La comparsa di risposta

  1. – Definizione

 Il nostro processo civile, benché tendenzialmente improntato al sistema dell’oralità, affida ampiamente alla scrittura la difesa delle parti.

La comparsa di costituzione e risposta si definisce, tradizionalmente, come l’atto difensivo scritto – simmetricamente contrapposto alla citazione e ad essa corrispondente – con il quale il convenuto illustra, per la prima volta, la sua posizione di fronte alla pretesa avanzata nei suoi confronti dall’attore. In buona sostanza l’atto con il quale il convenuto veicola la propria difesa.

La comparsa, tuttavia, non è solo di risposta ma anche di costituzione perché ex art. 166 c.p.c. il convenuto deve costituirsi in giudizio a mezzo procuratore – o personalmente nei casi consentiti dalla legge – almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione – o 10 gg. prima nel caso di abbreviazione dei termini – depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di risposta con la copia della citazione notificata, la procura e  i documenti che offre in comunicazione.

Il deposito della comparsa di risposta, pertanto, è essenziale per la costituzione del convenuto in quanto requisito indispensabile per il raggiungimento dello scopo. Il deposito in cancelleria, addirittura, è stato definito da autorevole dottrina come “lo strumento attraverso il quale l’atto processuale può dirsi perfezionato”.

Come l’atto di citazione, la comparsa di costituzione e risposta è doppiamente recettizia – nel senso che è destinata ad essere sottoposta al giudice previa comunicazione alle altre parti – e costituisce l’atto fondamentale della difesa del convenuto (si ricordi che l’art. 97 disp attuaz c.p.c. vieta l’utilizzo delle private informazioni).

  1. – Forma

I requisiti essenziali di forma – o contenuto formale – per la regolarità dell’atto sono quelli prescritti, in via generale, per tutti gli atti di parte dall’art. 125 disp. attuaz c.p.c. : la comparsa deve, perciò, anzitutto, contenere l’indicazione, oltre che dell’Ufficio giudiziario e delle parti, delle ragioni (o difese come specificamente richiede l’art. 167 c.p.c.) e delle conclusioni; inoltre, deve recare la sottoscrizione del difensore (o della parte, se sta in giudizio personalmente): tuttavia il vizio della mancanza di sottoscrizione può essere sanato dal raggiungimento dello scopo se non sorgono contestazioni sulla ritualità della costituzione (cass. 12.11.1998 n. 11.410).

La comparsa di costituzione deve essere, poi,  corredata dalla procura alle liti – la quale può risultare in calce all’atto stesso (senza che debba essere trascritta sulla copia destinata alla controparte) oppure anche in calce alla copia dell’atto di citazione notificato – e deve essere depositata in numero di copie necessario per le altre parti (art. 156 II° comma e 170 II° comma c.p.c.), con la conseguenza che il mancato deposito di tali copie comporta l’irricevibilità della costituzione ex art. 73 disp. attuaz. c.p.c.

  1. – Contenuto

 Particolarmente importante, è il contenuto dell’atto in esame poiché sotto questo profilo la comparsa concorre, insieme all’atto introduttivo del giudizio – ossia la citazione -,  all’individuazione del thema decidendum. Per questo motivo la riforma del 1990 ha inciso profondamente sul ruolo della comparsa di risposta chiedendo al convenuto di:

  1. A) proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;
  2. B) indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi;
  3. C) indicare i documenti che offre in comunicazione
  4. D) proporre le eccezioni
  5. E) formulare le conclusioni.

Art. 167 I° comma c.p.c.

  1. A) Le mere difese

Il primo comma dell’art. 167 c.p.c. allorquando recita che il convenuto deve  proporre tutte le sue difese indica le cd. mere difese consistenti nella semplice contestazione (ossia negazione dell’esistenza) dei fatti costitutivi della pretesa attrice (difese in fatto) o della stessa pretesa o delle disposizioni di legge (nel senso che questa manchi o preveda effetti diversi da quelli invocati in diritto – difese in diritto); in ciò le mere difese si differenziano dalle eccezioni che, viceversa, comportano la deduzione di fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto fatto valere dall’attore.

A.1) La non contestazione

Ma sempre il primo comma dell’art. 167 c.p.c. prevede che il convenuto “deve prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda”: tale disposizione, introdotta con la novella del 1990 ha carattere più pedagogico e/o esortativo che giuridico (assomiglia alle cd. leges minus quam perfectae del diritto romano ossia quelle leggi che non prevedevano alcuna sanzione in caso di violazione) in quanto l’inosservanza di quel disposto non è sanzionata né esime il giudice dalla verifica dell’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore. La dottrina non manca, però, di rilevare come l’uso del verbo “deve” per il compimento delle attività difensive comporta che l’onere non sia del tutto sfornito di sanzione: da cogliere non nella perdita del relativo potere ma unicamente sul piano del contegno sleale e scorretto (art. 88 c.p.c) ossia degli argomenti di prova desumibili da tale contegno ai sensi dell’art. 116 c.p.c., sia per la condanna alle spese, indipendentemente dalla soccombenza, ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

Non va, peraltro, ignorato che la contestazione tardiva potrà giustificare una tardiva ammissione delle prove offerte dall’attore sulle circostanze tardivamente contestate dal convenuto (art. 184 bis c.p.c.).

Esempio: un mediatore agisce in giudizio per ottenere il pagamento della provvigione dichiarando di essere iscritto all’albo dei mediatori – condizione necessaria pere ottenere tale pagamento – indicando tutti gli estremi (albo e numero di iscrizione): controparte solo all’esito dell’udienza di ammissione delle prove allorquando i termini decadenziale di cui all’art. 184 c.p.c., sono scaduti contesta l’iscrizione all’albo dei mediatori da parte dell’attore chiedendo fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni per la pronunzia di sentenza di rigetto della domanda.

La contestazione, tra l’altro, può avvenire anche in maniera generica dal momento che nell’art. 167 c.cp., a differenza di quanto previsto nel diritto del lavoro dall’art. 416 c.p.c.,  non si impone al convenuto di contestare i fatti in maniera precisa.

Si ricordi, però, che la non contestazione, in ogni caso, produce da subito effetti in quanto ha rilievo come presupposto dell’ordinanza di cui all’art. 186 bis c.p.c. (ordinanza per il pagamento delle somme non contestate): non contestazione da intendersi come mera assenza di difesa anche se la non contestazione deve provenire dalla parte costituita a nulla rilevando la contumacia.

Certo la questione della non contestazione è molto ampia e coinvolge il problema della disponibilità del diritto sostanziale come autentico potere processuale di determinare il campo di intervento del giudice; la non contestazione non è atto negoziale né prova legale – sicché non vincola il giudice nel ritenere veri i fatti non contestati – ma è esercizio di autoresponsabilità nel determinare il quid disputatum ed il thema probandum: con la conseguenza della possibilità per il giudice di ritenere veri i fatti non contestati e la preclusione alla contestazione tardiva.

Esempio: non contestazione della qualità di erede in causa ove tale status legittimi attivamente la parte:  la costante e consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione ha statuito che “Con particolare riferimento all’onere di provare la qualità di erede, gravante sul soggetto che in tale veste agisca in giudizio, si è in più occasioni affermato che tale onere viene meno ove la controparte abbia sollevato in proposito contestazioni solo nella comparsa conclusionale di primo grado, dopo aver accettato il contraddittorio senza alcuna eccezione al riguardo, così da rendere non controversa detta qualità”  (cfr. cass. sez. lav. 1.9.2003 n. 12.740 ove nella parte motiva così si scrive “Con particolare riferimento all’onere di provare la qualità di erede, gravante sul soggetto che in tale veste agisca in giudizio, si è in più occasioni affermato che tale onere viene meno ove la contro parte abbia sollevato in proposito contestazioni solo nella comparsa conclusionale di primo grado, dopo aver accettato il contraddittorio senza alcuna eccezione al riguardo, così da rendere non controversa detta qualità (Cass. n. 7758 del 1997; Cass. n. 5576 del 1997; Cass. n. 5640 del 1990; Cass.. n. 2356 del 1985; Cass. n. 2295 del 1980);

Peraltro va tenuto presente che:

  1. a) se la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il fatto stesso perché lo rende incontroverso (nel processo civile, infatti, le parti concorrono a delineare la materia controversa), la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice (cass. s.u. 17.6.2004 n. 11.353);
  2. b) la mancata contestazione deve riguardare la titolarità del diritto sostanziale mentre laddove la mancata contestazione riguarda questioni processuali allora è di ordine pubblico ed il rispetto del medesimo non può essere lasciato nella disponibilità delle parti (cfr. 23.12.2004 n. 23960 in tema di qualità di erede legittimato ad impugnare ma contra Cass. 29.9.1999 n. 10790, ma anche Cass. 20.8.1997 n. 7758 ove espressamente in motivazione si assume che “verificatasi la successione a titolo universale nella titolarità del diritto controverso, l’onere del soggetto, che si costituisce in giudizio come successore, di fornire la prova di tale sua qualità sorge unicamente in presenza di una specifica e tempestiva contestazione ad opera della controparte, la quale, accettando il contraddittorio senza alcuna eccezione al riguardo, rende non controversa detta qualità (Cass. 5640-90 e 2356-85); cass. 1997 n. 5576; 1990 n. 5640; 1985 n.2356; 1980 n. 2295).
  3. c) la mancata contestazione da parte del convenuto in comparsa di risposta può avere le conseguenze sopra delineate in quanto – e solo se – i dati fattuali interessanti sotto diversi profili la domanda attrice siano tutti esplicitati in modo esaustivo in atto di citazione.

** Diverse dalla non contestazione sono le ammissioni di fatti sfavorevoli alla stessa parte: se la comparsa è sottoscritta dalla parte tali ammissioni costituiscono prova in quanto confessioni se, invece, la comparsa è sottoscritta dal solo difensore allora bisogna tenere presente che per giurisprudenza costante del supremo collegio “le dichiarazioni del difensore, pur non avendo efficacia confessoria, costituiscono elementi indiziari idonei a sorreggere il convincimento del giudice, sia perché, riguardo alla prospettazione della realtà fenomenica, esse devono farsi risalire alla parte da cui proviene la narrazione dei fatti anteriori al processo, sia perché le medesime vengono fatte e sostenute da un soggetto professionalmente qualificato e ben edotto delle conseguenze giuridiche derivanti da quanto si afferma” (cfr. tra le tante cass. 12.12.1986 n. 7411).

  1. B) Le deduzioni probatorie

La mancata previsione di decadenze in tema di deduzioni probatorie (contrariamente a quanto previsto dall’art. 416 c.p.c.) si spiega facilmente con la circostanza che nel sistema a due fasi delineato dalla novella per il processo civile ordinario, le relative preclusioni scattano soltanto in un momento successivo alla prima udienza di trattazione una volta cioè che, chiusa la fase di allegazione dei fatti, si è definito e fissato il thema probandum.

Una tesi, peraltro ormai superata, sosteneva , invece, che laddove non fosse stato indicato alcun mezzo probatorio il convenuto non poteva avvalersi della richiesta di cui all’art. 184 c.p.c. in quanto la stessa facoltizza il convenuto ad indicare “nuovi” mezzi di prova presupponendo la pregressa richiesta di mezzi di prova: l’argomentazione, tuttavia, di natura meramente letterale contrastava con la struttura del processo di cognizione così come introdotto dalla novella del 1990 che distingue la fase della trattazione dalla fase cd. istruttoria (v. ormai per l’ammissibilità della richiesta di mezzi probatori cass. 25.11.2002 n.  16.571)

  1. C) La produzione documentale

Parimenti anche per la produzione di documenti non vi é alcuna preclusione se non quella prevista dall’art. 184 c.p.c.

  1. D) Le eccezioni

Tutte le eccezioni, anche  quelle processuali e di merito non rilevabili di ufficio (ossia le eccezioni in senso stretto) non sono da proporre a pena di decadenza nella comparsa di costituzione e risposta. Con la novella del 1995 l. n. 354, infatti, la suddetta barriera è stata differita con la prevista assegnazione di un nuovo termine non inferiore a 20 gg. prima dell’udienza di trattazione ex art. 180 II° comma c.p.c.

Giova, ora, però, aprire una breve parentesi sulle eccezioni trattandosi di attività defensionale tipica del convenuto.

Orbene, le eccezioni di merito non rilevabili di ufficio sono le allegazioni di tutti quei fatti impeditivi, modificativi o estintivi che in mancanza di un’esplicita manifestazione di volontà della parte non potrebbero essere posti dal giudice, quantunque provati, a fondamento della decisione. In molti casi è la stessa legge che riserva l’eccezione alla disponibilità della parte – es. eccezione di compensazione art. 1242 c.c., o eccezione di prescrizione art. 2938 c.c.; in altri casi, pur in mancanza di una previsione espressa (es. fattispecie artt. 1442 c.c. eccez. di annullabilità del contratto,  1449 in tema di rescissione, 1460 c.c. exceptio inadimpleti contractus, 1494 in tema di vizi, 1944 c.c., 1947 c.c. riguardo al beneficio dell’escussione a favore del fideiussore, 2268 c.c. relativamente al beneficio dell’escussione a favore del socio di snc). Il carattere di eccezione in senso proprio è segnalato dal loro consistere nell’allegazione di fatti che se riguardati a parte actoris attribuiscono un diritto potestativo o un’azione costitutiva: sono cioè quelle eccezioni corrispondenti a controdiritti del convenuto rivolti all’impugnazione del diritto dell’attore che potrebbero essere fatti valere separatamente, in via di azione autonoma, come es. la deduzione di annullabilità del contratto. In quest’ultimo caso la natura di eccezione in senso stretto si ricava dalla circostanza che la legittimazione a far valere in via d’azione il fatto estintivo, impeditivo o modificativo del rapporto sostanziale è esplicitamente riservata alla parte.

Per quanto riguarda le eccezioni processuali di norma è lo stesso codice di rito che disciplinando le singole ipotesi ne determina il regime di proponibilità, stabilendo il più delle volte nel caso di eccezione riservata, la necessità che questa sia contenuta a pena di decadenza nella comparsa di risposta o comunque nella prima difesa.

Tali eccezioni possono essere non rilevabili di ufficio (es. art. 38 II° comma c.c. eccez. incompetenza territoriale semplice; oppure art. 164 III° comma c.p..c per l’inosservanza dei termini minimi a comparire o per al mancanza dell’avvertimento di cui la comma VII°, l’art. 215 comma I° n. 2 per il disconoscimento della scrittura privata  o l’art. 307 c.p.c.) oppure rilevabili di ufficio (es. difetto di giurisdizione e incompetenza art. 38 II° comma c.c..)

Con riferimento ai vizi della citazione va rilevato che la costituzione del convenuto sana tali vizi e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali dal momento della prima notificazione (art. 164 III° comma c.p.c.).

  1. E) Le conclusioni

Per quanto non previste a pena di decadenza le conclusioni rappresentano pur sempre un elemento essenziale di contenuto-forma della comparsa di risposta per cui una totale loro assenza comporterebbe l’inammissibilità dell’atto stesso. La mancanza di preclusioni al riguardo rende, comunque, possibile il loro completamento nel corso dell’udienza di trattazione.

Art. 167 II° comma c.p.c.

 – Le attività da svolgersi a pena di decadenza

** 4.a – La domanda riconvenzionale

La domanda riconvenzionale è la domanda che il convenuto propone contro l’attore chiedendo un provvedimento sfavorevole all’attore che va oltre il rigetto della domanda principale. Con la domanda riconvenzionale il convenuto amplia il rapporto processuale instaurato dall’attore pur esercitando un’azione autonoma da esaminare e decidere anche se la domanda principale sia dichiarata inammissibile purchè, ovviamente la domanda riconvenzionale non venga proposta in via subordinata al solo caso di accoglimento delle domande attoree.

La riconvenzionale va distinta dall’eccezione riconvenzionale che si verifica  allorquando il convenuto introduce un’azione di accertamento  costitutiva al solo fine di paralizzare nei suoi elementi di fatto e di diritto la domanda proposta dall’attore. All’eccezione riconvenzionale, infatti, si applica la disciplina propria delle eccezioni in senso stretto.

Esempio: qualora la deduzione di un controcredito abbia il solo scopo di paralizzare la pretesa avversaria la compensazione assume il carattere di eccezione riconvenzionale, mentre se essa miri ad ottenere una pronunzia di condanna nei confronti della controparte allora la compensazione assume il carattere di domanda riconvenzionale.

