Sommario: 1. Premessa: la continuità procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione. – 2. L’impostazione tradizionale del problema dei termini di costituzione delle parti del procedimento d’ingiunzione in senso lato. – 3. Nostra opinione: riferibilità all’opponente del termine di costituzione del convenuto previsto dall’art. 166 c.p.c.
1. Premessa: la continuità procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione. Il processo d’ingiunzione (artt. 633-656 c.p.c.) rappresenta indubbiamente, tra i procedimenti speciali (e non solo tra quelli previsti dal libro IV del vigente codice di rito civile) (1), lo strumento più utilizzato nella prassi.
(1) Le più esaurienti sistemazioni dell’eterogenea categoria dei procedimenti speciali previsti dal vigente codice di rito civile (procedimenti “che non hanno altro in comune se non la loro ‘specialità’, ossia la loro divergenza da un non meglio definito modello di procedimento normale”: MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, III, Torino, 1997, 177) ci sembrano quelle compiute recentemente da TOMMASEO, Appunti di diritto processuale civile. Nozioni introduttive, Torino, 1993, 17 ss. (il quale muove dalla distinzione tra “procedimenti a rito speciale” e “procedimenti speciali di cognizione”) ed in passato da ROCCO, Trattato di diritto processuale civile, VI, 1, Torino, 1962, 5 ss. Sul processo d’ingiunzione come processo speciale v. paradigmaticamente lo stesso ROCCO, Trattato di diritto processuale civile, VI, 1, cit., 123 ss. Sui procedimenti speciali “decisori” (aventi, cioè, natura di tutela giudiziale cognitiva idonea a dar luogo al giudicato formale e sostanziale sui diritti o status ai sensi degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. e tra i quali può entro certi limiti annoverarsi pure il procedimento de quo) v. particolarmente LANFRANCHI, Profili sistematici dei procedimenti decisori sommari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1987, 88 ss. Non senza ragione, infine, si è rilevato che “tanto il termine ‘speciale’, quanto il termine ‘sommario’, per come sono usati dal codice di procedura alla soglia del libro quarto, hanno nella sistematica propria del codice, un significato eminentemente negativo e residuale, del tutto irrilevante per l’interprete” (NICOLETTI, Note sul procedimento ingiuntivo nel diritto positivo italiano, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1975, 945 ss., 949).
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Com’è noto, tale processo [convenzionalmente qualificabile d’ingiunzione in senso lato (2)] si estrinseca: a) nel procedimento monitorio (o d’ingiunzione in senso stretto), costituito dal “complesso degli atti processuali compresi fra il ricorso per ingiunzione (art. 638) e la notificazione del ricorso stesso e del decreto d’ingiunzione (art. 643), ovvero fra il ricorso ed il decreto di rigetto della domanda di ingiunzione (art. 640)” (3); b) nel giudizio di opposizione, iniziato dall’atto ex art. 645 c.p.c. [o 650: opposizione tardiva (4)] e concluso dalla sentenza che decide l’opposizione con il suo rigetto oppure con il suo accoglimento (totale o parziale: art. 653). Può ormai considerarsi espressione di “diritto vivente” quell’orientamento giurisprudenziale che, nell’escludere l’autonomia del giudizio di opposizione rispetto al precedente procedimento svoltosi inaudita altera parte, riconosce apertis verbis l’unitarietà tra la fase monitoria e quella di opposizione, nel senso che le stesse fanno parte di un unico processo, nel quale “la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione e l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta assumendone il contenuto e la funzione” (5). (2) SCIACCHITANO, Ingiunzione (dir. proc. civ.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 505 ss., 506, 521. (3) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, Milano, 1991, 31. (4) Sulle caratteristiche dell’opposizione tardiva v. specialmente BALBI, Inattività dell’intimato ed esecutorietà del decreto di ingiunzione, in Riv. dir. proc., 1979, 40 ss., 49 ss. (5) Così Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552. Sul tema v. esemplificativamente Cass. civ. 1° febbraio 2007, n. 2217: “Il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo a una fase di un unico giudizio, in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione. Perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite. Nel liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto il disposto degli artt. 91 e 92 c.p.c. qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente che, all’esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite. A maggior ragione il giudice può lasciare le spese della fase monitoria a carico della parte ingiunta, allorquando la revoca del decreto ingiuntivo sia dipesa dal pagamento della somma recata dal decreto monitorio nel corso del giudizio di opposizione”. Nello stesso senso v. pure Cass. civ. 18 novembre 2003, n. 17440: “Il giudizio introdotto con opposizione a decreto ingiuntivo costituisce una struttura procedimentale essenzialmente unitaria, sicché il giudice deve pronunciarsi sulle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento, con esclusivo riferimento all’esito finale della lite, ferma restando la facoltà di escludere le spese riguardanti la fase monitoria, ove riconosca che la domanda di ingiunzione è
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E’ ben vero che talvolta è stata espressamente riconosciuta al giudizio oppositivo pure la natura di procedimento di impugnazione del decreto ingiuntivo, ma di recente tale riconoscimento viene operato solamente (ed apoditticamente) per affermare il carattere funzionale ed inderogabile della competenza del giudice dell’opposizione (6) oppure per postulare l’inammissibilità di un’opposizione proposta soltanto per denunciare vizi della fase monitoria, senza contestazioni sulla pretesa creditoria fatta valere col ricorso (7).
