RICORSO EX ART. 281 DECIES C.P.C.

RICORSO EX ART. 281 DECIES C.P.C.

Per il Sig.         ……………………………………………… nato a ………………. Il ……………….. (C.F. ………………………..), residente in ……………………………………………………. (o domicilio digitale), rappresentato e difeso dall’avv…………………………………., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, sito in ……………………….. , giusta procura ……..

Contro

–  Il Sig. ………………………… nato a …………..il ……………………(C.F. …………………………………………), residente in …………………. (o domicilio digitale)

OGGETTO: Ricorso per

in Fatto

(Esposizione chiara e specifica dei fatti)

in Diritto

(Esposizione chiara e specifica degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda)

****

Tutto ciò premesso, considerato e ritenuto, il Sig. ………………………, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato, chiede che

VOGLIA L’ON.LE TRIBUNALE

fissare, ai sensi dell’art. 281 undecies c.p.c. comma 2, con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione dei convenuti che deve avvenire non oltre 10 giorni prima dell’udienza,

CON ESPRESSO AVVERTIMENTO CHE

–       la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c.;

–       la difesa tecnica è obbligatoria in tutti i giudizi davano al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti all’art. 86 o da leggi speciali;

–       la parte sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato;

–       in caso di mancata costituzione si procederà in loro legittima e dichiaranda contumacia per ivi sentire accogliere le seguenti

CONCLUSIONI

…………………………………………

In via Istruttoria

(Indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti prodotti)

Ai sensi e per gli effetti dell’art. 163 n. 3bis cpc dichiara che:

la presente domanda non è soggetta a condizioni di procedibilità (O, IN ALTERNATIVA “che la presente domanda è soggetta a condizioni di procedibilità e pertanto in data ……………. è stata esperita mediazione/negoziazione come da documentazione allegata”.

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Grazie per aver votato!

La riforma Cartabia D. Lgs n. 149/2022 sull’Esecuzione forzata

La riforma Cartabia D. Lgs n. 149/2022 sull’Esecuzione forzata

Le nuove disposizioni in materia di esecuzione forzata introdotte dal d.lgs. 149/2022 si applicano ai procedimenti esecutivi iniziati dal 1° marzo 2023.

Occorre, fare riferimento:

– per l’espropriazione forzata, al perfezionarsi del pignoramento (art. 491 c.p.c.);

– per l’esecuzione in forma specifica per consegna di beni mobili, all’accesso dell’ufficiale giudiziario (art. 606 c.p.c.);

– per l’esecuzione in forma specifica per rilascio di beni immobili, al perfezionarsi della notifica dell’avviso di sloggio (art. 608, c. 1, c.p.c.);

– per l’esecuzione in forma specifica per obblighi di fare e di non fare, al ricorso al giudice dell’esecuzione per determinarne le modalità (art. 612 c.p.c.);

– per la nuova disciplina delle misure coercitive di cui all’art. 614-bis c.p.c., all’emanazione dei provvedimenti di condanna che le contengono (purché sia stata ritualmente formulata la relativa istanza, anche in sede di precisazione delle conclusioni), con la possibilità, dal 1° marzo 2023, di chiederle anche al giudice dell’esecuzione mediante ricorso ex art. 612 c.p.c., quando non siano state richieste nel giudizio di cognizione o quando il titolo esecutivo sia diverso da un provv.to di condanna (ad es., un atto pubblico o un verbale di conciliazione, giudiziale o stragiudiziale).

– La competenza per l’espropriazione di crediti della P.A., è attribuita ai tribunali nei quali ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede (art. 26-bis, c. 1, c.p.c. vigente dal 22 giugno 2022);

– Il creditore procedente ha l’onere di notificare l’avviso al debitore esecutato e al terzo pignorato di avvenuta iscrizione a ruolo del pignoramento presso terzi, a pena di inefficacia dello stesso e di estinzione ex officio della procedura (art. 543, c. 5 e 6, c.p.c. vigente dal 22 giugno 2022).

– È stata abrogata la formula esecutiva di cui all’art. 475, ult. co., c.p.c.;

– E’ stato aggiunto un quarto comma all’art. 474 c.p.c., il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti.

– L’art. 475 c.p.c., dispone che le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per i suoi successori, debbano essere formati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti.

– È stato  abrogato l’art. 476 c.p.c. sul rilascio di altre copie in forma esecutiva, così come modificati gli artt. 478, 479 e 488 c.p.c., nonché l’art. 153 disp. att. c.p.c. (sulle copie degli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, che debbono essere munite del sigillo del notaio o dell’ufficio al quale appartiene il pubblico ufficiale), abrogando l’art. 154 disp. att. c.p.c. (sul procedimento sanzionatorio per indebito rilascio di copie esecutive): il tutto in considerazione della forma telematica delle copie del titolo esecutivo giudiziale o notarile depositate nel fascicolo dell’esecuzione, anch’esso telematico, mantenendo comunque in capo al giudice il potere di richiedere al creditore procedente l’esibizione dell’originale del titolo o della copia autenticata, anche in considerazione del fatto che vi sono in circolazione ancora molti titoli non in copia digitale, bensì in (prima) copia analogica (id est, cartacea).

Possibilità per il creditore di intraprendere liberamente tutte le procedure esecutive che vorrà ai sensi dell’art. 483 c.p.c.estraendo dalla consolle copie dei provvedimenti giudiziali esecutivi, con attestazioni di conformità rese dal difensore a norma del nuovo art. 196-octies disp. att. c.p.c. («Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria»), oppure, in caso di titoli notarili, chiedendo copie conformi ulteriori al pubblico ufficiale che li abbia rogati e che le rilascerà munite del sigillo, come prescrive l’art. 153 disp. att. c.p.c., parimenti novellato.

In caso di abusi del creditore per eccesso di procedure esecutive a carico del debitore, il debitore potrà reagire ex ante proponendo opposizione a precetto con annessa istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ex art. 615, comma 1, c.p.c. o, post executionem, chiedendo la limitazione delle procedure esecutive (art. 483 c.p.c.) e la riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.).

L’abolizione della formula esecutiva ha comportato modifiche all’art. 654 c.p.c. sulla dichiarazione di esecutorietà del decreto ingiuntivo, dovendosi dare atto nel precetto unicamente del provvedimento che ha disposto tale esecutorietà e non più della data di apposizione della formula esecutiva, e all’art. 663 c.p.c. sull’ordinanza di convalida di sfratto per mancata comparizione o per mancata opposizione dell’intimato, senza più neppure la necessità di attendere trenta giorni ove l’intimato non sia comparso, giusta quel che prevedeva l’abrogato c. 2 dello stesso art. 663 c.p.c.

L’istanza per la ricerca telematica dei beni da pignorare (art. 492-bis, c.p.c.) sospende automaticamente il termine di efficacia del precetto (90 giorni dalla notificazione, non soggetti a sospensione feriale), che riprende a decorrere una volta acquisite le informazioni tramite banche dati: dopo la notifica del precetto e il decorso del termine dilatorio di 10 giorni, l’istanza potrà essere formulata direttamente all’ufficiale giudiziario; nelle more andrà presentata sempre al presidente (della sezione esecuzioni) del tribunale o al suo delegato.

Se l’istanza per le ricerche telematiche venga presentata dopo la notifica del precetto (e dopo il decorso del termine di 10 gg previsto dall’art. 482 c.p.c.) è stata soppressa la necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale, in quanto mero controllo formale, non diverso da quello che l’ufficiale giudiziario già svolge prima di procedere al pignoramento. Peraltro, l’ufficiale giudiziario ha già il potere di ricercare i beni del debitore (art. 492, commi 4, 5 e 7, c.p.c., nonché art. 513 c.p.c.). Tale soppressione, ridurrà notevolmente il carico dei presidenti delle sezioni esecuzioni dei tribunali, dato che il numero delle richieste di autorizzazione è molto elevato e in costante crescita. 

La disciplina delineata dal riscritto art. 492-bis c.p.c.notificato il precetto e decorso il termine dilatorio di dieci giorni dal perfezionarsi della notifica, prevede che, su istanza del creditore, l’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio o (in subordine) la dimora oppure (per gli enti) la sede, verificata la regolarità dell’istanza, munito del titolo esecutivo e del precetto, proceda alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.

Se la richiesta di ricerca telematica preceda la notifica del precetto o quando ancora non sia spirato il termine dilatorio di dieci giorni di cui all’art. 482 c.p.c. (ipotesi  marginale), è mantenuta la previsione relativa alla necessità dell’autorizzazione da parte del presidente del tribunale (o di un magistrato da lui designato: usualmente il presidente della sezione esecuzioni), posto che in tali casi occorre valutare anche il presupposto dell’urgenza.