L’art. 167 II° comma c.p.c. prevede che il convenuto deve proporre la domanda riconvenzionale – o anche più domande riconvenzionali – con la comparsa di costituzione e risposta. Ma attenzione, la domanda riconvenzionale deve essere proposta nella comparsa di costituzione e di risposta depositata nei venti giorni precedenti l’udienza di prima comparizione e non nella comparsa di costituzione e risposta depositata, per esempio, all’udienza: ciò a pena di decadenza.

Nel caso di differimento della udienza di prima comparizione ex art. 168 bis V° comma c.p.c. i venti giorni a ritroso si calcolano a partire dalla nuova data di udienza indicata dal giudice, mentre nel caso di rinvio della data della udienza di prima comparizione ex art. 168 bis IV° c.p.c. si calcolano a partire dalla data di udienza indicata dall’attore.

** Quid iuris nel caso dei giudizi di separazione e divorzio: qui, infatti, vi è la cd. fase presidenziale che si svolge avanti al Presidente del Tribunale e la successiva fase avanti al Giudice istruttore. Orbene nel caso in cui la parte resistente non richieda in sede di costituzione avanti al Presidente del Tribunale un assegno di mantenimento ha la possibilità di avanzare domanda riconvenzionale di assegno nei 20 gg. precedenti la prima udienza avanti al giudice istruttore? La risposta è affermativa anche se non va ignorato che la questione è di scarso interesse ben potendo ogni parte di tali giudizi, in qualsiasi stato del processo, a fronte di un mutamento della situazione patrimoniale, avanzare domande di natura economica, di modifica dei precedenti provvedimenti o di assegnazione ex novo di somma di danaro mensile.

La decadenza riguarda anche domande di accertamento incidentale (art. 34 c.p.c.) oltre che eventuali domande che il convenuto intendesse proporre nei confronti di altro convenuto nel quale caso secondo dottrina autorevole non occorre avvalersi del meccanismo che la legge prevede per la chiamata di terzo dal momento che il convenuto destinatario della nuova domanda è già parte: sarà perciò sufficiente il deposito nei termini della comparsa di risposta contenente la domanda salva la successiva notificazione della comparsa stessa nel caso di contumacia del convenuto destinatario della nuova domanda. Nella pratica giurisprudenziale, però, viene considerata e trattata come chiamata di terzo.

La decadenza dal potere di proporre la domanda riconvenzionale è rilevabile anche d’ufficio non potendosi estendere alla tardività della riconvenzionale la sanatoria per accettazione del contraddittorio che la giurisprudenza ante novella era solita ammettere con rimessione in termini da parte del convenuto. Tra l’altro recentemente la corte di cassazione ha ribadito che la rimessione in termini di cui all’art. 184 bis c.p.c. può essere invocata solo per la attività della fase istruttoria e non come principio generale del processo (cfr. anche Corte cost. 19.11.2004 n. 350 sulla rimessione in termini per decadenza verificatasi al di fuori del processo che ha ritenuto infondata la questione di costituzionalità dell’art. 644 c.p.c. laddove non prevede la rinnovazione dei termini per colui che ha notificato tardivamente il decreto ingiuntivo per causa a lui non imputabile, proprio in base al principio suddetto).

Il sotterfugio utilizzato nella pratica in caso di decadenza è quello per il convenuto di iniziare una nuova causa per chiedere poi la riunione della nuova causa alla vecchia.

Infine è discusso se il convenuto possa presentare domanda riconvenzionale successivamente ai termini previsti qualora l’interesse sorga dalle repliche dell’attore alla prima udienza: personalmente propendo per la risposta negativa stante il rigore del termine decadenziale.

Limiti alla domanda in riconvenzione

 A proposito di domanda riconvenzionale va tenuto presente che non ogni cumulo di azioni contrapposte è ammissibile ma solo quello in cui la controdomanda proposta dal convenuto nei confronti dell’attore nello stesso giudizio da quest’ultimo instaurato presenti un particolare vincolo di connessione con la domanda principale. Il vincolo, tale da differenziare la riconvenzionale stessa dal cumulo soggettivo, è costituito dal fatto  che la causa riconvenzionale si svolge tra le stesse parti della causa principale in posizione invertita ed il convenuto, appunto, non si limita a resistere ma propone una domanda autonoma che deve essere fondata, però, sul medesimo titolo dedotto in giudizio dall’attore o dipendente da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione; solo in presenza di tali presupposti ex art. 36 c.p.c. è possibile l’influenza modificatrice della competenza, In altri termini la riconvenzionale deve dipendere da fatti che siano collegati con i fatti costitutivi della domanda principale o con i fatti estintivi, modificativi o impeditivi introdotti in causa in forma di eccezione.

Per titolo dedotto in giudizio dall’attore si intende non solo la causa petendi ma anche, in genere, ogni rapporto giuridico ritenuto esistente o inesistente rispetto all’azione ed in genere ogni situazione cui faccia riferimento la domanda. La giurisprudenza ritiene sufficiente ai fini della sussistenza di dipendenza l’unicità del rapporto o della situazione giuridica da cui traggono origine le contrapposte pretese: in buona sostanza rileva il fatto originario costitutivo del rapporto.

Esempio: domanda principale svolta dal conduttore per riduzione del canone locativo alla misura legale e domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dei canoni proposta dal locatore.

Invece per domanda dipendente dal titolo che già appartiene alla causa quale mezzo di eccezione occorre che la domanda riconvenzionale sia fondata sul titolo della stessa eccezione sollevata e che questo titolo sia per di più autonomo rispetto a quello della domanda originaria altrimenti di ricadrebbe nella prima ipotesi.

Esempi:  eccezione di compensazione – condanna al pagamento della differenza; eccezione transazione – richiesta di adempimento; giudizio di divisione –  eccezione di appartenenza di un bene alla massa da dividere e richiesta di divisione di tale bene.

Da notarsi che la proposizione di una azione di accertamento non esclude l’esercizio di una domanda riconvenzionale di natura diversa : es. azione di condanna.

Secondo una giurisprudenza maggioritaria, però, la domanda riconvenzionale può essere proposta anche oltre i casi di connessione indicati dall’art. 36 c.p.c. purchè sussista un vincolo di collegamento con la domanda principale che renda opportuno il simultaneus processus e che non implichi uno spostamento di competenza.

 Casi di inammissibilità e/o improcedibilità della domanda riconvenzionale

Inammissibile è la domanda che non può essere proposta mentre improcedibile è la domanda che, proposta correttamente, non può più essere proseguita per il sopraggiungere di una situazione che ne impedisce la prosecuzione.

Spiegato quanto sopra, va ricordato che vi sono casi nei quali la domanda riconvenzionale non può essere proposta:

  1. a) quando il giudice della causa principale non è funzionalmente competente.

Esempio: il curatore fallimentare cita in giudizio un soggetto chiedendone la condanna al pagamento di una somma e costui non si limita ad eccepire in compensazione un proprio credito ma intende proporre domanda riconvenzionale di condanna del fallimento al pagamento. In tal caso la domanda riconvenzionale è improponibile in quanto spetta al giudice fallimentare che dovrà procedere all’ammissione o no al passivo di tale credito secondo la proceduta fallimentare;

  1. b) quando non sussistono le condizioni processuali

Esempi: in sede di giudizio di separazione personale dei coniugi non è possibile che il resistente avanzi domanda riconvenzionale di divisione dei beni in comunione in quanto la comunione si scioglie solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione (art. 191 c.c); in tema di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli e natanti per i quali vi è l’obbligo di assicurazione a norma della l. 990/1969, l’art. 22 subordina la proponibilità della azione risarcitoria alla richiesta di danno all’assicuratore nonché il decorso di 60 gg. da tale richiesta: ora tale norma trova applicazione (tenendo conto la ratio della stessa che è volta a favorire il soddisfacimento stragiudiziale delle istanze di risarcimento) anche con riguardo alla domanda riconvenzionale avanzata dal convenuto ( cass. s.u. 11.11.1991 n. 1206); in tema di contratti agrari l’art. 46 l. 203/82 assoggetta le controversie agrarie al tentativo di conciliazione ivi comprese le domande riconvenzionali; nel giudizio di opposizione allo stato passivo non è ammissibile la domanda riconvenzionale (cass. 1.8.1996 n. 6963 (qui sono ritenute preminenti le esigenze di celerità).