stata proposta in carenza delle condizioni di richieste. (Nella specie, in applicazione del riferito principio la Suprema corte ha cassato la sentenza gravata nella parte in cui questa aveva posto a carico del ricorrente per ingiunzione le spese del procedimento monitorio, ancorché lo stesso, in esito al giudizio, fosse rimasto totalmente vincitore)”. In termini analoghi v.. tra le più recenti Cass. civ. 26 ottobre 2000, n. 14126; Cass. civ. 18 ottobre 2002, n. 14818; Cass. civ. 23 settembre 2004, n. 19126. Si inseriscono nello stesso filone anche quelle pronunce che a proposito dell’opposizione parlano di “prosecuzione” (Cass. civ. 11 giugno 1993, n. 6531; Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552) o di “continuazione orizzontale” (Cass. civ. 30 marzo 1998, n. 3316) o di “ulteriore sviluppo” (Cass. civ. 7 aprile 1987, n. 3355; Cass. civ. 26 marzo 1991, n. 3258) del giudizio già pendente ed iniziato con il ricorso del creditore. (6) V. Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10984: “La competenza del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo è inderogabile, come sono funzionalmente inderogabili tutte le competenze del giudice dell’impugnazione; di conseguenza, qualora l’opponente proponga una domanda riconvenzionale eccedente la competenza per valore del giudice adito, quest’ultimo deve provvedere alla separazione delle cause, trattenendo quella di opposizione (di sua competenza esclusiva) e rimettendo la domanda riconvenzionale al giudice competente per valore, salvo sospendere il giudizio di opposizione – ove ricorrano i presupposti dell’art. 295 c.p.c. – fino alla definizione della causa pendente innanzi all’altro giudice”. Negli stessi termini la coeva Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992 n. 10985. Conf. tra le più recenti (dopo il componimento del precedente contrasto giurisprudenziale operato da Cass. civ., Sez. un., 8 ottobre 1992, n. 10984 e n. 10985) Cass. civ. 19 giugno 1993, n. 6838; Cass. civ. 23 giugno 1995, n. 7129; Cass. civ. 6 aprile 1996, n. 3241; Cass. civ. 21 giugno 1996, n. 5737; Cass. civ. 25 settembre 1997, n. 9418; Cass. civ. 9 settembre 1998, n. 8914; Cass. civ. 13 dicembre 1999, n. 13950; Cass. civ. 13 novembre 2000, n. 14703; Cass. civ, Sez. un., 18 luglio 2001, n. 9769; Cass. civ. 12 febbraio 2002, n. 2011; Cass. civ. 23 maggio 2003, n. 8165; Cass. civ. 29 marzo 2004, n. 6267; Cass. civ. 16 novembre 2004, n. 21687; Cass. civ. 17 marzo 2006, n. 6054; Cass. civ. 20 settembre 2006, n. 20324. Sul tema in discorso v. per tutti VULLO, La domanda riconvenzionale, Milano, 1995, 368 ss. (7) Cfr. Cass. civ. 10 aprile 1996, n. 3319, nella cui motivazione si legge che, poiché “il giudizio di opposizione si sovrappone a quello sulla legittimità del decreto, … l’impugnazione non può essere dedotta solo per fare accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se almeno non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali”. Nello stesso senso v. pure Cass. civ., Sez. un., 30 dicembre 1991, n. 14017: “L’opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, prevista dall’art. 650 c. p. c. in caso di irregolarità della sua notificazione, non può esaurirsi in una denuncia di tale irregolarità, perché siffatta denuncia, ove non sia accompagnata da contestazioni sulla pretesa creditoria, e non sia quindi indirizzata all’apertura del giudizio di merito (nonostante il decorso del termine all’uopo fissato),
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Del resto, la tesi postulante la natura impugnatoria dell’opposizione si espone ad obiezioni, che riteniamo insuperabili. A questo proposito osserviamo quanto segue. Nel nostro ordinamento giuridico “il termine di impugnazione è la qualificazione generica dei molteplici rimedi che sono dati contro gli atti giuridici” (8). Alla stregua di questa lata nozione si può sicuramente (e genericamente) affermare che l’opposizione de qua si risolve in uno strumento impugnatorio rispetto alla precedente ingiunzione: così come, del resto e per esempio, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. rappresenta un’impugnazione del titolo esecutivo (9), il reclamo al collegio ex art. 178, 2° comma, c.p.c. costituisce un’impugnazione dell’ordinanza dichiarativa dell’estinzione del processo (10) e le azioni di nullità o di annullamento ex artt. 1421 e 1441 c.c. integrano rimedi impugnatori contro le invalidità del contratto (11). Se, invece, in subiecta materia si vuole (come si deve!) parlare di impugnazione per postulare l’assimilabilità dell’opposizione de qua ai mezzi