Il termine di efficacia del precetto (90 gg, non soggetti a sospensione feriale) rimane sospeso ipso iure dalla proposizione dell’istanza, tanto nel caso in cui sia presentata all’ufficiale giudiziario (nuovo I c. dell’art. 492-bis c.p.c.), quanto nel caso in cui sia stata formulata al presidente del tribunale (nuovo secondo c. ’art. 492-bis c.p.c.), ovviamente a precetto già notificato e fintanto che non sia funzionante il sistema di accesso alle banche dati operata direttamente dall’ufficiale giudiziario.

La sospensione ipso iure del termine opera per tutta la durata del subprocedimento di cui all’art. 492-bis c.p.c., fino alla comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti dell’istanza o al rigetto dell’istanza presentata al presidente del tribunale oppure fino alla comunicazione del processo verbale di cui al quarto c. dello stesso art. 492-bis c.p.c., contenente le risultanze dell’accesso effettuato dall’ufficiale giudiziario alle banche dati dell’anagrafe finanziaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e degli enti previdenziali.

La comunicazione da parte dell’ufficiale giudiziario, è necessaria per poter determinare con certezza il momento nel quale il termine di efficacia del precetto riprende il suo corso. Inoltre, per evitare possibili contestazioni mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, c. 2, c.p.c., è stato introdotto un ultimo c. all’art. 492-bis c.p.c., nel quale è previsto che, al fine di verificare il rispetto del termine di novanta giorni dalla notifica del precetto, previsto a pena di inefficacia del pignoramento, il creditore, nel caso di sospensione di tale termine per effetto delle ricerche telematiche, con la nota d’iscrizione a ruolo depositi, con le stesse modalità e nei medesimi termini, l’istanza, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, nonché la comunicazione del verbale con le risultanze dell’accesso dell’ufficiale giudiziario alle banche dati  dell’anagrafe finanziaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e degli enti previdenziali, oppure la comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti dell’istanza o il provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza.

E’ stato introdotto un nuovo ult. c. all’art. 492 c.p.c. , nel quale si prevede che, nell’ipotesi di cui all’art. 492-bis c.p.c., l’atto o il verbale di pignoramento debba contenere l’indicazione della data di deposito dell’istanza di ricerca telematica dei beni, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, e la data di comunicazione del processo verbale con le risultanze dell’accesso dell’ufficiale giudiziario alle banche dati dell’anagrafe finanziaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e degli enti previdenziali di cui allo stesso art. 492-bis, c. 4, c.p.c., oppure la data della comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti o del provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza, ai sensi dell’art. 492-bis, c. 3, c.p.c., anche in tal caso allo scopo di evitare che il debitore, ignaro della sospensione del termine di efficacia del precetto, proponga opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, c. 2, c.p.c., sostenendo l’intervenuta perenzione del precetto.

– La documentazione ipo-catastale o la certificazione notarile sostitutiva vanno depositate entro il termine di 45 gg dal pignoramento, quale previsto per il deposito dell’istanza di vendita, salvo proroga di ulteriori 45 gg (art. 567 c.p.c.).

– Il custode dell’immobile pignorato è nominato contestualmente alla nomina dello stimatore e i due ausiliari cooperano nel verificare la completezza e l’esattezza della documentazione ipo-catastale (art. 559 c.p.c.).

– La disciplina sulla liberazione dell’immobile pignorato è stata nuovamente riscritta: allorché il debitore non occupi l’immobile pignorato o questo sia detenuto da un terzo senza titolo o con un titolo inopponibile alla procedura, l’ordine di liberazione viene emesso nel momento in cui è disposta la vendita; quando l’immobile è occupato dal debitore, salvo che questi o i suoi familiari violino gli obblighi inerenti al bene staggito, l’ordine di liberazione viene emesso contestualmente al decreto di trasferimento; l’ordine viene eseguito direttamente dal custode, senza osservare le formalità dell’esecuzione per rilascio di immobile  (art. 560 c.p.c.).

– È stata introdotta la «vendita diretta», per consentire al debitore di reperire un acquirente dell’immobile, purché ciò avvenga senza frode ai creditori e senza procrastinare la procedura (artt. 568-bis e 569-bis c.p.c.).

– Sono previsti schemi ‘standardizzati’ per la relazione di stima e per gli avvisi di vendita su modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione ed è imposta all’aggiudicatario un’autocertificazione in ossequio alle norme in materia di antiriciclaggio.

– Vengono disciplinati i requisiti di iscrizione all’elenco, le verifiche, l’aggiornamento, la rotazione e i limiti agli incarichi dei professionisti delegati alle vendite (artt. 179-ter e 179-quater disp. att. c.p.c.).

– È ampliato il novero delle attività demandate al professionista delegato (art. 591-bis c.p.c.), i cui atti sono sottoposti a reclamo al giudice dell’esecuzione entro il termine perentorio di 20 gg dalla loro conoscenza legale (art. 591-ter c.p.c.); avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione è proponibile opposizione agli atti esecutivi (art. 617, c. 2, c.p.c.).

– Il progetto distributivo e i pagamenti sono curati dal professionista delegato, sotto il controllo del giudice dell’esecuzione, salvo che sorgano controversie distributive ex art. 512 c.p.c., la cui soluzione è rimessa al giudice dell’esecuzione (artt. 596, 597 e 598 c.p.c.).

– Sono stati introdotti limiti temporali alle misure coercitive per il caso di ritardo nell’adempimento, integrati i criterî di determinazione quantitativa del loro importo e si è prevista la possibilità di chiederle al giudice dell’esecuzione, quando non siano state richieste al giudice della cognizione o per titoli esecutivi diversi dai provvedimenti di condanna, purché relativi a crediti non pecuniari (art. 614-bis c.p.c.).

«Con un primo intervento viene modificata la competenza per territorio nei procedimenti di espropriazione forzata di crediti nei confronti della P.A.». La modifica introdotta, conciliando il nuovo criterio del foro del creditore con il principio del foro erariale, radica la competenza nel foro dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, consentendo così una ragionevole distribuzione delle controversie tra diversi tribunali distrettuali». La modifica della competenza si applica alle procedure esecutive promosse a partire dal 22 giugno 2022, :

– sostituisce al foro del terzo debitor debitoris il foro del creditore verso la P.A.;

– concentra le procedure sul tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui il creditore risiede o ha domicilio o ha sede (in caso di ente): per esemplificare, quando il creditore verso la P.A. risieda o abbia domicilio o sede a Viterbo, competente per l’espropriazione del credito sarà il Tribunale di Roma; quando il creditore verso la P.A. risieda o abbia domicilio o sede a Como, competente per l’espropriazione del credito sarà il Tribunale di Milano.

Per le persone fisiche il criterio della dimora è sussidiario, essendo invocabile solo quando residenza o domicilio siano ignoti (cfr. l’art. 18 c.p.c.); ritenere che il creditore possa procedere in executivis in qualunque luogo abbia una dimora, magari una seconda casa di vacanza, significa consegnare il criterio di competenza al più assoluto arbitrio.

Stante la demanialità e, dunque, l’impignorabilità di gran parte dei beni della P.A., il pignoramento delle somme della P.A. è il modo più efficace e, dove possibile, rapido per conseguire il pagamento dei crediti vantati verso la stessa, in forza di titoli esecutivi che vanno notificati 120 gg prima di poter intimare il precetto, a pena di nullità del precetto e di inammissibilità dell’azione esecutiva, rilevabile anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione. Scaduto tale termine, il creditore potrà intimare il precetto e, decorso il termine dilatorio di dieci giorni, chiedere il pignoramento o proporre dinanzi al TAR il giudizio per l’ottemperanza ex artt. 112 ss. c.p.a, mediante nomina di un commissario ad acta, che compia in luogo della P.A. gli atti amministrativi necessari ad adempiere.

La l. n. 720 del 1984 ha istituito il sistema di tesoreria unica, imponendo a enti e organismi pubblici in genere l’obbligo di mantenere le proprie disponibilità liquide o le eccedenze di cassa esclusivamente in contabilità speciali o conti correnti infruttiferi presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato. A istituti di credito convenzionati sono affidate le funzioni di tesorieri o cassieri degli enti e degli organismi pubblici soggetti al sistema della tesoreria unica. Gli istituti di credito convenzionati effettuano, nella qualità di organi di esecuzione degli enti e degli organismi suddetti, le operazioni di incasso e di pagamento a valere sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.

La disciplina sulla tesoreria unica si basa sul principio che il denaro pubblico deve uscire esclusivamente dalla tesoreria dello Stato solo al momento della effettiva spesa da parte degli enti destinatari: questo sistema accentua il ruolo della Banca d’Italia, quale affidataria del servizio unico di tesoreria e gestore dell’intero sistema dei flussi finanziari connessi con gli incassi e i pagamenti di pertinenza del bilancio dello Stato e degli altri enti ricompresi nel settore pubblico.