Infine dal combinato disposto degli artt. 703 e 704 c.p.c. si evince che non è ammissibile un’azione riconvenzionale petitoria in un giudizio possessorio.

Nel caso in cui si sia omesso o sia assolutamente incerto il titolo o l’oggetto della domanda riconvenzionale l’art. 167 II° comma c.p.c.  statuisce che il giudice rilevi la nullità anche d’ufficio e fissi al convenuto un termine perentorio per integrare la domanda. La sanatoria ha efficacia ex tunc sicché restano salvi i diritti acquisti anteriormente e le decadenze che si siano verificate.

– Il problema della domanda riconvenzionale nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Nel giudizio di  opposizione al decreto ingiuntivo – che inizia con un atto di citazione in opposizione – l’opponente, seppur formalmente attore in opposizione, è considerato sostanzialmente convenuto mentre l’opposto, seppur formalmente convenuto, in sostanza è considerato attore avendo iniziato la causa con il deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (in punto da ultimo cfr. cass. sez. lav. 4.8.2004 n. 14.962).

Ciò comporta che in tale giudizio  la cd. comparsa di risposta dell’opposto, di fatto, è una memoria di parte attrice in replica alle deduzioni svolte da parte opponente-convenuta.

 

Il problema, allora, è quello di verificare se ed in che termini parte opposta può svolgere domande riconvenzionali o chiamare in causa un terzo.

Orbene con riferimento al problema della domanda riconvenzionale va precisato che la domanda principale del giudizio di opposizione è la domanda introdotta con il ricorso per decreto ingiuntivo rispetto alla quale il creditore-ricorrente assume gli oneri, assertori e probatori, dell’attore, mentre il debitore opposto è gravato dell’onere di difesa, peculiare del convenuto sicché il creditore-opposto, non può valersi del potere di formulare domanda riconvenzionale  se non nei limiti della reconventio reconventionis, ex art. 183 comma 4 c.p.c., vale a dire qualora essa trovi fondamento nei fatti nuovi allegati dall’opponente con la proposizione di eccezione o di domanda riconvenzionale (in tal senso cass. sez. I 8.7.2004 n. 12.545).

Esempio: l’opponente si limita a contestare il debito senza avanzare domande riconvenzionali o eccezioni tali da giustificare la reconventio reconventionis e parte opposta, per contro, avanza domanda  riconvenzionale di condanna dell’opponente al risarcimento degli ulteriori danni da svalutazione monetaria e agli interessi anatocistici; tali domande devono ritenersi inammissibili in quanto domande nuove.

(con riguardo alla domanda da svalutazione monetaria: in tal senso cfr. cass. 17.3.1994 n. 2538 ove si precisa che “La domanda di risarcimento del danno ulteriore diverso da quello, già fatto valere, derivante dalla svalutazione monetaria, introducendo un nuovo tema di indagine, fondato su presupposti di fatto radicalmente diversi da quelli prospettati inizialmente, costituisce domanda nuova in considerazione della diversità del petitum e della causa petendi rispetto alla pretesa originaria”;

– con riguardo all’anatocismo cfr. cass. 7999/2003 che ha definito la domanda degli interessi sugli interessi come domanda nuova, autonoma e distinta rispetto a quella rivolta al riconoscimento degli interessi principali cfr. cass. 7999/2003).

Per inciso giova rilevare che nella comparsa di costituzione e risposta l’opposto può presentare anche istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto  ex art. 648 c.p.c. ed il giudice istruttore se l’opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione può concedere la provvisoria esecuzione.

** 4.b – La chiamata di terzo

art. 167 II° comma c.p.c.

Se il convenuto intende chiamare un terzo in causa deve farne dichiarazione nella stessa comparsa e provvedere ai sensi dell’art. 269 c.p.c.

Per la comprensione della disposizione è essenziale la sua integrazione con l’art. 269 II° comma c.p.c.. Dal combinato disposto di queste due norme emerge che il termine ultimo per la chiamata in causa di un terzo da parte del convenuto è costituito da un complesso di attività e cioè:

  1. a) dalla dichiarazione contenuta nella comparsa di risposta di voler chiamare un terzo;
  2. b) dalla contestuale richiesta al giudice di spostamento della prima udienza: per taluno tale domanda va effettuata nella forma del ricorso depositato nella cancelleria del giudice istruttore, ma nella pratica viene presentata in sede di conclusioni preliminari della comparsa di risposta;
  3. c) dal decreto del giudice istruttore di fissazione della data della nuova prima udienza – questa fissazione della nuova udienza si distingue dal differimento di ufficio dell’udienza previsto dall’art. 168 bis co. V° c.p.c. in quanto quest’ultimo avviene appunto d’ufficio -;
  4. d) dalla notificazione della citazione al terzo su istanza del convenuto nonché della comunicazione alle parti costituite del decreto con cui è fissata la data della nuova prima udienza.

Si noti bene che la chiamata di terzo non presuppone alcuna valutazione di comunanza di cause sicché il giudice deve fissare nuova prima udienza in modo che il convenuto riesca a notificare al terzo chiamato la citazione nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c..  Nel caso in cui ciò non sia stato possibile per fatto non imputabile al convenuto quest’ultimo può chiedere di essere rimesso in termini con fissazione di nuova prima udienza.

La procedura sopra indicata si applica sia quando il convenuto propone una vera e propria domanda nei confronti del terzo, facendo valere un proprio diritto nei confronti di questi, sia quando si limita ad una litisdenunciatio chiamando in causa il terzo al solo scopo di potergli opporre la sentenza che verrà pronunziata sull’originario oggetto del processo.

Inoltre va chiarito che la chiamata di terzo può essere effettuata dal difensore, tuttavia ove la citazione comporti la proposizione di una domanda nuova nei confronti del terzo – come accade nella chiamata in garanzia – è necessaria in tal senso una procura speciale se la volontà della parte non emerge chiaramente dalla procura originariamente conferita. (cass. 1983/942 e cass. 1981/5736). Ovviamente se il terzo che, pur essendo stato chiamato in causa da un difensore sfornito della procura a proporre istanze eccedenti l’ambito originario della lite, si costituisca in giudizio e, invece di eccepire la nullità dell’atto di chiamata, accetti il contraddittorio sul merito, non può più dedurre tale nullità (nè la stessa può essere rilevata d’ufficio dal giudice) nell’ulteriore corso del procedimento. (cfr. Cassazione civile, sez. II, 5 ottobre 2001, n. 12293).

– Il problema della chiamata di terzo nella comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Come sopra già illustrato nel giudizio di  opposizione a decreto ingiuntivo  l’opponente è il convenuto sostanziale e l’opposto è l’attore sostanziale sicché la chiamata di un terzo da parte dell’opposto non imporrà al giudice il differimento della prima udienza di comparizione senza alcuna possibilità di valutazione ma imporrà l’applicazione del disposto dell’art. 269 IV° comma c.p.c. che recita: “Ove a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta sia sorto  l’interesse dell’attore a chiamare in causa un terzo l’attore deve, a pena di decadenza, chiedere l’autorizzazione al giudice istruttore nella prima udienza. Il Giudice istruttore, se concede l’autorizzazione fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nei termini dell’art. 163 bis c.p.c.”.

Ne consegue, pertanto, che:

  1. I) l’opposto non può limitarsi a dichiarare di volere chiamare in causa un terzo ma deve essere autorizzato a ciò dal giudice;
  2. II) la valutazione del giudice deve riguardare la sussistenza o no della comunanza di causa (esempio: nel caso di contestazione da parte dell’opponente della titolarità attiva o passiva del rapporto dedotto in giudizio ovvero di domanda che, se proposta in via principale avrebbe consentito la chiamata in garanzia del terzo).