non è atta ad alcun risultato utile per l’opponente, nemmeno con riguardo alle spese della fase monitoria”. Analogamente Cass. civ. 22 gennaio 1997, n. 668: “Il principio per cui la notificazione effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. in assenza dei presupposti necessari per l’applicazione di tale disposizione è nulla ma non è giuridicamente inesistente comporta che qualora la notificazione eseguita con modalità di cui alla norma sopraindicata abbia ad oggetto un decreto ingiuntivo l’opposizione dell’intimato esplica effetto sanante della pregressa nullità, sicchè ove l’opponente si limiti a dedurre l’inefficacia del decreto a norma dell’art. 644 c.p.c. senza contestare ulteriormente la pretesa fatta valere in via monitoria, l’inammissibilità dell’opposizione, per difetto di interesse, rende inammissibile, sotto lo stesso profilo, l’appello proposto contro la sentenza che abbia deciso sull’opposizione e il ricorso per cassazione contro quest’ultima”. E’ evidente come tali decisioni siano espressione del principio secondo cui “il giudice del gravame in tanto può decidere la causa nel merito, in quanto le questioni di merito siano state debitamente e ritualmente dedotte” (cfr. Cass. civ. 8 ottobre 1957, n. 3643; Cass. civ. 26 giugno 1980, n. 4012; Cass. civ. 8 agosto 1987, n. 6799; Cass. civ. 22 aprile 1989, n. 1934; Cass. civ. 4 ottobre 1991, n. 10389; Cass. civ. 27 aprile 1994, n. 4018; Cass. civ. 9 marzo 1995, n. 2735), sul quale v. BALENA, La remissione della causa al primo giudice, Napoli, 1984, 316 ss. (8) Così SATTA, Diritto processuale civile, , Padova, 1973, 352, il quale precisa ancora: “impugnare, infatti, non significa altro, latinamente, che contrastare, attaccare, e quindi l’impugnazione non ha in sé e per sé alcuna tipicità”. (9) Cfr. ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 337 ss. (10) Cfr. GIANNOZZI, Il reclamo nel processo civile, Milano, 1968, 275 ss. (11) Cfr. CALIFANO-PERAGO, Le impugnazioni civili, Torino, 1999, 2, dove si considera “di comune evidenza che genericamente” la parola impugnazione “sia riferibile anche ad atti di natura sostanziale”.
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di impugnazione in senso tecnico ex artt. 323 ss. c.p.c., l’equazione opposizione-impugnazione non risulta più corretta (12). Tale equazione, invero, si espone a severe obiezioni (13). Infatti: A) se essa fosse esatta, non sarebbe possibile “spiegare l’inizio della pendenza della causa al momento della notificazione del decreto” ex art. 643, 3° comma, c.p.c. (14), posto che “l’opposizione dovrebbe essa stessa (cioè la notificazione dell’atto che la introduce, cioè la notificazione della citazione) determinare quella pendenza, se tale pendenza prima non c’era” (15); B) il voler trovare un riscontro della natura impugnatoria dell’opposizione nella previsione del deposito per il caso soccombenza ex art. 651 c.p.c., analogamente a quanto previsto dall’art. 364 rispetto al ricorso per cassazione e dall’art. 398 per la domanda di revocazione (16), a sua volta, non solo non ha più senso a seguito dell’abrogazione delle predette norme ex art. 1 l. 18 ottobre 1977, n. 793, ma rappresenta pure un argomento “monco” specialmente nella prospettiva di chi
(12) La natura di impugnazione in senso tecnico dell’opposizione è sostenuta specialmente da GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 144 (“La competenza per l’opposizione è funzionale ed inderogabile, tale essendo più in generale la competenza per le impugnazioni”), 195 ss. (dove si postula l’applicazione analogica dell’art. 332 c.p.c., “se il decreto d’ingiunzione è stato pronunciato contro una pluralità di debitori in solido, dei quali uno soltanto abbia proposto opposizione”: contra ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, cit., 74), 221 (dove si invoca un’applicabilità analogica dell’art. 336, 2° comma, c.p.c “vecchio testo”); e da LORENZETTO PESERICO, Opposizione a decreto ingiuntivo e competenza, in Riv. dir. civ., I, 1993, 759 ss., 799-800 (per affermare l’inderogabilità della competenza del giudice dell’opposizione e la conseguente inammissibilità di una translatio iudicii in applicazione degli artt. 34 ss. c.p.c.), 801 [dove si afferma la competenza del … collegio a decidere l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal presidente del tribunale, in applicazione estensiva dell’art. 48, n. 1, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 come sostituito dall’art. 88 l. 26 novembre 1990, n. 353 (successivamente sostituito, peraltro, dall’art. 14 d.lgs 19 febbraio 1998, n. 51): ma quell’affermazione, che si prestava comunque a censure di irragionevolezza, deve dirsi oggi superata dall’art. 350, 1° comma, c.p.c. come sostituito dall’art. 74 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, secondo cui davanti al tribunale l’appello (limitato alle sentenze del giudice di pace) è trattato e deciso dal giudice monocratico]. (13) Esporremo qui di seguito alcune obiezioni di carattere generale, alle quali nondimeno è possibile aggiungerne altre di natura particolare (riguardanti, cioè, le singole tesi che attribuiscono all’opposizione a decreto ingiuntivo la funzione e/o la qualificazione propria di specifici mezzi d’impugnazione: impugnazione di tipo sostitutivo, impugnazione di tipo rescindente, impugnazione di tipo eliminatorio e impugnazione c.d. processuale): v. in argomento VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, in Riv. dir. proc., 2000, 720 ss., 755 ss. (14) Così esattamente FRANCHI, La litispendenza, Padova, 1963, 175. (15) NICOLETTI, Note sul procedimento ingiuntivo nel diritto positivo italiano, cit., 991. (16) Così sostiene GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 169.