Ai sensi dell’art. 14, comma 1-bis, d.l. n. 669 del 1996, decorso il termine dilatorio di 120 gg dal perfezionarsi della notificazione del titolo esecutivo, l’atto di precetto e il successivo pignoramento vanno notificati, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio dal giudice dell’esecuzione, presso la struttura territoriale dell’ente pubblico debitore, nella cui circoscrizione risiedono o hanno sede i soggetti privati interessati.

Ai sensi dell’art. 1-bis  l. n. 720 del 1984 sul sistema di tesoreria unica, i pignoramenti a carico di enti e organismi pubblici delle somme affluite nelle contabilità speciali intestate agli stessi si eseguono esclusivamente secondo le forme del pignoramento presso terzi, con atto di pignoramento ex art. 543 c.p.c. notificato all’azienda o istituto cassiere o tesoriere dell’ente od organismo contro il quale si procede, nonché al medesimo ente od organismo debitore. Il cassiere o tesoriere assume la veste del terzo pignorato, ai fini della dichiarazione di cui all’art. 547 c.p.c. e di ogni altro obbligo e responsabilità ex art. 546 c.p.c., essendo tenuto a vincolare l’ammontare per cui si procede nelle contabilità speciali con annotazione nelle proprie scritture contabili.

In base al Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, r.d. n. 827 del 1924 (artt. 498 e 502), le amministrazioni, enti, uffici o funzionari ai quali siano notificati pignoramenti relativi a somme dovute dalla P.A., sospendono l’ordine di pagamento delle somme ai quali i suddetti atti si riferiscono, dandone notizia alla Corte dei conti e all’amministrazione centrale. Quando gli atti contengano citazione a comparire davanti all’autorità giudiziaria, ne è subito avvertita l’Avvocatura dello Stato per i provvedimenti di sua competenza, comunicando gli elementi necessari perché possa essere resa la dichiarazione delle somme dovute, secondo le norme del codice di rito. Se gli atti non siano nulli o inefficaci per disposizione esplicita di legge o per vizio di forma, l’amministrazione centrale, sentita l’Avvocatura dello Stato, dispone che il pagamento venga effettuato. In caso contrario, non si dà corso al pagamento, fino a che non sia notificata sentenza dell’autorità giudiziaria passata in giudicato sulla validità degli atti o sull’assegnazione delle somme, salvo che il creditore pignorante non rinunzi formalmente al pignoramento notificato.

La normativa sulla tesoreria unica prevede dunque, quale unica forma di pignoramento del denaro della P.A., il pignoramento presso il tesoriere. In ragione di ciò, non sono ammessi pignoramenti presso le sezioni di tesoreria dello Stato e presso le sezioni decentrate del bancoposta anziché presso l’azienda o l’istituto cassiere o tesoriere dell’ente debitore, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Gli atti di pignoramento eventualmente notificati non determinano obbligo di accantonamento da parte delle sezioni di tesoreria dello Stato e presso le sezioni decentrate del bancoposta e non sospendono l’accreditamento di somme nelle contabilità intestate agli enti ed organismi pubblici.

Il tesoriere convenzionato con la P.A. non agisce in forza di un mandato o per effetto di delegazione di pagamento, bensì quale adiectus solutionis causa necessario, non potendo i pagamenti in denaro della P.A. aver luogo, se non, appunto, mediante il tesoriere, in forza della normativa applicabile al rapporto di concessione del servizio di tesoreria e per la natura pubblicistica del servizio svolto per conto della P.A. Il servizio convenzionato di tesoreria è, dunque, strumento necessario per il pagamento dei debiti dell’ente pubblico e veicolo per la corresponsione della liquidità necessaria a estinguere i debiti di questo.

Nel precedente testo dell’art. 26-bis, comma 1, c.p.c., la competenza funzionale veniva attribuita, in deroga alla regola generale dettata nel comma 2 del medesimo art. 26-bis c.p.c., all’ufficio giudiziario del luogo dove il terzo debitor debitoris aveva la residenza, il domicilio, la dimora (in via puramente sussidiaria) o la sede, cioè segnatamente all’ufficio giudiziario del luogo dove si trovava l’articolazione territoriale dell’azienda o istituto cassiere o tesoriere dell’ente od organismo pubblico debitore, che provvede in concreto all’espletamento del servizio di tesoreria, secondo le convenzioni fra P.A. e il cassiere o tesoriere incaricato, cioè segnatamente all’ufficio giudiziario del luogo in cui opera la filiale, la succursale o l’agenzia che ha in carico il rapporto che forma oggetto della dichiarazione da parte del terzo tesoriere convenzionato.

Tuttavia, sempre ai sensi del suddetto art. 14, c. 1-bis, d.l. n. 669 del 1996 e in deroga all’art. 26-bis, c. 1, c.p.c., per l’espropriazione di crediti a carico di enti o istituti esercenti forme di previdenza e assistenza obbligatorie e organizzati su base territoriale (come l’INPS e l’INAIL), la competenza funzionale appartiene non già al tribunale del luogo in cui ha residenza, domicilio, dimora o sede il terzo debitor debitoris, bensì al tribunale del circondario in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale in forza del quale la procedura esecutiva è promossa, a pena di improcedibilità rilevabile (recte di declinatoria di competenza rilevabile e pronunciabile) anche d’ufficio.

Il pignoramento presso terzi a carico della P.A. perde ipso iure efficacia, quando dal suo compimento è trascorso un anno senza che sia stata disposta l’assegnazione. L’ordinanza che dispone l’assegnazione dei crediti ai sensi dell’art. 553 c.p.c. perde ipso iure efficacia, se il creditore procedente, entro il termine di un anno dalla data in cui è stata emessa, non provvede ad agire per l’esazione delle somme assegnate. Norme queste dettate dall’art. 14, c. 1 bis, d.l. n. 669/1996 allo scopo di evitare che il vincolo pignoratizio si protragga per un tempo eccessivamente lungo nella contabilità dell’ente pubblico.

Accentrando in Roma il sistema di tesoreria unica, il criterio del debitor debitoris nell’ante vigente art. 26-bis, c. 1, c.p.c. finiva per concentrare tutte le procedure presso terzi a carico della P.A. negli uffici giudiziari della capitale. Di qui l’idea – stante il controllo demandato all’Avvocatura dello Stato sulle procedure di espropriazione di crediti a carico della P.A. ai sensi della su descritta disciplina – di affidare la competenza al foro dove essa ha sede, cioè presso i tribunali del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui risiede o ha domicilio o ha sede il creditore, anziché il terzo debitor debitoris, cioè il cassiere o tesoriere esercente il servizio per la P.A. in sede decentrata. E di qui anche il nuovo art. 26-bis, c. 1, c.p.c., introdotto dalla l. 206/2021 e vigente dal 22 giugno 2022, che concentra le procedure esecutive a carico della P.A. sul «giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede», cioè presso il tribunale della sede distrettuale, anziché fare riferimento al foro del terzo pignorato.

«All’articolo 543 cpc civile dopo il quarto comma sono aggiunti i seguenti:

«Il creditore, entro la data dell’udienza di citazione indicata nell’atto di pignoramento, notifica al debitore e al terzo l’avviso di avvenuta iscrizione a ruolo con indicazione del numero di ruolo della procedura e deposita l’avviso notificato nel fascicolo dell’esecuzione.  La mancata notifica dell’avviso di cui al precedente comma o il suo mancato deposito nel fascicolo della esecuzione determina l’inefficacia del pignoramento.

Qualora il pignoramento sia eseguito nei confronti di più terzi, l’inefficacia si produce solo nei confronti dei terzi rispetto ai quali non è notificato o depositato l’avviso. In ogni caso, ove la notifica dell’avviso di cui al presente comma non è effettuata, gli obblighi del debitore e del terzo cessano alla data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento».

La previsione mira a completare il disposto dell’art. 164-ter disp. att. del c.p.c. e che, al I comma, stabilisce che il creditore – entro cinque giorni dal termine prescritto per il deposito della nota di iscrizione a ruolo della procedura (nell’espropriazione presso terzi, 30 gg ex art. 543 c.p.c.) – provveda a dichiarare al debitore e all’eventuale terzo, “mediante atto notificato”, la sopravvenuta inefficacia del pignoramento derivante dal tardivo o mancato deposito.