Quanto all’opponente, invece, la corte di cassazione ha statuito che essendo costui di fatto un convenuto deve pur sempre chiedere il differimento dell’udienza  laddove volesse chiamare nel giudizio un terzo. (Cfr. cass. civ. sez. I  27 giugno 2000 n. 8718: “In tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore, l’opponente quella di convenuto, ciò che esplica i suoi effetti non solo nell’ambito dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti. Ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per l’ingiunzione di pagamento ed il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta, così che l’opponente (cui è altresì preclusa, nella qualità di convenuto sostanziale, la facoltà di chiedere lo spostamento dell’udienza, nonché quella di notificare l’opposizione a soggetto diverso dal creditore procedente in ingiunzione) deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo).

La soluzione divisata dal supremo collegio, però, appare alquanto formalistica dal momento che non si comprende per quale motivo l’opponente che vuol chiamare un terzo in giudizio non può chiamarlo direttamente all’udienza dal medesimo fissata – tanto più che il giudice non ha alcun potere di sindacare la motivazione della chiamata – ma deve chiedere al giudice lo spostamento di tale udienza.

 Ulteriori attività da svolgere necessariamente con la comparsa di costituzione e risposta al fine di evitare la decadenza

°° art. 215 c.p.c. (Riconoscimento tacito della scrittura privata)

L’art. 215 c.p.c. recita che “la scrittura privata prodotta in giudizio si ha per riconosciuta se la parte comparsa non la disconosce o non dichiara di non conoscerla nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione”.

Cosicché se con l’atto di citazione l’attore produce documentazione il convenuto deve disconoscere tale documentazione a pena di decadenza con la comparsa di costituzione e risposta.

La tardività del disconoscimento, del resto, non è rilevabile di ufficio ma deve essere eccepita dalla parte interessata.

L’eccezione di tardività del disconoscimento resta, però, preclusa ove  la parte interessata chieda la verificazione della scrittura privata trattandosi di istanza incompatibile con la volontà di far valere la tardività del disconoscimento.

°°  La problematica dell’art. 38 I° comma c.p.c. (incompetenza per territorio)

Come noto, l’incompetenza per materia, per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’art. 28 (competenza opposizione esecuzione, procedimenti cautelari, procedimenti possessori, foro erariale, art. 12 d.lg. 50/1992 foro del domicilio del consumatore ) sono rilevabili, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza.

L’incompetenza per territorio fuori dai casi previsti dall’art. 28 c.p.c, invece, è eccepita a pena di decadenza nella comparsa di risposta. L’eccezione si ha per non proposta se non contiene l’indicazione del giudice che la parte ritiene competente.

Dal tenore letterale della norma sopra citata sembrerebbe che tale eccezione deve essere proposta a pena di decadenza con la comparsa di costituzione e risposta.

Sennonché  se si va a leggere l’art. 180 II° comma c.p.c., così come modificato dalla L. 535/1995 – che  ha differenziato la prima udienza di comparizione da quella di trattazione emerge che il convenuto ha un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima della udienza di trattazione per proporre “eccezione processuali e di merito che non sono rilevabili di ufficio” tra le quali rientra quella in oggetto.

Le due norme citate entrano, pertanto, in contrasto.

Una parte della dottrina nel tentativo di coordinarle ha ritenuto che l’eccezione di incompetenza territoriale de qua può essere eccepita nell’intervallo tra la prima udienza di trattazione e quella di comparizione mentre altra parte della dottrina obietta che tale interpretazione mal si concilia con il rigoroso disposto dell’art. 38 II° comma c.p.c. rimasto invariato e che impone di sollevare l’eccezione con la comparsa di costituzione e risposta.

Io credo che l’opinione più corretta sia quella di applicare alla fattispecie il disposto dell’art. 180 II° comma c.p.c. in quanto norma successiva rispetto all’art. 38 II° comma c.p.c. (in tal senso cfr. cass. 24.7.2000 n. 9692); tuttavia, onde evitare di incorrere nella decadenza, pare opportuno sollevare tale eccezione in comparsa di costituzione e risposta.

  1. Ulteriori attività che è opportuno siano svolte con la comparsa di costituzione e risposta al fine di evitare una possibile decadenza

°°Art. 40 (Connessione)

Se sono proposte davanti a giudici diversi più cause le quali, per ragioni di connessione (art. 31 e ss. c.p.c) possono essere decise in un solo processo il giudice fissa con sentenza alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa accessoria davanti a quello preventivamente adito. La connessione non può essere eccepita dalle parti né rilevata di ufficio dopo la prima udienza.

Ne consegue che appare opportuno inserire l’eventuale eccezione di  connessione (sia propria art. 31 e ss. c.p.c. che impropria art. 103 c.p.c. – soluzioni di questioni identiche) già in comparsa di costituzione e risposta onde evitare di incorrere, poi, nella decadenza dell’eccezione una volta terminata la prima udienza.

  1. La comparsa di costituzione e risposta in alcune procedure diverse da quella del giudizio di cognizione ordinario di primo grado.

** 7.a Giudizio avanti il Giudice di pace

Nel procedimento avanti il giudice di  pace il convenuto non è tenuto a depositare, nemmeno in udienza una comparsa di risposta tuttavia può costituirsi depositando una comparsa e, se necessaria, la procura.

Può, altresì,  presentare le sue difese oralmente, contrastare in fatto o in diritto la domanda avversaria, proporre eccezioni in senso lato o in senso stretto, proporre domanda riconvenzionale. Quest’ultima è proponibile verbalmente nella prima udienza di comparizione solo nel caso in cui anche la domanda principale possa proporsi in tal modo. In ogni caso quando la domanda riconvenzionale sia inoltrata contro una parte contumace è necessario notificare il verbale di udienza ai soggetti destinatari degli atti processuali.

** 7.b Rito del lavoro e locatizio

  • § L’art. 416 c.p.c. statuisce nella prima parte che: “Il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell’udienza … mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva nella quale devono essere proposte a pena di decadenza le eventuali domande in via riconvenzionale, e le eccezioni processuali di merito che non siano rilevate di ufficio”.

Ora in ordine alla proposizione della domanda riconvenzionale va richiamato quanto sopra illustrato mentre con riguardo alle eccezioni processuali va rilevato che nel rito del lavoro le stesse vanno inequivocabilmente sollevate in sede di comparsa di costituzione e risposta.

Esempio. Tra le eccezioni in esame sono state riconosciute le seguenti: affissione del codice disciplinare, l’avvenuto adempimento di obbligazioni pecuniaria, l’eccezione di prescrizione, l’eccezione di compensazione, mentre non sono state ritenute tali l’eccezione di incostituzionalità, la negazione del requisito contributivo da parte dell’Inps, la negazione da parte del convenuto della causa di lavoro rispetto all’infortunio in quanto mere difese che investono questioni attinenti al fondamento della pretesa  attrice che il giudice ha il potere-dovere di conoscere anche ex officio.

Peculiare è nel processo del lavoro l’eccezione di mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Infatti l’art. 412 bis c.p.c. configura l’espletamento del tentativo di conciliazione (ovvero lo scadere del termine di 60 gg. dalla presentazione della relativa richiesta : art. 410 bis c.p.c.) come condizione di procedibilità della domanda e la relativa mancanza deve essere eccepita dal convenuto nella memoria difensiva di cui all’art. 416 c.p.c.  anche se può essere rilevata d’ufficio dal giudice purché non oltre l’udienza di cui all’art. 420 c.p.c. (cfr. cass. sez. lav. 16.8.2004  n. 15.956).

 E si noti che nel rito del lavoro le decadenze di cui all’art. 416 c.p.c. sono di carattere assoluto ed inderogabile e devono essere dichiarate di ufficio indipendentemente dal silenzio dell’attore o dalla circostanza che il medesimo si sia difeso sostenendo l’infondatezza nel merito delle eccezioni.

  • § Nella seconda parte l’art. 416 c.p.c. prevede che “nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le difese in fatto ed in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare”.

Qui, anzitutto, va osservato che rispetto all’art. 167 c.p.c. il  convenuto deve prendere posizione in maniera “precisa” nel senso che la contestazione non può essere generica né concretizzarsi in forme di stile, espressioni apodittiche o asserzioni meramente negativa ma deve essere puntuale, circostanziata, dettagliata ed onnicomprensiva di tutte le circostanze non essendo priva di significato l’espressione sopra riportata non rivenibile nel testo dell’art. 167 c.p.c. e trovando detta espressione la sua logica spiegazione in quella che è stata definita la tendenziale unicità dell’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c. in modo da consentire la immediata definizione del giudizio perseguibile in ragione della circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova nonché della completa specificazione dei dati fattuali che nel rito del lavoro connotano appunto gli atti iniziali di ciascuna parte del giudizio.