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ritiene che “l’opposizione a decreto ingiuntivo costituisce, al pari dell’appello, un mezzo di gravame” (17): nessun deposito per soccombenza, invero, era previsto per la procedibilità dell’appello; C) non è, poi, per nulla esatto (o, comunque, non lo è più) affermare che il potere ex art. 648 c.p.c. “si giustifica soltanto … scorgendo nell’opposizione un mezzo di impugnazione del decreto, avente natura di gravame” (18): quel potere, difatti, ha oggi il suo pendant nell’art. 186 ter, 2°comma, c.p.c. e, al pari del primo, trova la sua giustificazione nella ratio acceleratoria e deflattiva comune a tutte le ipotesi di provvedimenti anticipatori di condanna (19); D) quest’ultimo rilievo consente pure di raccogliere (per così dire) la sfida lanciata da chi ha affermato che, “chiunque neghi all’opposizione la natura di impugnazione del decreto d’ingiunzione ha l’onere di precisare … le ragioni, per cui l’esito del giudizio che si svolge in seguito all’opposizione ed i provvedimenti giurisdizionali in esso emanati vengono direttamente ad incidere sull’efficacia del decreto ingiuntivo” (20): ben potendosi replicare a questo ragionamento non solo che la sopravvivenza del decreto ingiuntivo alla proposta opposizione “non rappresenta altro che un dato orientamento della politica giudiziaria” (21); ma soprattutto che l’incidenza diretta della sentenza definitiva del giudizio di opposizione sulla sorte del decreto ingiuntivo [recte: la sua conferma con acquisizione di vis esecutiva (nel caso di sentenza di rigetto dell’opposizione: art. 653, 1° comma, c.p.c.) ovvero la sua caducazione (nell’ipotesi di sentenza di accoglimento della medesima: arg. ex art. 653, 2° comma)] costituisce semplicemente una delle possibili modalità di regolamentazione dei rapporti tra provvedimento anticipatorio e sentenza di merito (17) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 136. (18) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 177. (19) Per l’assimilazione dell’ordinanza ingiuntiva ex art. 186 ter c.p.c. al decreto ingiuntivo v. per tutti CONTE, Provvisoria esecuzione (parziale) ex art. 648 c.p.c. tra disciplina dell’art. 186 ter c.p.c. e regolamento di giurisdizione, in Riv. dir. proc., 1998, 505 ss., 523 ss. Riconducono il decreto ingiuntivo alla categoria della tutela anticipatoria non cautelare, per esempio, CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, Torino, 1997, 180 ss.; e MANDRIOLI, La caducazione dei c.d. accertamenti anticipati per effetto della pronuncia di primo grado ancorchè non esecutiva, in Riv. dir. civ., 1961, II, 518 ss., 527. (20) GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 129-130. (21) Come osserva giustamente NICOLETTI, Note sul procedimento ingiuntivo nel diritto positivo italiano, cit., 1004. Tutto ciò trova riscontro nel fatto che tale sopravvivenza non si ha nel caso dello speculare istituto dell’opposizione a decreto penale di condanna (cfr. art. 464, 3° comma, ultima parte, c.p.p., cui pur si suole riconoscere la natura di impugnazione (v. tra le più recenti Cass. pen. 19 maggio 2004, n. 26278, De Angelis).
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(modalità, più esattamente, alternativa a quella dell’assorbimento del provvedimento anticipatorio nella sentenza di merito ovvero a quella della sostituzione del primo con la seconda); E) non è più proponibile, infine, il preteso parallelismo tra l’art. 653, 1° comma, c.p.c. (nella parte in cui fa riferimento alla definitiva esecutività del decreto in caso di estinzione del giudizio di opposizione) e l’art. 338 c.p.c. (22), perché, estintosi il relativo processo, anche l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c. è soggetta al medesimo regime di immutabilità ed incontestabilità divisato dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. [art. 186, 4° co., c.p.c.. (23)].
2. L’impostazione tradizionale del problema dei termini di costituzione delle parti del procedimento d’ingiunzione in senso lato. Una volta evidenziata la continuità procedimentale esistente tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione e/o la loro appartenenza ad un unico processo, risultano – a nostro avviso – impostate erroneamente le “antiche e recenti” discussioni sui termini di costituzione delle parti di quel processo (24). Queste discussioni prendono le mosse dall’art. 645, 2° comma, c.p.c., secondo cui “in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito; ma i termini di comparizione sono ridotti alla metà”. Dominante per decenni (in dottrina ed in giurisprudenza) è stata l’opinione, secondo cui la norma predetta, “in quanto sprovvista di sanzione, si limiterebbe a conferire all’opponente una semplice facoltà, di cui egli sarebbe libero di avvalersi a meno” (25); di tal che “nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, i termini di costituzione sono quelli ordinari, secondo quanto stabiliscono gli art. 165 e 166 c. p. c. (22) Per tale parallelismo v. GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit. 208. (23) Si deve qui ricordare che anche all’ordinanza ingiuntiva divenuta esecutiva per sopravvenuta estinzione del processo (art. 186 ter, 4° comma, c.p.c.) o per mancata costituzione successiva del destinatario contumace (art. 186 ter, 5° comma, c.p.c.) viene dalla prevalente dottrina riconosciuta autorità di cosa giudicata (per le varie opinioni v. CONTE, L’ordinanza di ingiunzione nel processo civile, Padova, 2003, 235 ss.): la tesi, osteggiata in passato da Cass. civ. 17 luglio 1998, n. 6595, è stata invece recentemente avallata con dovizia di argomenti da Cass. civ. 6 giugno 2006, n. 13252. (24) Per un esame di altre conseguenze tecniche della suddetta ricostruzione v. VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 768 ss. (25) VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, 377, cui si rinvia per altre indicazioni bibliografiche.