La disposizione mira a consentire una rapida liberazione dei beni (soprattutto, dei crediti pignorati presso debitores debitorum pubblici, come INPS) già sottoposti a pignoramento, evitando il ricorso al giudice dell’esecuzione per sbloccare somme o cespiti non più vincolati alla soddisfazione del creditore in ragione dell’automatica cessazione degli obblighi di custodia in capo al terzo. Tuttavia, la disposizione non prevede alcuna sanzione (salvo, presumibilmente, una responsabilità aquiliana del creditore nei confronti dell’esecutato) e la mancata informazione al terzo non consente a quest’ultimo di avvedersi della già verificatasi liberazione dei beni. Occorre conseguentemente prevedere che anche dell’avvenuta iscrizione a ruolo – e, dunque, della permanenza del vincolo di pignoramento – sia reso edotto il terzo pignorato, stabilendo altresì che l’inottemperanza all’obbligo di avviso del terzo comporti il venir meno degli obblighi ex art. 546 del c.p.c. in capo a quest’ultimo a far data dall’udienza indicata nell’atto di pignoramento».

I nuovi c. 4 e 5 aggiunti all’art. 543 c.p.c. pongono a carico del creditore pignorante ulteriori adempimenti formali, dopo che era già stato onerato a depositare telematicamente copie attestate conformi del titolo esecutivo, del precetto e del pignoramento, iscrivendo a ruolo la procedura esecutiva presso terzi, entro un termine perentorio di trenta giorni dalla restituzione del pignoramento da parte dell’ufficiale giudiziario, innovando rispetto al sistema precedente, che prevedeva tout court la trasmissione del pignoramento direttamente dall’ufficiale giudiziario alla cancelleria, per la formazione del fascicolo d’ufficio, inserendo poi titolo esecutivo e precetto al momento della costituzione del creditore.

Il comma 4 dell’art. 543 c.p.c., che le legge 206/2021 ha arricchito di ulteriori due commi a far tempo dal 22 giugno 2022, così recita: «Eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’originale dell’atto di pignoramento, con il titolo esecutivo ed il precetto. Il creditore deve depositare telematicamente nella cancelleria dell’ufficio giudiziario competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla restituzione effettuata dall’ufficiale giudiziario. La conformità di tali copie è attestata dall’avvocato del creditore. Il cancelliere al momento del deposito forma il fascicolo telematico dell’esecuzione. Il pignoramento perde efficacia, quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti sono depositate oltre il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore».

Si confida che almeno per l’avviso da notificare al debitore basti il deposito telematico in cancelleriaquando questi abbia omesso di dichiarare la residenza o di eleggere domicilio nel circondario del giudice adito, giusta l’invito contenuto nell’atto di pignoramento, ai sensi dell’art. 492, comma 2, c.p.c. Quanto al terzo, si dovrà notificargli l’avviso di iscrizione a ruolo della procedura nei modi previsti ex lege, anche tramite posta elettronica certificata o a mezzo del servizio postale, ai sensi della l. 53/1994 sulle notificazioni in proprio degli avvocati muniti di procura, oppure con ufficiale giudiziario, affrettandosi poi a depositare il tutto nel fascicolo telematico della procedura prima dell’udienza di comparizione dinanzi al giudice dell’esecuzione, a pena di inefficacia del pignoramento e di estinzione dell’esecuzione, rilevabili anche d’ufficio.

Deposito della documentazione ipo-catastale entro il medesimo termine di 45 gg dal pignoramento previsto per il deposito dell’istanza di vendita (art. 567 c.p.c.)

Il d.lgs. 149/2022 ha modificato l’art. 567 c.p.c., riducendo i termini per il deposito della documentazione ipotecaria e catastale e per l’eventuale proroga di ulteriori 45 gg. Benché il termine per il deposito dell’istanza di vendita e quello per il deposito della documentazione ipo-catastale coincidano, deve escludersi che, in virtù della nuova formulazione della norma, da un lato, debba necessariamente depositarsi la documentazione unitamente all’istanza di vendita e, dall’altro lato, che il deposito della suddetta documentazione possa precedere l’istanza di vendita.

La novella impone solerzia agli utenti del servizio giustizia, a pena di inefficacia del pignoramento e di estinzione ex officio della procedura, con ordine di cancellazione della trascrizione del pignoramento medesimo.

Nomina del custode dell’immobile pignorato contestualmente a quella dello stimatore e controllo della documentazione ipo-catastale (art. 559 c.p.c.)

Il d.lgs. 149/2022 ha, modificato il secondo c. dell’art. 559 c.p.c., prevedendo la nomina anticipata del custode, contestualmente alla nomina dell’esperto e ribadendo la ristretta cerchia dei soggetti abilitati all’incarico, da individuare nell’istituto vendite giudiziarie (I.V.G.) o in uno dei professionisti delegabili per le operazioni di vendita, inseriti nell’elenco di cui all’art. 179-ter disp. att. c.p.c.; è stata poi inserita nel comma 2 una clausola di salvezza («Salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita»), in forza della quale, in situazioni eccezionali e dall’àmbito applicativo limitatissimo, al giudice dell’esecuzione è data facoltà di non provvedere alla sostituzione del debitore con un custode giudiziario.

Il successivo terzo comma dell’art. 559 c.p.c. recepisce i nuovi compiti del custode giudiziario (che si sommano a quelli analiticamente indicati nel D.M. n. 80/2009), cioè il controllo, in ausilio all’esperto stimatore, della completezza della documentazione di cui all’art. 567 c.p.c., con l’aggiunta di una relazione informativa in un termine che il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei poteri di direzione della procedura, avrà cura di fissare.

Disciplina della liberazione dell’immobile pignorato (art. 560 c.p.c.)

Il d.lgs. 149/2022, quanto ai presupposti e ai tempi di adozione dell’ordine di liberazione, ha confermato le due fattispecie dello stato di occupazione dell’immobile pignorato, a seconda che al momento del pignoramento: sia utilizzato dal debitore a fini diversi dall’abitazione oppure sia occupato da un terzo privo di titolo opponibile alla procedura, oppure sia abitato dal debitore e dai suoi familiari.

  1. Nel primo caso, l’emanazione del provvedimento di liberazione è obbligatoria ed è sottratta alla discrezionalità del giudice dell’esecuzione, con la previsione di un terminene ultra quem (nuovo settimo comma dell’art. 560 c.p.c.): «Il giudice dell’esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell’articolo 617, ordina la liberazione dell’immobile non abitato dall’esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni», anche qui senza valenza innovativa, ma meramente ricognitiva di quanto già statuito dall’art. 560 c.p.c. prima delle riforme del 2019 e di quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità.
  2. Nel secondo caso il debitore che, al momento del pignoramento, occupi l’immobile non perde la detenzione dello stesso sino al decreto di trasferimento; la permanenza nell’occupazione del cespite è ope legis, non abbisogna cioè (come accadeva invece nel sistema anteriore) di un’autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

A fronte di tale rilevante beneficio, sono posti a carico del debitore precisi doveri di collaborazione per il buon esito della procedura espropriativa, estesi anche ai familiari conviventi: la costante osservanza di tali obblighi rappresenta la condizione legittimante il permanere del debitore nel godimento dell’abitazione pignorata. Sono tipizzati i presupposti per l’adozione dell’ordine di liberazione, corrispondenti alla violazione di obblighi inerenti all’immobile e alle condotte pregiudizievoli, idonee a ledere l’interesse della procedura a realizzare il miglior risultato economico, diminuendo il valore dell’immobile o determinando una minore appetibilità dello stesso, o a recare danno alla posizione giuridica dell’aggiudicatario, provocando il sorgere di costi destinati a gravare a carico di quest’ultimo.

In tale configurazione l’ordine di liberazione non assume natura o veste sanzionatoria di qualsivoglia condotta non gradita del debitore, ma mira a garantire un corretto equilibrio tra gli interessi in gioco: da un lato, l’interesse a liberare l’immobile per realizzare la maggiore soddisfazione dei crediti azionati e, quindi, in ultima analisi, tutelare il credito; dall’altro lato, l’interesse del debitore all’abitazione, avente natura di vero e proprio diritto fondamentale, come tale idoneo a comprimere, seppur in via temporanea, il pieno esercizio della tutela esecutiva[16]. Proprio la salvaguardia del diritto all’abitazione, avente valenza di «diritto sociale», rientrante «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» come ratio della permanenza ex lege del debitore nell’immobile occupato a fini abitativi[17], ha consentito di sciogliere il nodo sulla possibilità di attribuire il beneficio anche al debitore single: la natura individuale del diritto all’abitazione e l’esigenza di evitare ingiustificate differenziazioni di trattamento, difficilmente compatibili con il principio di eguaglianza, hanno indotto a non recepire stricto sensu la locuzione «convivente» adoperata dal legislatore delegante, in guisa da riconoscere la permanenza sino al trasferimento anche al debitore che occupi da solo l’immobile.