A differenza che nel rito ordinario, nel rito del lavoro la mancata indicazione dei mezzi istruttori in comparsa di costituzione  e risposta è sanzionata dalla decadenza sicché il convenuto dovrà indicare nella comparsa in maniera specifica tutti i mezzi di prova dei quali intende avvalersi (peraltro cass. sez. lav. 21.8.2004 n. 16529 rileva che l’omessa enunciazione delle generalità dei testimoni costituisce mera irregolarità e non comporta decadenza dalla prova) secondo il cd. principio dell’eventualità ossia indicando tutti i mezzi di prova prima di sapere se i fatti cui si riferiscono saranno contestati o meno dalla controparte.

Da notare, poi, che la decadenza sancita dall’art. 416, comma 3, c.p.c. si riferisce anche alla prova documentale; pertanto il convenuto costituitosi tardivamente, oltre il termine di cui all’art. 416 c.p.c., non ha facoltà di produrre documenti, salvo l’ipotesi di documenti formati successivamente al termine di costituzione, ovvero di provata difficoltà a procurarsi il documento, (come potrebbe essere in caso di successione nel processo ai sensi dell’art. 111 c.p.c.), ovvero nel caso che la relativa produzione sia giustificata dallo sviluppo del giudizio. (cfr Cassazione civile, sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16265).

In ogni caso, per completezza, giova ricordare che tale rigido sistema di preclusioni ha indotto il legislatore ad attribuire al giudice, ex art. 421 II°° comma c.p.c., poteri di ufficio in materia di ammissione di mezzi di prova al fine di contemperare il principio dispositivo con l’esigenza della ricerca della verità materiale di guisa che allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, ove reputi insufficienti le prove già acquisite non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova ma ha il potere dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danni delle parti (cfr. cass. s.u. 17.6.2004 n. 11.533 e cass. s.u. 23.1.2002 n. 761).

** 7.c Rito cd. societario.

 Il decreto legislativo del 17 gennaio 2003 n. 5 concernente la «Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12, della legge 3 ottobre 2001, n. 366»,- entrato in vigore dal giorno 1 gennaio 2004 –  affiancandosi alla riforma del diritto sostanziale societario, introduce un nuovo rito che mira a consentire, secondo le indicazioni contenute nella legge delega, una “rapida ed efficace definizione dei giudizi”.

La disciplina del nuovo rito societario è interamente contenuta nel d.lgs. 5/03, nella versione che è risultata all’esito degli interventi correttivi del settembre 2003, del decreto 6 febbraio 2004, n. 37 e del d.lgs 310/2004.  Ne discende che le norme del libro secondo del c.p.c. si applicano solo in via residuale, mentre continuano ad applicarsi le norme del libro primo aventi ad oggetto i principi. Ugualmente l’esecuzione dei provvedimenti è regolata dalle norme del terzo libro del c.p.c.

Il nuovo rito commerciale recepisce i risultati dei lavori preparatori della riforma del codice di procedura civile e le linee guida elaborate dalla Commissione Vaccarella  e si caratterizza per una netta distinzione fra la fase preparatoria, che si svolge nel contraddittorio tra le parti senza alcun intervento dell’organo giudicante, al quale invece è demandata la direzione della fase istruttoria, di discussione e decisione – quasi sempre collegiale – che prende avvio a seguito dell’istanza che può essere proposta da ciascuna parte o da entrambe congiuntamente di fissazione dell’udienza di trattazione.

Più vicine alla disciplina del processo ordinario sono, invece, le modalità di introduzione del giudizio societario. Il processo commerciale prende avvio, ai sensi dell’art. 2 d. lgs. n. 5/2003, con un atto di citazione che l’attore deve notificare al convenuto.

Il convenuto a sua volta deve notificare la comparsa di costituzione e risposta.

A differenza di quel che accade nel processo ordinario di cognizione ai sensi dell’art. 166 c.p.c., la comparsa di risposta non è depositata presso la cancelleria del giudice contestualmente alla costituzione in giudizio del citato in causa, ma è direttamente e in primo luogo notificata all’attore. C’è quindi una discrasia temporale tra il momento in cui l’attore ha la possibilità di conoscere le difese del convenuto e il momento in cui quest’ultimo si presenta al giudice, giustificata proprio dalla struttura di questa fase iniziale che esclude la presenza del giudice.

L’art. 4, co. 1, d. lgs. n. 5/2003 indica analiticamente il contenuto della comparsa di risposta disponendo che il convenuto deve proporre nella comparsa di risposta tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti a fondamento della domanda ed indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, nonché i documenti che offre in comunicazione, deve proporre le domande riconvenzionali dipendenti dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, dichiarare di voler chiamare in causa i terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni, formulare le conclusioni.

La sussistenza di vere e proprie attività da compiersi, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e risposta è, oggi, espressamente indicata per effetto delle modifiche introdotte all’art. 4, co. 1, dal d. lgs. 37/2004, che le domande riconvenzionali e la chiamata in causa del terzo sono precluse se non compiute nel termine entro cui il primo atto difensivo del convenuto è notificato all’attore.

Per quel che riguarda la domanda riconvenzionale la norma in esame richiede che sia dipendente dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione. L’identità, anche letterale, di questa parte della disposizione in commento con la previsione dell’art. 36 c.p.c., consente di ritenere applicabili nel nuovo processo societario i risultati interpretativi che si sono consolidati con riguardo al giudizio ordinario di cognizione.

Quanto alla chiamata in causa del terzo si dispone che il convenuto debba notificare nei confronti di quest’ultimo, l’atto di citazione ai sensi dell’art. 2. Relativamente alle ragioni che legittimano la chiamata in causa del terzo, la disposizione in commento mutua direttamente la previsione contenuta nell’art. 106 c.p.c. e prevede che il convenuto possa “dichiarare di voler chiamare in causa terzi ai quali ritiene comune la causa o dai quali pretende di essere garantito precisandone le ragioni”.

Nuova rispetto alla legge processuale della cognizione ordinaria è la necessità che l’atto di chiamata in causa del terzo contenga anche l’espressa indicazione delle ragioni su cui il convenuto chiamante intende fondare l’ingresso in causa del terzo.

Seppure il risultato sia già stato raggiunto, anche per il processo ordinario di cognizione,  in via interpretativa – sul rilievo che la chiamata del terzo è, in sostanza, la proposizione di una domanda giudiziale nei confronti di quest’ultimo e deve contenerne tutti gli elementi necessari, tra cui anche l’espressa indicazione della causa petendi, la cui mancanza non può che viziare di nullità la domanda rivolta al terzo – l’avvenuta precisazione anche nella legislazione positiva non può che essere giudicata con favore se solo si pensa alla prassi, sempre più invalsa, di confezionare gli atti di chiamata del terzo attraverso la mera trascrizione della citazione introduttiva e della comparsa di risposta, poi seguita dalla vocatio in ius del terzo e dalla formulazione di scarnificate conclusioni.

Il legislatore recentemente è intervenuto sul dibattuto profilo della configurabilità di specifici momenti preclusivi legati alla progressione degli atti difensivi e che era già stata affermata espressamente dalla Relazione accompagnatoria al decreto del processo societario ed anche presupposta dalla disposizione di chiusura di cui all’art. 13, ultimo comma, che individua precisi termini decadenziali, non sanabili neppure per effetto della pronuncia di rimessione in termini.

La versione novellata della norma in esame chiarisce in modo netto quali sono le attività difensive del convenuto da ritenersi precluse nel termine per la sua tempestiva costituzione e quali altre attività difensive rimangono ammissibili anche oltre tale termine.

Rimane, allora, definitivamente superata la lettura che individuava l’onere delle parti di svolgere le varie attività difensive, a pena di decadenza, entro il termine per la notificazione all’avversario dell’atto difensivo “tipico” indicato dalla legge come deputato a contenere appunto tali attività oppure in un ulteriore atto difensivo “atipico” da dimettersi in cancelleria e da notificarsi alle altre parti.