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rispettivamente per l’attore e per il convenuto, quando l’opponente assegni alla controparte il termine ordinario di comparizione o un termine maggiore; qualora, invece, si avvalga della facoltà, in base all’ultimo comma, art. 645 c. p. c., di dimezzare il termine di comparizione, assegnando al convenuto in opposizione un termine a comparire inferiore a quello ordinario, è ridotto alla metà il termine a lui stesso assegnato per la costituzione dall’art. 165 c. p. c.” (26). Senza séguito (27), invece, è rimasta per lungo tempo la tesi (assolutamente aderente, del resto, alla lettera della legge) di un autorevole studioso, secondo cui, attesa la riduzione dei termini di comparizione disposta dall’art. 645, 2° comma, ultima parte, c.p.c. ed in virtù del generico richiamo alle norme del procedimento ordinario ex art. 645, 2° comma, prima parte, c.p.c., trova “applicazione il principio enunciato dagli art. 165 e 166, con riferimento all’ipotesi contemplata dall’art. 163 bis, 2° comma: e cioè, che alla riduzione fino alla metà del termine di comparizione deve accompagnarsi” sempre la riduzione dei termini di costituzione; di guisa che “il termine per la costituzione dell’opponente è di soli cinque giorni” ex art. 165 c.p.c. (28). Con la sentenza 9 settembre 2010 n. 19246, tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno bruscamente cambiato orientamento, recependo l’impostazione di quell’isolata dottrina testè ricordata e scrivendo: “Ritengono le sezioni unite che esigenze di coerenza sistematica, oltre che pratiche, inducono ad affermare che non solo i termini di costituzione dell’opponente e dell’opposto sono automaticamente ridotti alla metà in caso di effettiva assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello legale, ma che tale effetto automatico è conseguenza del solo fatto che l’opposizione sia stata proposta, in quanto l’art. 645 c.p.c. prevede che in ogni caso i termini a comparire siano ridotti a metà”.
(26) Così Cass. civ. 7 aprile 1987, n. 3355; nello stesso senso v. Cass. civ. 27 novembre 1998, n. 12044; Cass. civ. 15 marzo 2001, n. 3752; Cass. civ. 20 novembre 2002, n. 16332. Tale orientamento giurisprudenziale è stato espressamente considerato “diritto vivente” da Corte cost. 22 luglio 2009, n. 230, con la quale è stata per l’ennesima volta disattesa la questione di legittimità costituzionale (della superiore interpretazione) dell’art. 645, comma 2, c.p.c. Su tale quaestio legimitatis v. VIGNERA, Il giusto processo d’ingiunzione, in BODRITOFIORENTIN-MARCHESELLI-VIGNERA, Giusto processo e riti speciali, Milano, 2009, 67 ss., 110 ss. Sulla stessa questione v. ultimamente Corte cost. 6 maggio 2010, n. 163 (27) L’unico precedente conforme in giurisprudenza è rappresentato da Cass. civ. 10 gennaio 1955, n. 8. (28) Così GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 169 ss. Analogamente PAJARDI, Il procedimento monitorio, Milano, 1991, 87.
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Questa pronuncia ha innescato un immediato dibattito sulle ricadute del nuovo principio di diritto sui giudizi di opposizione già pendenti (29). Ma non è nostra intenzione partecipare ad esso.