Il nono comma (previgente sesto comma) dell’art. 560 c.p.c., individua una nuova situazione legittimante l’emissione dell’ordine di liberazione anticipata rispetto al trasferimento: il comportamento del debitore che rechi impedimento allo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice dell’esecuzione.

Con il nuovo decimo c. dell’art. 560 c.p.c., il custode attua il provvedimento di liberazione dell’immobile pignorato secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. c.p.c. sull’esecuzione in forma specifica per rilascio di immobile, successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario, salvo che questi non lo esentino.

Nell’ipotesi di immobile abitato dal debitore, con il nuovo ottavo c. dell’art. 560 c.p.c. si è precisato, che l’ordine di liberazione costituisce provvedimento autonomo e separato, emesso (salvi i casi di ordine anticipato per comportamenti violativi del debitore) contestualmente alla pronuncia del decreto di trasferimento. Il regime dell’ordine di liberazione è, dunque, self-executing, cioè esecutivo, con effetti diversi dal decreto di trasferimento (che, comunque, è e resta titolo esecutivo in favore dell’aggiudicatario, da azionare nelle forme della procedura per rilascio di immobile ex artt. 605 ss. c.p.c., attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. c.p.c., con l’attribuzione al custode di un’ultrattività della funzione, limitata alla materiale liberazione di un immobile divenuto di proprietà di altri e, quindi, non più soggetto al munus custodiale.

La vendita diretta (artt. 568-bise 569-bis c.p.c.)

Una tra le maggiori novità della riforma dell’esecuzione forzata, ha lo scopo di favorire una “liquidazione ‘virtuosa’ e rapida attraverso la collaborazione del debitore”, facendo attenzione a non allungare “infruttuosamente i tempi processuali” e ad evitare che siano perpetrate “frodi in danno dei creditori”.

Due criticità.

La prima è quella del rapporto tra questa nuova “vendita immobiliare” e l’udienza disciplinata dall’art. 569 c.p.c., che costituisce sostanzialmente l’unica udienza dell’espropriazione immobiliare. La proposizione dell’istanza non può certamente determinare il venire meno di tale udienza, giacché in questa il giudice dell’esecuzione, oltre a fissare i termini per la vendita ordinaria (art. 569, 3° c., c.p.c.), alla quale la vendita c.d. diretta sarebbe alternativa, nel contraddittorio delle parti, (a) svolge i necessari accertamenti prodromici alla vendita, tra cui quello di verificare che il creditore procedente abbia effettuato le notificazioni previste dall’art. 498, 3° c., c.p.c., (b) provvede sulle opposizioni agli atti, (c) determina, ai sensi dell’articolo 568 c.p.c., il prezzo base all’esito dell’iter dettato dall’art. 173-bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c. ovvero delega il professionista a tale incombenza sempre all’esito del predetto iter, ai sensi dell’art. 591-bis, 3° c., n. 1), c.p.c. (disposizione quest’ultima pressoché inutilizzata), (d) fissa l’udienza prevista dall’art. 499, 5° c., c.p.c.

Inoltre, l’udienza ex art. 569 c.p.c. è “spartiacque” per l’intervento tempestivo dei creditori ai sensi degli artt. 499, 2° c., 564 e 565 c.p.c., nonché per proporre l’opposizione all’esecuzione fondata su fatti antecedenti, ai sensi dell’art. 615, 2° comma, seconda parte, c.p.c., quando nel corso della medesima viene disposta la vendita.

La seconda criticità è costituita dal “prezzo base” al di sotto del quale l’offerta della vendita c.d. diretta è inammissibile. Infatti, considerato che il prezzo base, come detto, è determinato dal giudice dell’esecuzione all’udienza ex art. 569 c.p.c., all’esito dell’iter scandito dall’art. 173-bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c., nel termine ultimo per la proposizione dell’istanza per la vendita c.d. diretta (10 gg prima della udienza), il medesimo non è stato ancora determinato. Né l’ipotesi di sdoppiare l’udienza, fissando la prima solo per la determinazione del prezzo base, avrebbe pregio, considerato che ciò implicherebbe un’inutile e irrazionale perdita di tempo in ogni procedura solo in funzione della remota eventualità che il debitore proponga la predetta istanza. Del resto, nella prassi, i tempi di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. sono scanditi dai tempi necessari all’esperto per la valutazione del compendio immobiliare oggetto dell’espropriazione forzata.

Nemmeno è ipotizzabile prevedere che in caso di istanza per la vendita c.d. diretta (10 gg prima dell’udienza), in pieno iter per la determinazione del prezzo base (ai sensi dell’articolo 173-bis, 4° comma, le parti possono depositare all’udienza note purché queste siano state trasmesse all’esperto almeno 15 gg prima, per consentire al medesimo di replicare in udienza), il “prezzo base” diventi quello determinato dall’esperto nella relazione di stima.

Di qui l’esigenza di prevedere che, da un lato, dopo la proposizione dell’istanza di vendita diretta da parte del debitore l’udienza di cui all’articolo 569 c.p.c. si tenga comunque, dall’altro, che l’offerta di acquisto depositata unitamente all’istanza del debitore non più tardi di 10 gg. prima dell’udienza debba essere integrata (unitamente alla cauzione) nel caso in cui, all’udienza, il prezzo base determinato dal giudice ai sensi dell’articolo 568 c.p.c. sia superiore al valore determinato nella perizia di stima e, conseguentemente, all’offerta.

Questa soluzione ha il pregio di superare entrambe le criticità in precedenza indicate, ma la vendita c.d. diretta, nella quale è prevista la pubblicità dell’offerta ai sensi dell’art. 490 c.p.c. e la procedura competitiva tra più offerenti, non sarebbe molto diversa dalla vendita ordinaria di cui all’art. 569, 3° comma, c.p.c., anche con riferimento ai tempi di attuazione, considerando, tra l’altro, che con la riforma il professionista delegato è tenuto in un anno ad esperire almeno tre tentativi di vendita.

Il procedimento avrebbe, quindi, una scarsissima appetibilità per il debitore in alternativa alla vendita ordinaria.

Se poi si considera che la legge delega prevede la liberazione dell’immobile, ancorché abitato dal debitore con la sua famiglia, in termini ristrettissimi, a pena di decadenza dall’istanza, allora è evidente che le prospettive di impiego dell’istituto sarebbero del tutto nulle. Nel caso probabilissimo di accordo tra l’offerente e il debitore affinché quest’ultimo possa continuare ad abitare l’immobile con la sua famiglia, si verificherebbe l’assurdo che il medesimo sarebbe tenuto a lasciare l’immobile libero da persone e da cose, per poi rientrare dopo pochi mesi con le persone e le cose.

Non si comprende per quale ragione il debitore dovrebbe preferire la vendita diretta, con offerta formulata al prezzo base e assoggettata alla procedura competitiva, in cui è tenuto entro trenta giorni a liberare l’immobile abitato con la sua famiglia, anziché la vendita ordinaria con offerta dell’interessato “non ostile” a prezzo minimo (ossia ridotto del 25% rispetto al prezzo base), che, a differenza della vendita diretta, meglio gli garantirebbe la permanenza nell’immobile, dal medesimo abitato con la sua famiglia, sino al decreto di trasferimento e, quindi, senza soluzione di continuità. Peraltro, l’obbligo del debitore istante, a pena di decadenza, di liberare entro trenta giorni l’immobile anche se abitato con la sua famiglia, in deroga a quanto stabilito dall’art. 560, 8° comma, c.p.c. pone seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina.

La soluzione adottata è quella di un procedimento di vendita diretta a prezzo base senza la procedura competitiva in caso di accordo dei creditori titolati e di quelli indicati dall’articolo 498 c.p.c., manifestato anche tacitamente mediante mancata opposizione; questa soluzione offre al debitore un istituto appetibile, alternativo alla vendita ordinaria, senza alterare gli equilibri e senza pregiudicare gli interessi delle parti nel processo esecutivo.

È pur vero che con l’offerente “non ostile” e l’accordo con i creditori, il debitore può sempre sottrarre il bene alla vendita forzata, previa rinuncia agli atti dei soli creditori titolati (contestuale alla vendita e al pagamento nelle loro mani), senza necessità di ricorrere alla vendita diretta; è anche vero, però, che tale iter è spesso complesso, lungo ed articolato e in alcuni casi il debitore, soprattutto quando i creditori sono istituti bancari o soggetti similari, incontra con questi serie difficoltà finanche alla interlocuzione. La procedura della vendita diretta senza opposizione dei creditori ha il pregio di smussare tali asperità: il creditore troverebbe la sua convenienza non soltanto nella vendita a prezzo base senza ribassi, nemmeno il primo ribasso costituito dal prezzo minimo, ma soprattutto, nella drastica riduzione dei tempi del processo. D’altro canto, però, si è ben consapevoli che l’accordo extraprocessuale con i creditori, “a saldo e stralcio”, avrebbe, al pari della procedura di sovraindebitamento, il pregio di esdebitare il debitore, mentre la vendita diretta con l’accordo dei creditori, manifestato mediante la mancata opposizione, raggiungerebbe tale obiettivo sole se il prezzo offerto sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori.