** Con la comparsa di costituzione e risposta, che il convenuto notifica e poi deposita in prima fase preparatoria del processo apud iudicem, non matura la preclusione del potere di formulare conclusioni poichè, anche dopo la recente modifica normativa, alla previsione di questa attività processuale non è accostato alcun effetto immediatamente decadenziale. La conclusione nuova ammissibile anche oltre il termine di costituzione tempestiva del convenuto ex art. 5 d. lgs. 5/03 coincide sia con il rilievo delle eccezioni, sia con la formulazione di ogni difesa che resti nell’ambito del thema decidendum fissato dalla domanda introduttiva dell’attore: si pensi, in particolare, al perdurare dell’ammissibilità delle eccezioni riconvenzionali.

Il convenuto non è, pertanto, obbligato a porre in essere tutte le attività scandite analiticamente dalla norma in commento necessariamente nella comparsa di risposta. Lo svolgimento delle ulteriori difese già in limine litis è, invece, rimesso alla esclusiva disponibilità e scelta di tattica processuale delle parti consapevoli che una difesa incompleta sconta sempre il rischio dell’istanza di fissazione dell’udienza proposta dalla parte avversaria.

Si tratta, ancora una volta, di una scelta di strategia processuale rimessa al difensore del convenuto per il quale, fin dal primo momento in cui si accinge a confezionare la comparsa di costituzione e risposta, si profila una duplice alternativa.

Una prima scelta potrà essere nella direzione del compimento esaustivo delle suindicate attività nella comparsa di risposta, enunciando in modo circostanziato, e pressoché definitivo, anche le conclusioni che intende assumere nei confronti dell’attore, in modo da tutelarsi il più possibile per l’eventualità in cui l’attore depositi l’istanza di fissazione dell’udienza. Infatti con il dlgs 310/2004 è stato aggiunto il comma 2 bis all’art. 10 dlgs 5/2003 il quale statuisce che “La notificazione dell’istanza di fissazione dell’udienza rende pacifici i fatti allegati dalle parti ed in precedenza non specificamente contestati”.

L’altra via, che il difensore del convenuto potrà seguire, è il dilazionare nello svolgimento del processo, ossia nelle repliche successive, la proposizione delle attività non soggette a termini decadenziali iniziali o sino a che questi non si siano altrimenti avverati, seppur accettando il rischio del deposito della istanza di fissazione dell’udienza da parte dell’attore e il conseguente prodursi del generale effetto decadenziale.

A tale ultimo momento si accompagna anche il definitivo formarsi della non contestazione del convenuto, sui fatti di causa che non sono stati oggetto di alcuna sua attività difensiva volta a dimostrarne la non veridicità o l’irrilevanza ai fini del decidere.

Qualunque sia la scelta di difesa del convenuto la comparsa di risposta dovrà comunque avere un contenuto “minimo” e quindi:

  1. I) le difese, vale a dire gli argomenti invocati dal convenuto per ottenere il rigetto della domanda dell’attore;
  2. II) le conclusioni, ossia la richiesta giudiziale che si intende formulare al giudice e che, in ragione della posizione passiva del convenuto nel rapporto processuale, dovrà consistere, quantomeno, nella richiesta del rigetto della domanda formulata dall’attore.

Il carattere necessario dell’elemento delle conclusioni, ferma la loro variabilità anche pendente judicio, è confermato dalla circostanza che l’attore anche fin da subito, ossia non appena ha ricevuto la comunicazione del termine che il convenuto gli ha assegnato per la replica, può scegliere la via dell’istanza di fissazione dell’udienza, in luogo dell’ulteriore replica, con il conseguente prodursi del generale effetto decadenziale. E, in caso di assenza di conclusioni, il convenuto si troverebbe esposto ad un pressoché certo accoglimento della domanda dell’attore.

L’indicazione delle difese è coerente con la disposizione contenuta all’art. 5, co. 2, che – come vedremo tra poco – permette di modulare lo svolgimento del processo secondo un rito “semplificato”.

Per le attività poste espressamente a pena di decadenza occorre, comunque, ribadire che si tratta di decadenze rilevabili solo su eccezione della parte interessata secondo la previsione dell’art. 10, co. 2, e dell’art. 13, co. 4, da farsi valere nel primo atto o difesa successivi al compimento dell’attività avversaria inammissibile in quanto tardiva.

** Anche al convenuto del processo societario è attribuito il potere di scegliere se avvalersi o meno dei nuovi mezzi del fax o della posta elettronica per ricevere le comunicazioni e le notificazioni dei successivi atti del giudizio e sul punto valgono le considerazioni che abbiamo già svolto.

Nella comparsa di risposta, il convenuto che non intende notificare l’istanza di fissazione dell’udienza, è tenuto ad assegnare all’attore un termine per eventuale replica non inferiore a trenta giorni; il dies a quo coincide con il giorno in cui la comparsa di costituzione del convenuto è notificata all’attore.

La norma che si commenta disciplina anche il caso in cui il convenuto non abbia provveduto all’assegnazione del termine all’attore e la correlata fattispecie in cui il termine assegnato abbia durata inferiore a quella minima fissata dalla legge: varrà, per entrambe le ipotesi, la regola residuale che il termine a disposizione dell’attore per l’eventuale replica è, comunque, di trenta giorni.

La parte finale del 2 comma della norma in commento detta il termine da assegnarsi all’attore per la replica nell’ipotesi di litisconsorzio passivo stabilendo che a fronte di una pluralità di convenuti, il termine fissato all’attore per la replica non può eccedere i sessanta giorni. La ratio di questa diversa disciplina è, senza dubbio, da ricercarsi nella circostanza che se ogni convenuto fosse libero di fissare all’attore un termine senza un “tetto” massimo, che valga a contenere le eventuali divergenze tra i vari termini assegnati da ciascun soggetto passivo del rapporto processuale, avrebbe certamente luogo una “sfasatura” dei tempi processuali per la proposizione delle eventuali repliche e controrepliche ovvero per la richiesta di fissazione dell’udienza con riferimento a ciascun originario convenuto. L’attore rischierebbe, cioè, di trovarsi a dover rispettare tempi processuali diversi nei confronti di ciascun convenuto originario e, di conseguenza, anche questi ultimi nei confronti del medesimo attore. Con ulteriori e gravi difficoltà che si verificherebbero con riferimento al meccanismo delle preclusioni che maturano al momento della notificazione della richiesta di fissazione dell’udienza. E l’impasse si accentuerebbe in grado ancora maggiore nei casi di litisconsorzio necessario.

La norma in commento precisa ancora che l’inosservanza di tale termine può essere eccepita dagli altri convenuti. Questa disciplina si applica unicamente nei casi in cui la pluralità di parti è originaria. Qualora, invece, il giudizio diventi litisconsortile per effetto della chiamata di un terzo, il rapporto processuale tra attore e convenuto continua ad essere soggetto alla regola originaria secondo cui il termine assegnato all’attore per replica non può avere durata inferiore a trenta giorni.

Il secondo comma della norma in commento fa espressamente salva la possibilità che il convenuto, in netta alternativa all’assegnazione all’attore del termine per la replica, proceda alla notifica dell’istanza di fissazione di udienza richiamando la disciplina scandita dall’art. 8, 2 comma, lett. c), per cui la notifica dell’istanza può avvenire attraverso un autonomo atto che deve giungere a conoscenza dell’attore nel termine di quindici giorni dalla costituzione del convenuto. Nulla, peraltro, esclude che il convenuto formuli l’istanza di fissazione d’udienza direttamente nella comparsa di costituzione e risposta.

Qualora il convenuto, nella comparsa di risposta, non si limiti alle mere difese, ma amplii anche l’oggetto del giudizio non può chiedere l’immediata fissazione dell’udienza, come parrebbe, invece, consentito dall’art. 4, co. 2, e deve permettere all’attore di prendere posizione sui fatti così introdotti in giudizio, garantendo il pieno esercizio del diritto di difesa.

Lo stesso discorso vale per l’ipotesi in cui il convenuto abbia chiamato in giudizio un terzo il quale si sia costituito – secondo le stesse modalità già viste per il convenuto – notificando al chiamante una comparsa di risposta in cui prende posizione sui fatti allegati da quest’ultimo.

Pertanto l’operare del principio secondo il quale sin dall’avvio del processo societario per ogni atto che le parti dimettono in causa è possibile l’immediato verificarsi del generale effetto decadenziale correlato alla notificazione ad opera dell’avversario dell’istanza di fissazione di udienza incontra il limite del rispetto del principio del contraddittorio.