3. Nostra opinione: riferibilità all’opponente del termine di costituzione del convenuto previsto dall’art. 166 c.p.c.
Anticipando idee che ci riserviamo di approfondire in altra sede, oggi vogliamo solo suggerire una diversa impostazione del problema relativo all’individuazione dei termini di costituzione delle parti del procedimento d’ingiunzione in senso lato, Nel porre codesto problema, invero, è usuale l’assegnazione all’opponente della qualità di attore in senso formale ed all’opposto della qualità di convenuto in senso formale: di guisa che, conseguentemente, il termine per la costituzione del primo (l’opponente-attore in senso formale) sarebbe quello ex art. 165 c.p.c. ed il termine per la costituzione del secondo (l’opposto-convenuto in senso formale) sarebbe quello ex art. 166 c.p.c. Una corretta impostazione del problema in discorso, invece, a nostro avviso deve poggiare su tre basi: a) intravedere nell’art. 645, 1° comma, prima parte, c.p.c. (“in seguito all’opposizione il giudizio si svolge secondo le norme ordinarie davanti al giudice adito”) una norma volta a “riequlibrare” la posizione del debitore-ingiunto, al quale dopo la fase monitoria (svoltasi senza la sua partecipazione) “deve essere garantito che il procedimento iniziatosi con il ricorso per ingiunzione venga a svolgersi con le forme previste per il procedimento ordinario di primo grado, ossia offrendogli le stesse possibilità che gli sarebbero state assicurate se il
(29) Dottrina e giurisprudenza di merito sembrano propendere unanimemente per l’applicazione del seguente principio di diritto enunciato da Cass. civ. 2 luglio 210, n. 15812: “Alla luce del principio costituzionale del giusto processo, va escluso che abbia rilevanza preclusiva l’errore della parte la quale abbia fatto ricorso per cassazione facendo affidamento su una consolidata, al tempo della proposizione dell’impugnazione, giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, successivamente travolta da un mutamento di orientamento interpretativo, e che la sua iniziativa possa essere dichiarata inammissibile o improcedibile in base a forme e termini il cui rispetto, non richiesto al momento del deposito dell’atto di impugnazione, discenda dall’overruling; il mezzo tecnico per ovviare all’errore oggettivamente scusabile è dato dal rimedio della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis cod. proc. civ. (ratione temporis applicabile), alla cui applicazione non osta la mancanza dell’istanza di parte, dato che, nella specie, la causa non imputabile è conosciuta dalla corte di cassazione, che con la sua stessa giurisprudenza ha dato indicazioni sul rito da seguire, ex post rivelatesi non più attendibili”.
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creditore avesse agito in via ordinaria” (30) [fatte salve, ovviamente, le “deviazioni” rispetto al rito ordinario espressamente previste dalla legge (v. ad esempio artt. 647, 653, 654, 2° comma, c.p.c), le quali (“deviazioni”) peraltro vanno come tali interpretate restrittivamente (al pari di tutte le norme “che fanno eccezione a regole generali”: v. art. 14 preleggi]; b) assegnare all’art. 645, 2° comma, ultima parte c.p.c. (che prevede il dimezzamento degli ordinari termini di comparizione previsti dall’art. 163 bis c.p.c.), non tanto la funzione di accelerare lo svolgimento del giudizio di opposizione (31), quanto (e soltanto) quella di “allineare” il termine di comparizione all’effettiva posizione processuale dell’opposto (che è attore in senso – quanto meno – sostanziale), il quale ha avuto modo di preparare tutte le sue difese già prima del deposito del ricorso per ingiunzione ed il quale potrà pure dopo “controreplicare” all’opponente all’udienza di trattazione (v. art. 183, 5° comma, c.p.c.) e/o nei termini concessigli a quell’udienza dal giudice istruttore (v. art. 183, 6° comma, c.p.c.): di tal che sarebbe incongrua e/o ingiustificata la previsione in suo favore degli ordinari termini di comparizione [divisati dall’art. 163 bis c.p.c. in funzione delle esigenze difensive del convenuto in senso proprio (o sostanziale che dir si voglia]; c) affermare che il creditore-ricorrente-opposto ed il debitore-ingiuntoopponente sono, rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal punto di vista sostanziale (come si è soliti dire), ma anche da quello formale: come coerentemente impone di concludere la concezione
(30) Così BALBI, “Ingiunzione (procedimento di)”, in Enc. giur., XVII, Roma, 1997, 3. Già prima LIEBMAN, Il principio del contraddittorio e la Costituzione, in Riv. dir. proc., 1954, II, 128 ss. aveva scritto che la proposizione dell’opposizione consente al debitore di “ristabilire il contraddittorio momentaneamente sospeso e provvedere alla sua difesa in condizioni che non si discostano da quelle normali di ogni altro giudizio”. (31) SATTA, Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 83 osservava esattamente al riguardo che la norma “è priva di valore sostanziale perché il termine di comparizione è stabilito dall’opponente, che può assegnare il termine che vuole, anche superiore al minimo”. Né servirebbe dire che “il più rapido svolgimento del giudizio di opposizione” deriverebbe dal conseguente dimezzamento (pure) dei termini di costituzione dell’opponente (in tal senso GARBAGNATI, Il procedimento d’ingiunzione, cit., 171-172, secondo cui non solo alla mancata costituzione dell’opponente, ma pure alla sua costituzione tardiva conseguirebbe l’esecutività del decreto prevista dall’art. 647 c.p.c.: tesi recepita costantemente dalla giurisprudenza). Invero, l’esperienza insegna che, in caso di opposizione meramente dilatoria, l’opponente … non si costituisce affatto! Di guisa che il dimezzamento dei termini di costituzione si risolve soltanto in un ingiustificato aggravamento della posizione processuale dell’opponente, che intende effettivamente contrastare la pretesa del creditore-ricorrente-opposto.