Ad ogni modo, la vendita diretta con l’accordo dei creditori avrebbe il pregio di depotenziare anche l’iniziativa dilatoria del debitore, con la perdita del 10% della cauzione, considerando che in caso, appunto, di mancata opposizione dei creditori, l’espletamento della vendita, seguìto dal mancato versamento del saldo-prezzo, comporterebbe un rallentamento della procedura di non più di quattro o cinque mesi, a fronte dei 10/12 mesi della vendita diretta con procedura competitiva nel caso di opposizione dei creditori. Il che giustifica ulteriormente la mancata previsione della deroga alla disciplina prevista dall’art. 560, 8° comma.

Lo scostamento dalla legge delega della vendita senza la procedura competitiva si ha solo con l’accordo dei creditori manifestato mediante la mancata opposizione.

Del resto, tale istituto è già previsto nell’ordinamento per la vendita esattoriale dall’art. 52, comma 2-bis, d.p.r. 602/1972, come mod. d.l. 69/2013 (c.d. Decreto del fare), conv. in l. 98/2013, ancorché con l’adesione espressa dell’Agente di Riscossione che, considerando l’art. 54, è l’unico creditore agente della procedura.

Se invece il creditore titolato o quello indicato dall’art. 498 c.p.c. si oppone alla vendita senza procedura competitiva, si ripristina il sistema previsto nella legge delega.

In tale ultima ipotesi, la disciplina della vendita con la procedura competitiva prevede termini che complessivamente non si discostano da quelli indicati nella legge delega, ancorché con una diversa distribuzione interna dovuta alla impossibilità materiale di effettuare la pubblicità entro quindici giorni dal provvedimento del giudice dell’esecuzione, come previsto dalla legge delega. Peraltro, il termine di 30 gg successivo al termine per la presentazione delle offerte, previsto nella legge delega per convocare il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti per la deliberazione sull’offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti, può essere ridotto, anche in considerazione delle modalità telematiche delle vendite, senza pregiudizio alcuno per le parti.

Al fine di accelerare la chiusura della procedura di vendita si è altresì previsto che, su istanza dell’aggiudicatario, il giudice dell’esecuzione possa autorizzare il trasferimento del diritto mediante atto notarile da trasmettere ad opera del notaio rogante nel fascicolo della procedura esecutiva. In tal caso spetta comunque al giudice il compito relativo alla cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli».

Subprocedimento di vendita: schemi ‘standardizzati’ per la relazione di stima e per gli avvisi di vendita (art. 169-quinquies disp. att c.p.c., artt. 570, ult. comma, e 591-bis, ult. comma, ult. frase, c.p.c., artt. 173-bis e 173-quater disp. att. c.p.c.)

L’introduzione di schemi standardizzati per la redazione degli avvisi di vendita (nonché della relazione di stima dell’esperto stimatore),  è rivolta tanto al giudice dell’esecuzione, onde facilitare la necessaria interlocuzione con i propri ausiliari, tanto alla platea dei potenziali interessati all’acquisto dell’immobile staggito, dacché l’uniformità dei modelli adoperati senza dubbio agevola la lettura e la comprensione di due atti fondamentali per determinarsi all’offerta».

Inoltre, «in forza delle disposizioni in materia di c.d. vendita diretta si è reso necessario integrare la disciplina della delega ex art. 591-bis c.p.c. per adattarla al nuovo istituto, aggiungendo differenti previsioni secondo che la vendita avvenga senza opposizione dei creditori e conseguente procedura competitiva, o con l’opposizione dei medesimi. È stato poi introdotto, sempre all’art. 591 bis c.p.c., un nuovo comma quattordicesimo, allo scopo di collocare nella sede ritenuta più appropriata la disposizione attualmente contenuta al c. 9-sexies dell’art. 16-bis del decreto-legge 179/2012. Tale norma prevede che il professionista delegato a norma dell’art. 591-bis cpc, entro 30 gg dalla notifica dell’ordinanza di vendita, deposita un rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte; che a decorrere dal deposito del rapporto riepilogativo iniziale, il professionista deposita, dopo ciascun esperimento di vendita, un rapporto riepilogativo periodico delle attività svolte; che entro dieci giorni dalla comunicazione dell’approvazione del progetto di distribuzione, il professionista delegato deposita un rapporto riepilogativo finale delle attività svolte successivamente al deposito del rapporto di cui al periodo precedente. L’ultimo periodo del nuovo quattordicesimo c. dell’art. 591-bis c.p.c. precisa che i rapporti riepilogativi contengono i dati identificativi dell’esperto che ha effettuato la stima, con disposizione che ricalca quella attualmente contenuta al comma 9-septies dell’art. 16-bis decreto-legge 179/2012».

Si tratta,  di modifiche operative – introdotte anche nel corpo dell’art. 169-quinquies, ult. frase, disp. att. c.p.c. per i prospetti riepilogativi delle stime e delle vendite mobiliari – che, non fanno che rinviare a «modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione», come si legge nell’art. 570, ult. c., c.p.c. per l’avviso di vendita, nell’art. 591-bis, ult. c., ult. frase, c.p.c. per i rapporti riepilogativi del professionista delegato, nell’art173-bis, ult. c., disp. att. c.p.c. per la relazione di stima e nell’art. 173-quater, ult. frase, disp. att. c.p.c. nuovamente per l’avviso di vendita a cura del professionista delegato.

Già da tempo le c.d. buone prassi adoperano schemi standardizzati specialmente dopo l’avvento delle vendite telematiche, senza che si sentisse la necessità di tradurle in norme di legge.

Le disposizioni antiriciclaggio (artt. 585, 586 e 591-bisc.p.c.)

Per contrastare fenomeni di riciclaggio e di infiltrazione della criminalità organizzata, il d.lgs. 149/2022 ha, esteso alle procedure espropriative le disposizioni in materia di antiriciclaggio, apportando modifiche agli artt. 585, 586 e 591-bis c.p.c., onde applicare agli aggiudicatari di beni immobili oggetto di espropriazione forzata gli obblighi previsti dal d.lgs. 231/2007 a carico dei ‘clienti’. Con le modifiche agli artt. 585 e 586 c.p.c. è previsto che l’aggiudicatario, nel termine fissato per il versamento del saldo prezzo, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza delle responsabilità, civili e penali, previste per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’art. 22 d.lgs. 231/2007.

Il legislatore delegato non ha, invece, ritenuto di porre a carico del professionista compiti di controllo o verifica delle informazioni così acquisite, sia perché in tal senso non disponeva la legge delega, sia perché il d.lgs. 231/ 2007 prevede una serie di modalità di controllo delle dichiarazioni ad opera del professionista e di strumenti di indagine a disposizione di questo.

I requisiti di iscrizione all’elenco, le verifiche, l’aggiornamento, la rotazione e i limiti agli incarichi dei professionisti delegati alle vendite (artt. 179-ter 179-quater disp. att. c.p.c.)

L’art. 179-ter disp. att. c.p.c. sull’elenco dei professionisti (avvocati, commercialisti e notai) che, su delega del giudice dell’esecuzione, provvedono alle operazioni di vendita di beni mobili registrati e di beni immobili, rispettivamente ai sensi degli artt. 534-bis e 591-bis c.p.c., è stato ampiamente riscritto dalla riforma di cui al d.lgs. 149/2022, all’art. 179-quater disp. att. c.p.c., per garantirne l’affidabilità e la competenza e per assicurare la trasparenza e la rotazione nel conferimento degli incarichi.

Si legge, a tale proposito, nella Relazione illustrativa al d.lgs. 149/2022 che è stato «modificato l’articolo 179-ter disp. att. c.p.c. recante la disciplina dell’elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita, come sostituito dall’art. 5-bis, primo comma, della legge 119/2016, di conversione del decreto-legge 56/2016. In particolare la disposizione vigente, demanda ad un decreto non regolamentare del Ministro della giustizia di stabilire: a) gli obblighi di prima formazione per ottenere l’iscrizione nell’elenco; b) gli obblighi di formazione periodica da assolvere ai fini della conferma dell’iscrizione; c) la composizione e le modalità di funzionamento della commissione preposta alla tenuta dell’elenco, all’esercizio della vigilanza sugli iscritti, alla valutazione delle domande di iscrizione e all’adozione dei provvedimenti di cancellazione dall’elenco.

