30/1997, all’amministrazione pubblica è concesso uno “spatium adimplendi” per il pagamento delle prestazioni pari a 120 giorni, decorrenti dalla notifica del decreto di omologa, effettuata a cura del ricorrente.

Come già visto per la notifica del ricorso, la notifica del decreto va effettuata diversamente, a seconda delle prestazioni riconosciute. In materia di invalidità civile, la notifica va eseguita presso la sede provinciale dell’Istituto ex art. 10, 6° co. D.L. 203/2005; per le prestazioni ex l. 222/84 presso la sede legale dell’Inps ex art. 145 c.p.c., non rientrando i provvedimenti del Giudice nel catalogo degli atti da notificare presso l’articolazione territoriale dell’ente.

  1. Una o entrambe le parti formula la dichiarazione di dissenso. In tal caso (6° comma) “la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare, presso il giudice di cui al comma primo, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione”.

f) Mancata introduzione del giudizio di merito

La norma tace sulle conseguenze della mancata introduzione del giudizio di merito da parte del soggetto che abbia formulato la dichiarazione di dissenso.

La lacuna normativa potrebbe essere colmata ponendo nel nulla il dissenso non seguito dall’introduzione del giudizio e consentendo al Giudice, in simile ipotesi, l’omologazione dell’accertamento del requisito sanitario.

Tuttavia tale soluzione cozza con il dato letterale della norma che prevede l’emanazione del decreto soltanto nel caso di “assenza di contestazione”. Appare pertanto una forzatura considerare tale un dissenso espressamente manifestato.

In realtà la dichiarazione di dissenso spoglia il Giudice della fase istruttoria preventiva dal potere di emettere provvedimenti, essendo rimessa al merito ogni determinazione giudiziale.

Più corretto appare ritenere che la mancata introduzione del giudizio fa decadere la parte dal potere di contestare la CTU, con la conseguenza che, nel giudizio tempestivamente introdotto dall’altra parte pure dissenziente, la parte decaduta non può formulare alcuna contestazione.

Analogamente, nel caso di tardiva introduzione del giudizio da parte del dissenziente, l’altra parte potrà chiedere l’acquisizione della CTU espletata nella fase preventiva, che avrà lo stesso valore di una CTU espletata nel giudizio di merito.

g) Il giudizio di merito

Un ulteriore nodo interpretativo da sciogliere è quello dell’oggetto del giudizio di merito che la parte dissenziente (o le parti dissenzienti) deve introdurre nel termine perentorio stabilito dal Giudice.

Sulla scorta della giurisprudenza di legittimità che esclude pronunce di accertamento del mero requisito sanitario, si ritiene che il giudizio debba avere ad oggetto il diritto alla prestazione, con la conseguenza che la parte che la rivendica deve provare i requisiti socio economici per l’invalidità civile e quelli assicurativo e contributivo per l’invalidità pensionabile.

Così, ove sia il ricorrente a contestare la CTU, dovrà introdurre il giudizio per l’accertamento del diritto alla prestazione, allegando e provando il possesso dei requisiti diversi dal sanitario. Nel caso sia l’Inps a introdurre il giudizio, volto all’accertamento negativo della sussistenza del requisito sanitario, il ricorrente dovrà proporre domanda riconvenzionale per la condanna dell’Istituto al pagamento della prestazione, fornendo prova dei requisiti.

Tale ricostruzione appare tuttavia posta in dubbio dal recente intervento del legislatore che, con legge 183/2011 (c.d. “legge di stabilità”) ha previsto l’inappellabilità delle sentenze rese nei giudizi introdotti ai sensi del comma 6 dell’art. 445bis.

La limitazione ad un solo grado di tali controversie induce infatti a ritenere che il giudizio abbia ad oggetto il solo requisito sanitario.

Ciò in quanto, come già detto, l’inappellabilità consegue soltanto ai giudizi introdotti ai sensi del comma 6 dell’art. 445bis.

Viceversa, qualora il giudizio per il riconoscimento di una prestazione di invalidità sia introdotto al di fuori del procedimento ex art. 445bis (ad es., a seguito di mancato pagamento dei ratei dopo il riconoscimento in via amministrativa del requisito sanitario) resta salvo il doppio grado di merito.

Pertanto, ritenere che il giudizio sorto a seguito della contestazione della CTU preventiva debba investire anche i requisiti amministrativi, provocherebbe un’irragionevole differenza tra giudizi introdotti a seguito del procedimento ex art. 445bis, definiti con sentenza inappellabile, e giudizi introdotti al di fuori di tale procedimento, definiti con pronuncia appellabile.

Così opinando, la sentenza circa la sussistenza o meno dei requisiti amministrativi sarebbe dunque appellabile o non a seconda delle modalità di introduzione del giudizio.

E ‘evidente l’illogicità di una simile conclusione.

Più corretto allora ritenere che il giudizio introdotto ai sensi del comma 6 dell’art. 445bis investa solo la CTU “preventiva” oggetto di contestazione e, dunque, il solo requisito sanitario. La sentenza sarà dunque di accertamento della sussistenza di tale requisito.

L’eventuale ulteriore giudizio sulla spettanza della prestazione potrà dunque essere eventualmente introdotto solo nel caso di inadempimento dell’INPS nei 120 giorni successivi alla sentenza.

 

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