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(oggi prevalente) dell’unitarietà procedimentale tra la fase monitoria e la fase oppositiva e della comunanza dell’azione (ordinaria di condanna) sottostante alle due fasi (32);
(32) V. VIGNERA, La relazione strutturale tra procedimento monitorio e giudizio di opposizione, cit., 769 ss., dove osservavamo: “Da questa ricostruzione discendono (per quanto paradossali possano sembrarne alcune) le seguenti conseguenze: A) perfezionatasi la notificazione dell’atto di opposizione, il creditore-ricorrente ed il debitoreopponente sono, rispettivamente, l’attore ed il convenuto non solo dal punto di vista sostanziale (come si è soliti dire), ma anche da quello formale; B) non è mai configurabile una contumacia del creditore-opposto , la cui costituzione è già avvenuta con il deposito del ricorso ex art. 638 c.p.c.; C) costituitosi l’opponente, non si iscrive una nuova causa nel registro generale, né si forma un nuovo fascicolo, ma si inseriscono, in quello già esistente, gli atti dell’opposizione; D) la notificazione del ricorso produce bensì la litispendenza ex art. 643, ultimo comma, c.p.c., ma gli effetti della litispendenza stessa decorrono ex tunc dal momento del deposito del ricorso; E) l’onere della prova incombe sul creditore in quanto parte che “vuol far valere un diritto in giudizio” (art. 2697, comma 1, c.c.); F) i requisiti di ammissibilità ex art. 633 c.p.c. condizionano soltanto la pronuncia dell’ingiunzione, emessa la quale essi hanno esaurito la loro funzione; G) pertanto (e non essendo l’opposizione un’impugnazione dell’atto-decreto ingiuntivo), la loro mancanza è irrilevante nel giudizio oppositivo, all’esito del quale il giudice è tenuto a confermare comunque l’ingiunzione, nel caso che la “sottostante” pretesa creditoria risulti fondata; H) in questo stesso caso, la mancanza delle condizioni ex art. 633 c.p.c. può avere un’efficienza limitata alla statuizione sulle spese processuali, potendo il giudice avvalersi del potere ex art. 92, comma 1, c.p.c. ed escludere dalla ripetizione (perché sostanzialmente superflue) le spese sostenute dal creditore nella fase monitoria; I) qualora l’opponente si limitasse ad eccepire l’insussistenza di una di codeste condizioni, la sua opposizione dovrebbe essere senz’altro (non dichiarata inammissibile, come fa certa giurisprudenza postulante la natura impugnatoria dell’opposizione, ma) rigettata nel merito, dovendosi al suo comportamento processuale assegnare il significato di ammissione (o non contestazione) dei fatti costitutivi allegati dal creditore; L) dichiarata l’incompetenza del giudice dell’ingiunzione (e conseguentemente dell’opposizione: art. 645, comma 1, c.p.c.), il decreto ingiuntivo non deve essere revocato (potendosi tutt’al più sospendere o – meglio – revocare la sua eventuale provvisoria esecutorietà) perché la riassunzione della causa ex art. 50 c.p.c. determinerebbe la prosecuzione dello stesso processo ingiuntivo (in senso lato) svoltosi innanzi al giudice incompetente, con la conservazione di tutti gli atti compiuti nel processo originariamente instaurato; M) esclusa la qualificazione dell’opposizione come impugnazione del decreto ingiuntivo (e, quindi, la natura funzionale della competenza stabilita dall’art. 645, comma 1, c.p.c.), non vi è alcun ostacolo per ammettere la possibilità che il giudizio di opposizione trasmigri ad altro giudice in applicazione degli artt. 34 ss. c.p.c.”. Ci piace rimarcare come gran parte delle nostre conclusioni si ritrovano nella motivazione di Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596, secondo cui “l’art. 643, 3° comma, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che la lite introdotta con la domanda di ingiunzione deve considerarsi pendente a seguito della notifica del ricorso e del decreto, ma gli effetti della pendenza retroagiscono al momento del deposito del ricorso”.
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In questa più corretta prospettiva, non si può fare a meno di esprimere completa adesione alla tesi, secondo cui il termine per la costituzione dell’opponente è quello divisato per il convenuto dall’art. 166 c.p.c.: e cioè, di almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione indicata nell’atto introduttivo. Infatti, “tale è … il termine di cui l’opposto deve poter godere per ritrovarsi in una posizione non deteriore rispetto a quella in cui si troverebbe che, avendo proposto una domanda secondo le forme ordinarie, debba poter replicare alle difese del convenuto tempestivamente costituito” (33). Va da sé, naturalmente, che nell’ambito della superiore ricostruzione non si pone il problema del termine di costituzione del creditore-ricorrente-opposto. Infatti: a) “nei procedimenti contenziosi che iniziano con ricorso … si verifica un’inversione logica e cronologica, rispetto a quelli in cui la domanda si propone con citazione, nella successione del rapporto delle parti tra loro e del rapporto parti-giudice, nel senso che si determina per primo il rapporto cittadino-giudice, per il solo fatto della presentazione del ricorso, ed in un momento successivo, con la notificazione del ricorso e del decreto, si instaura il contraddittorio tra le parti; ne consegue che in tali procedimenti si configura del tutto inutile una costituzione dell’attore ai sensi dell’art. 165 c. p. c., per cui l’attore, depositando il ricorso, non ha l’onere di presentare la nota di iscrizione a ruolo, ma solo quello di effettuare il deposito in cancelleria di cui all’art. 38 disp. att. c. p. c., mentre il cancelliere deve formare il fascicolo d’ufficio ed iscrivere l’affare nel ruolo generale ai sensi dell’art. 36 disp. att. c. p. c.” (34); b) pertanto, attesa l’unitarietà procedimentale tra la fase monitoria ed il giudizio di opposizione, già al momento del deposito del ricorso ex art. 638 c.p.c. il ricorrente-opposto deve considerarsi costituito in
(33) RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 414 (a conclusione, nondimeno, di un discorso alquanto prolisso ed ispirato da esigenze più pratiche che sistematiche). Secondo questo Autore, inoltre, il termine di costituzione dell’opponente sarebbe di almeno dieci giorni prima dell’udienza di comparizione, nel caso in cui l’opponente stesso sia stato autorizzato dal presidente del tribunale ad abbreviare i termini ex art. 163 bis, 2° comma, c.p.c. (34) Cass. civ. 8 settembre 1992, n. 10291. Conf. Cass. civ. 19 aprile 1991, n. 4227; Cass. civ. 14 settembre 2004, n. 18448. In argomento v. pure Cass. civ., Sez. un., 18 giugno 1996, n. 5571; nonché con specifico riferimento al procedimento d’ingiunzione, Cass. civ., Sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20596.