Tale decreto, peraltro, non è mai stato emanato, essenzialmente in ragione dell’incompletezza della disciplina di rango primario, che non attribuiva copertura normativa ad alcuni aspetti essenziali della materia che non potevano dunque essere rimessi neppure alla regolazione secondaria, peraltro espressamente esclusa dall’art. 179-ter che richiama un decreto non regolamentare.

Pertanto, dando attuazione al criterio di delega di cui all’art. 1, c. 12 e 16, si è colta l’occasione per disciplinare nel dettaglio la materia direttamente con norma primaria stabilendo che le modalità di tenuta e formazione dell’elenco, attribuita ad un comitato presieduto dal Presidente del tribunale o da un suo delegato e composto da un giudice addetto alle esecuzioni immobiliari e da un professionista iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine, a cui appartiene il richiedente l’iscrizione nell’elenco. Sono stati inoltre disciplinati nel dettaglio i requisiti necessari per la proposizione della prima domanda di iscrizione nell’elenco (c. 3, 4 e 5 dell’art. novellato) e per la conferma della medesima (commi 6 e 7).

Il c. 10, infine, attribuisce al comitato il potere di disporre la sospensione fino a un anno e, in caso di gravi ovvero reiterati inadempimenti, la cancellazione dall’elenco dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto dei termini per le attività delegate, delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione o degli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti.

Si stabilisce altresì che i professionisti cancellati dall’elenco a seguito di revoca della delega non possano essere reinseriti nel triennio in corso e nel triennio successivo».

È stato altresì novellato l’art. 179-quater disp. att. c.p.c., prevedendo che a nessuno dei professionisti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al dieci per cento di quelli affidati dall’ufficio e dal singolo giudice, in modo tale da garantire un’ampia rotazione dei professionisti iscritti all’elenco, in modo da evitare la concentrazione degli incarichi in capo a pochi professionisti.

L’attività del professionista delegato (art. 591-bisc.p.c.)

Al professionista delegato spetta il compito di esperire tempestivamente almeno tre tentativi di vendita l’anno, con eventuali ribassi predeterminati nell’ordinanza di conferimento della delega, entro il limite di un quarto del valore dell’immobile, ai sensi dell’art. 591, c. 2, c.p.c.; al giudice dell’esecuzione spetta di vigilare diligentemente, affinché i tempi siano rispettati e le procedure delegate di vendita siano esperite con regolarità e sollecitudine, sotto comminatoria di sostituzione del delegato, previa audizione delle ragioni del ritardo. Il quale professionista delegato, ove contesti il provvedimento di sostituzione, potrà chiederne sommessamente la revoca allo stesso giudice dell’esecuzione, le cui ordinanze sono sempre modificabili e revocabili finché non abbiano avuto esecuzione ai sensi dell’art. 487 c.p.c., e potrà spingersi sino a interporre opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, c. 2, c.p.c. entro venti giorni dalla conoscenza legale del provvedimento: ma in questo caso, come è evidente, si alienerà comunque le simpatie di chi ebbe a nominarlo, scegliendolo dall’elenco dei professionisti di cui all’art. 179-ter disp. att. c.p.c., subendo un probabile ostracismo.

Basti poi ricordare che, quando l’immobile resta invenduto e non vi sono domande di assegnazione, il giudice dell’esecuzione (recte, il professionista delegato, sulla scorta dell’ordinanza di vendita che, già lo preveda) fissa una nuova vendita, sempre con procedura senza incanto, stabilendo eventualmente diverse condizioni e diverse forme di pubblicità, per un prezzo base inferiore al precedente fino al limite di un quarto e, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà del valore dell’immobile, quale stimato con la perizia. Vi sarà, ovviamente, un nuovo termine (che la legge indica in misura non inferiore a 60 gg e non superiore a 90) entro il quale possono essere formulate le offerte d’acquisto (cfr. l’art. 591, comma 2, c.p.c.).

L’incanto potrà essere disposto soltanto qualora il giudice dell’esecuzione ritenga che la vendita con tale modalità possa aver luogo a un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, quale determinato nella perizia (art. 591, c. 1, ult. parte, c.p.c.): cioè, in pratica, mai.

Se anche dopo il quarto esperimento di vendita, con prezzo ridotto sino al limite della metà del valore di perizia, l’immobile resta invenduto, il giudice dell’esecuzione, previa audizione delle parti, potrà chiudere la procedura per infruttuosità, a norma dell’art. 164-bis disp. att. c.p.c. Misura questa che andrà adottata cum grano salis, quando risulti che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo. Le ingenti spese della procedura esecutiva immobiliare resterebbero, in caso di chiusura anticipata, a carico dei creditori che le hanno anticipate, i quali non solo non ottengono soddisfazione dei loro crediti, ma subirebbero in tal modo un pregiudizio assai grave. Perciò, la chiusura anticipata per infruttuosità presuppone l’estrema esiguità del realizzo, da stimare non soltanto in termini relativi, avendo riguardo alla percentuale del credito soddisfatto rispetto a quello azionato, ma anche in termini assoluti, avuto riguardo all’importo in concreto recuperabile, quantomeno a copertura delle spese affrontate per l’espropriazione.

Dunque che il d.lgs. 149/2022 ha interamente riscritto l’art. 591-bis c.p.c., ponendo soprattutto l’accento sulla necessità che il giudice dell’esecuzione, nell’ordinanza con cui dispone la vendita, fissi il termine finale per il completamento delle operazioni delegate al professionista, chiamato a svolgere entro un anno dall’emanazione dell’ordinanza un numero di esperimenti di vendita non inferiore a tre.

Segue nel terzo comma dell’art. 591-bis c.p.c. il lungo elenco delle attività demandate al professionista, sulle cui attività e sul cui operato vigila il giudice dell’esecuzione, con il potere di chiedere in ogni momento informazioni sulle operazioni di vendita e di sostituirlo, dopo averlo sentito, qualora non siano rispettati i termini e le direttive per lo svolgimento delle operazioni di vendita, salvo che il professionista delegato dimostri che il mancato rispetto della delega sia dipeso da causa a lui non imputabile (art. 591-bis, c. 11, c.p.c.). A tale funzione di vigilanza del giudice dell’esecuzione rispondono i rapporti riepilogativi telematici, previsti ora, in gran messe e ad ogni passaggio, dal già ricordato ultimo comma dell’art. 591-bis c.p.c., che riproduce la norma dianzi dispersa nel comma 9-septies dell’art. 16-bis d.l. 179/2012 sul processo civile telematico.

Il controllo sugli atti del professionista delegato o dell’ufficiale incaricato della vendita forzata (artt. 534-tere 591-ter c.p.c., art. 168 disp. att. c.p.c.)

Il nuovo sistema introdotto da d.lgs 149/2022  prefigura un meccanismo di progressiva stabilizzazione degli atti del delegato alla vendita (e di sanatoria dei vizi del relativo subprocedimento) che si forma prima dell’emissione del decreto di trasferimento: l’atto si stabilizza se non è impugnato nei venti giorni successivi alla sua conoscenza e, in caso di impugnazione, il meccanismo di stabilizzazione è quello generale dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. (ripristinando il rimedio analogo a quello previsto dalla disciplina anteriore alla riforma del 2015) e, quindi, al successivo controllo della Corte di Cassazione. Nella traduzione in articolato, per dissipare eventuali dubbi interpretativi, si è precisato che le modifiche interessano – seguendo pedissequamente la legge delega – il reclamo proposto da parti ed interessati avverso l’atto del professionista (e non già il reclamo motu proprio da questi sollevato al giudice dell’esecuzione, in quanto originato non da questioni di diritto bensì da mere difficoltà materiali), che il termine per il reclamo (venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza) ha natura perentoria. Oltre all’art. 591-ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare (cui testualmente era riferita la legge delega), ragioni di coerenza sistematica hanno imposto di novellare nello stesso senso anche i corrispondenti e speculari istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (art. 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (art. 168 disp. att. c.p.c.)».

Approvazione anche tacita del progetto distributivo e pagamenti demandati al professionista delegato (artt. 591-bis, 596, 597 e 598 c.p.c.)

Ai sensi dei novellati artt. 596, 597 e 598 c.p.c., il professionista delegato, entro 30 gg dal versamento del prezzo, provvede, secondo le direttive impartite dal giudice dell’esecuzione, alla formazione di un progetto di distribuzione, anche parziale (in tal caso, nei limiti del novanta per cento delle somme da ripartire), contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e lo trasmette al giudice dell’esecuzione mediante deposito nel fascicolo telematico. Entro dieci giorni dal suo deposito il giudice dell’esecuzione esamina il progetto di distribuzione e, apportate le eventuali variazioni, lo deposita a propria volta nel fascicolo telematico della procedura, perché possa essere consultato dalle parti, e ne dispone la comunicazione al professionista delegato, il quale fissa innanzi a sé, entro trenta giorni, l’audizione delle parti per la discussione sul progetto di distribuzione, con un preavviso di almeno dieci giorni. Resta ferma la possibilità di distribuire le somme anche a creditori che abbiano diritto al solo accantonamento o i cui crediti siano contestati, a fronte del deposito di fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, rilasciata da banche, società assicuratrici o intermediari finanziari, che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di rilascio di garanzie e che sono sottoposti a revisione contabile da parte di una società di revisione.