** Infine va ricordato che il legislatore ha previsto due termini differenti entro cui la costituzione del convenuto è tempestiva a seconda che il giudizio si svolga o meno tra una pluralità di parti.

Nella prima ipotesi ai sensi del primo comma dell’art. 5 d. lgs. n. 5/2003 la costituzione del convenuto deve avvenire nei dieci giorni successivi alla notifica della comparsa di costituzione e risposta che, lo ricordiamo, è tempestiva se compiuta nel rispetto del termine assegnato dall’attore, nella citazione introduttiva, per tale incombenza. La versione attuale della norma è il frutto dell’intervento attuato con il d. lgs. 37/2004, che ha sostituito il precedente riferimento alla sola scadenza del termine assegnato dall’attore in citazione.

Nella seconda ipotesi, invece,  la costituzione del convenuto, per essere tempestiva, deve perfezionarsi nel rispetto dei dieci giorni successivi al compimento del termine prolungato al sessantesimo giorno successivo all’iscrizione a ruolo della causa di cui all’art. 3, 2 comma.

Quanto alle modalità di costituzione del convenuto è previsto che essa avvenga mediante il deposito del proprio fascicolo in cancelleria, nel quale devono essere inseriti, oltre alla procura e ai documenti che il convenuto offre in comunicazione, anche la copia dell’atto di citazione e la copia della comparsa di risposta notificata all’attore

** 7.d – La comparsa di costituzione e risposta in grado di appello

 Infine un breve accenno merita anche la comparsa di costituzione e risposta in grado di appello, ossia quell’atto con il quale la parte appellata espone la propria difesa.

La parte appellata deve costituirsi depositando in cancelleria comparsa di costituzione e risposta ex art.  347 c.p.c. venti giorni prima dell’udienza (10 gg. in caso di abbreviazione dei termini): può costituirsi anche all’udienza ex art. 171 c.p.c. ma in tal caso incorre nelle decadenze di cui agli artt. 343 c.p.c. e 346 c.p.c..

7.d.1 – Le attività da svolgere a pena di decadenza

In particolare l’art. 343 c.p.c. prevede che la parte appellata che sia soccombente su alcuni capi della sentenza ha l’onere di proporre appello incidentale con la comparsa di costituzione e risposta – all’atto della costituzione in cancelleria – se vuole ottenere una pronunzia che riformi la sentenza stessa anche in danno dell’appellante principale (stante il divieto della reformatio in peius).

L’art. 346 c.p.c, invece, statuisce che le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado che non sono espressamente riproposte in appello si intendono rinunziate. E sia la dottrina che la giurisprudenza individuano nella comparsa di costituzione e risposta l’atto con il quale la parte deve riproporre le domande e le eccezioni non accolte. Nella comparsa ovviamente la parte non può limitarsi ad una generica dichiarazione di volontà o richiamo a quando dedotto in primo grado occorrendo, invece, una specifica enunciazione dei punti riproposti.

Il rapporto tra il disposto dell’art. 343 c.p.c. e la statuizione dell’art. 346 c.p.c.  costituisce una delle grandi problematiche del giudizio di appello in quanto vi è notevole incertezza su quando la parte deve proporre appello incidentale e quando, invece, può riproporre le domande o le eccezioni non accolte in primo grado.

La compiuta disamina delle posizioni dottrinali e giurisprudenziali in punto esigerebbe molto tempo. Qui basti considerare che secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario l’appello incidentale è necessario per le domande autonome esaminate e respinte mentre la semplice riproposizione delle domande non accolte vale quando non vengono accolte domande alternative, o subordinate in quanto assorbite con le ragioni di accoglimento della domanda o con l’accoglimento della domanda principale.

[esempio: se la parte vittoriosa vuole ottenere la modifica della motivazione o il riesame di questioni o eccezioni pregiudiziali o preliminari risolte sfavorevolmente non deve proporre appello incidentale ma semplicemente riproporle).(cfr. in tal senso cass. s.u. 29.7.2002 n. 11.202 in tema di litisconsorzio alternativo passivo ma contra cass. sez. lav. 5.3.2003 n. 3.261 che ha invece richiesto l’appello incidentale].

Quanto alle eccezioni respinte o non accolte per assorbimento derivante dall’accoglimento della domanda o di altra eccezione – sia che si tratti di merito che processuali  – vanno sempre riproposte anche se rilevabili di ufficio. In quest’ultimo caso, però, il giudice se non riproposte potrà rilevarle d’ufficio sempre che sul punto non si sia formato il giudicato in ordine alla sentenza di primo grado.

Poiché l’art. 346 c.p.c. si riferisce espressamente alle sole domande ed eccezioni si esclude che occorra l’espressa riproposizione delle istanze istruttorie formulate e respinte in primo grado che si intendono automaticamente richiamate con la riproposizione o l’impugnazione del punto di merito cui si riferiscono.

7.d.2 – Le domande e le eccezioni nuove nonché i mezzi di prova nuovi

Infine merita attenzione ai fini dell’individuazione del contenuto della comparsa  di costituzione e di risposta di appello l’art. 345 c.p.c.  il quale espressamente vieta la proposizione di domande nuove nel giudizio di appello (a pena di inammissibilità) – e quindi anche di domande riconvenzionali – pur potendo l’appellato domandare gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata nonché il risarcimento dei danni  sofferti dopo la sentenza stessa.

(Esempi. Sono state ritenute domande nuove:

  1. a) la domanda di pagamento di somma formulata a titolo contrattuale in primo grado e, in appello, a titolo di responsabilità extracontrattuale; b)
  2. b) la domanda di risarcimento del danno biologico non ricompressa tra le voci specifiche di danno indicate nel giudizio di prima grado;
  3. c) la domanda di simulazione relativa rispetto a quella di simulazione assoluta.

Si tenga presente, comunque, il principio generale che la domanda è nuova quando viene introdotto nel processo un nuovo tema di indagine.

Non sono state ritenute domande nuove, invece,:

  1. a) quella con la quale viene prospettata la qualificazione del rapporto come appalto anziché come vendita ferma restando in ogni caso la domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo della cosa già formulato in primo grado;
  2. b) quelle che sono consentite in deroga dalla legge: es. quella di risoluzione del contratto in sostituzione dell’originario petitum di adempimento; oppure la richiesta di riduzione del contratto ad equità ex art. 1450 c.c. in tema di rescissione).

Non sono ammesse, poi, nemmeno nuove eccezioni che non siano rilevabili di ufficio né mezzi di prova nuovi (e tali sono le prove dirette alla dimostrazione di un fatto mediante mezzo istruttorio diverso rispetto a quello del primo grado o le prove che vertono su circostanze del tutto diverse e distinte da quelle che hanno formato oggetto del medesimo tipo di prova già assunto in primo grado) salvo che il collegio non li ritenga indispensabili  ai fini della decisione della causa ovvero che la parti dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabili.

Per contro sono ammesse:

  1. I) le mere difese che consistono nella semplice contestazione dei fatti costitutivi sui quali si fonda la pretesa dell’appellante o della fondatezza giuridica di tale pretesa anche sotto il profilo della qualificazione del rapporto o, comunque, degli effetti ex adverso ricollegati alla fattispecie;
  2. II) la produzione di documenti ivi compresi quelli che la parte non ha potuto produrre in primo grado perché incorsa nelle decadenze di cui all’art. 184 c.p.c..

febbraio 2005

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Avv. Maria Bevacqua

L’esperienza acquisita e maturata nello svolgimento continuo della professione ed in materie diversificate tra le quali il diritto del lavoro e della previdenza sociale, il recupero crediti, in materia di sfratto e locazioni in genere, i procedimenti ex Lege Pinto sulla eccessiva durata del processo presso diverse Corti d’Appello, i procedimenti presso il Tar ed il Consiglio di Stato, l’infortunistica stradale ecc., la collaborazione con importanti società del nord, l’attività di consulenza con diversi comuni della Lombardia sull’alternativa tra procedimento giudiziario o transazione ed il continuo aggiornamento professionale hanno consentito di sviluppare una particolare competenza nel campo civilistico, amministrativo e penalistico. Abilitato alla presentazione di SUCCESSIONI.