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giudizio (35) [recte: in quell’unico giudizio, nel quale “la domanda è proposta col ricorso per ingiunzione e l’opposizione sostituisce la comparsa di risposta assumendone il contenuto e la funzione” (36)]; c) conseguentemente, non è mai configurabile una contumacia del creditore opposto (37). (35) Conf. BALBI, “Ingiunzione (procedimento di)”, cit., 18; CARRATTA, Profili sistematici della tutela anticipatoria, cit., 217 ss.; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 387-388 Una conferma di tale affermazione può – se si vuole – rinvenirsi nell’art. 647 c.p.c., il quale, annettendo alla mancata costituzione del solo opponente effetti assolutamente coincidenti con quelli divisati dall’art. 653, 1° comma, c.p.c. rispetto all’ipotesi di estinzione del processo di opposizione (id est: la definitiva esecutorietà del decreto), a ben considerare postula l’inapplicabilità allo stesso processo di opposizione dell’art. 307, 1° comma, prima parte, c.p.c. (“Se dopo la notificazione della citazione nessuna delle parti siasi costituita … ”) proprio perché la costituzione del creditore-opposto è già avvenuta; e, anzi, finisce con il rappresentare un’applicazione dell’art. 307, 3° comma, c.p.c., che ricollega l’estinzione (tra l’altro) alla mancata prosecuzione del giudizio, ad opera della parte “onerata”, nel termine perentorio stabilito dalla legge. (36) Cass. civ. 11 febbraio 1995, n. 1552. (37) Conf. BALBI, “Ingiunzione (procedimento di)”, cit., 18; VALITUTTI-DE STEFANO, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, cit., 388. Contra tra le piu recenti Cass. civ. 18 aprile 2006, n. 8955 (“La documentazione posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo è destinata, per effetto dell’opposizione al decreto e della trasformazione in giudizio di cognizione ordinaria, ad entrare nel fascicolo del ricorrente, restando a carico della parte l’onere di costituirsi in giudizio depositando il fascicolo contenente i documenti offerti in comunicazione. Ne consegue che in difetto di tale produzione, essa non entra a fare parte del fascicolo d’ufficio e il giudice non può tenerne conto. L’omessa produzione in primo grado non preclude alla parte opposta rimasta contumace in primo grado in un giudizio regolato dall’art. 345 c.p.c. nel testo previgente alla sostituzione operata dalla l. n. 353 del 1990, di produrre i documenti in appello, senza che sia necessario proporre appello incidentale ove il giudizio di primo grado sia stato definito con la conferma della pretesa posta a base dell’ingiunzione”); ed in dottrina RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, p. 450-451, il quale dalle norme in tema di riassunzione ex artt. 125 disp. att. c.p.c. e 303, ultimo comma, c.p.c. ritiene “di poter ricavare il principio per cui l’onere di costituirsi in giudizio sorge in relazione ad ogni (grado o) fase processuale che si presenti come eventuale rispetto all’atto che ha concluso (il grado o) la fase precedente” [il che tuttavia sembra eccessivo, posto che la stessa giurisprudenza in tema di riassunzione è sul punto incoerente: cfr. Cass. civ. 1° dicembre 1998, n. 12191 (“Alla luce del collegamento della disposizione contenuta nell’art. 303 c.p.c. con quella di portata generale di cui all’art. 125 disp. att. c.p.c., la parte destinataria dell’atto di riassunzione ha l’onere di rinnovare la costituzione pena la declaratoria di contumacia, anche in caso di precedente costituzione, con la conseguenza che va esclusa la possibilità di riproposizione dell’impugnazione incidentale in sede di riassunzione, dovendo considerarsi sufficiente la manifestazione della volontà di conservarne gli effetti”), i cui assunti sembrano smentiti Cass. civ. 23 settembre 2003, n. 14100 (“In tema di riassunzione del processo interrotto, i soggetti già costituiti nella fase precedente all’interruzione, i quali, a seguito della riassunzione ad opera di altra parte, si presentino all’udienza a mezzo del loro procuratore, non possono essere considerati contumaci, ancorché non abbiano depositato nuova comparsa di costituzione, atteso che la riassunzione del processo interrotto non dà vita ad un nuovo processo, diverso ed autonomo dal precedente, ma mira unicamente a far riemergere quest’ultimo dallo stato di quiescenza in cui versa”)].
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