La mancata comparizione della parte equivale a tacita approvazione del progetto. Se il progetto è approvato o si raggiunge l’accordo tra tutte le parti, se ne dà atto nel processo verbale e il professionista delegato ordina il pagamento agli aventi diritto delle singole quote entro sette giorni. Se vengono sollevate contestazioni innanzi al professionista delegato, questi ne dà conto nel processo verbale e rimette gli atti al giudice dell’esecuzione, il quale provvede a risolvere la controversia distributiva ai sensi dell’art. 512 c.p.c., con ordinanza soggetta al consueto rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, c. 2, c.p.c., sospendendo in tutto o in parte la distribuzione, con ordinanza soggetta a reclamo al collegio, a norma degli artt. 624 e 669-terdecies c.p.c.

Questa ulteriore attività ‘privatizzata’ ed ‘esternalizzata’ al delegato, ivi inclusi i pagamenti da effettuare ai creditori ad istanza di un curatore fallimentare, dovrà essere controllata e verificata dal giudice dell’esecuzione con occhio assai vigile.

Limiti temporali alle misure coercitive, revisione dei criterî di quantificazione e conferimento del potere di disporle anche al giudice dell’esecuzione (art. 614-bisc.p.c.)

Il legislatore italiano, nell’art. 614-bis c.p.c., ha adottato come generale il modello delle misure coercitive civili mediante pagamento di somme di denaro a favore del creditore, quantificate unilateralmente dal creditore, salvo contestazione del debitore mediante opposizione a precetto o all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.

Per rafforzare l’efficacia esecutiva dei provvedimenti di condanna l’art. 614-bis c.p.c., ha esteso le misure coercitive a tutti i provvedimenti di condanna a prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro, indipendentemente dal carattere fungibile o infungibile di tali prestazioni. Perciò, quando le misure coercitive assistono prestazioni fungibili (di consegna di beni mobili, di rilascio di beni immobili, di fare fungibile o di distruggere), il creditore può procedere sia con l’esecuzione diretta (in forma specifica, a seconda dell’utilità perseguita), sia con la c.d. esecuzione indiretta, esigendo la somma di denaro complessivamente dovuta per i giorni di ritardo del debitore nell’adempiere alla prestazione (fungibile) cui è stato condannato in via principale.

Le misure coercitive sono autorizzate dal giudice della cognizione o della cautela, su istanza di parte, nello stesso provvedimento di condanna, salvo che ciò non risulti manifestamente iniquo, ad es. per la natura strettamente personale della prestazione principale dovuta dall’obbligato (si pensi a una prestazione artistica o di ricerca scientifica o di scrittura di un libro o di un articolo, ecc.).

Stranamente, le misure coercitive non si applicano nel campo dei rapporti di lavoro, privato e pubblico, subordinato e parasubordinato di cui all’art. 409 c.p.c. Scelta questa che appare del tutto irragionevole e affetta da evidente incostituzionalità, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., avuto riguardo ai principii di ragionevolezza e di effettività delle tutele. Un’esclusione tanto più paradossale alla luce del dibattito che a suo tempo sorse intorno all’obbligo, parzialmente infungibile, del datore di lavoro di reintegrare nel posto e nelle mansioni il lavoratore illegittimamente licenziato, nel cui contesto si propose di rinvenire nell’ordinamento o, comunque, di introdurre misure coercitive affinché tale obbligo fosse integralmente e puntualmente adempiuto.

La misura coercitiva è stabilita nel suo ammontare discrezionalmente dal giudice della cognizione o della cautela, tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile, senza alcuna predeterminazione legislativa di un massimo edittale, suscitando per questo dubbi di legittimità costituzionale. Il problema si è posto anche per la condanna al risarcimento dei ‘danni punitivi’ per abuso del processo, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., che parimenti non predetermina l’entità della sanzione: tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto che ciò non violasse l’art. 23 Cost. sul divieto di imporre prestazioni personali o patrimoniali, può essere imposta se non in base alla legge..

La previsione di cui al secondo comma del testo attualmente vigente è stata integrata con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. È infatti pacifico che l’esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l’obbligato all’adempimento volontario, in quanto l’inadempimento produce nella sua sfera giuridica conseguenze negative superiori ai vantaggi che egli trae dall’inadempimento. Pertanto, la misura coercitiva, per poter essere effettiva, deve essere commisurata principalmente a questo parametro. Il danno che l’inadempimento produce nella sfera giuridica dell’avente diritto assume invece un ruolo secondario, posto che l’esecuzione indiretta si aggiunge al – e non sostituisce il – risarcimento del danno prodotto dall’inadempimento.

Non è stato possibile determinare l’entità massima della sanzione pecuniaria, in quanto tale quantificazione esorbita da valutazioni di natura giuridica, investendo essenzialmente profili di politica legislativa. […]

Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva: il giudice di fissare un termine di durata della misura.

Tale previsione ha rilevanza nei casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilievo ove si tratti di un obbligo di astensione. In quest’ultimo caso, poiché la sanzione diviene operativa solo ove sia tenuto un comportamento contrario all’obbligo di astensione, non vi è necessità di assicurare che l’entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante.

Es.: se ad un soggetto è fatto divieto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria, di chiudere a chiave un cancello o di suonare la tromba dopo le 23, non ha senso prevedere un termine massimo di durata della misura esecutiva. In caso, invece, di obblighi positivi, può essere opportuno porre un limite massimo alla durata della misura coercitiva, e così alla somma complessiva che divenga dovuta. Non è infatti possibile che essa divenga perpetua. Es.: se ad un soggetto è prescritto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria pari a X euro per ogni giorno di ritardo, di consegnare un certo bene, non è concepibile che la sanzione pecuniaria assuma entità stratosferiche.

La seconda previsione della legge delega è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice, che pronuncia la condanna, il potere di concedere la misura coercitiva: ciò che produce l’inconveniente di penalizzare i titoli esecutivi diversi dalle sentenze di condanna, che pure la recente legislazione ha equiparato ai titoli esecutivi giudiziali – si pensi solo alla disciplina della mediazione e della negoziazione assistita – onde rendere appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Lo stesso deve dirsi per il lodo arbitrale.

In ossequio alla legge delega, che imponeva di attribuire tale potere al giudice dell’esecuzione, la norma richiama le disposizioni di cui all’esecuzione per obblighi di fare. Dopo la notificazione del precetto, l’avente diritto presenta il ricorso al giudice dell’esecuzione competente, il quale – sentite le parti – provvede a determinare la misura esecutiva.

Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l’opposizione agli atti esecutivi, mentre l’opposizione all’esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all’art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell’opposizione a precetto».

In conclusione, la riforma è intervenuta, anzitutto, per porre un limite all’entità delle misure coercitive e alla loro durata, affinché non divengano strumento di ‘speculazione finanziaria’ del creditore mediante accumulazione di crediti pecuniari verso il debitore. Il giudice deve, dunque, stabilirne la decorrenza e può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile.

Oltre a ciò l’adozione delle misure coercitive viene attribuita anche al giudice dell’esecuzione, quando si tratti di titoli esecutivi che contengano prestazioni diverse dal pagamento di somme di denaro. Si tratterà, dunque, di atti pubblici per obblighi di consegna o rilascio (le scritture private autenticate valgono quali titoli esecutivi solo per crediti pecuniari), di verbali di conciliazione giudiziale o in esito a procedure di mediazione o di accordi raggiunti a seguito di negoziazione assistita da avvocati, di lodi arbitrali, purché aventi ad oggetto prestazioni diverse da quelle di pagamento di somme di denaro, alle quali sole si applicano le misure coercitive ex art. 614-bis c.p.c.

La novella consente anche di sopperire alla mancata richiesta della misura al giudice della cognizione, chiedendola ex novo al giudice dell’esecuzione.

La forma dell’istanza è quella del ricorso ai sensi dell’art. 612 c.p.c., dopo la notificazione del precetto allo stesso giudice dell’esecuzione competente per l’esecuzione in forma specifica, sì da costringere il debitore renitente ad adempiere, onde evitare maggiori esborsi.

Il quantum della misura viene determinato dal giudice (della cognizione, della cautela o dell’esecuzione nei casi previsti), tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l’obbligato derivante dall’inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

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